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Unità: Nei giudizi finali come si misura la diversità?

Ai consigli di classe, al momento delle valutazioni finali, saremo costretti a esprimere i nostri giudizi.

22/05/2006
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l'Unità

Luigi Galella

Andrea mi ha salutato davanti alla porta d'entrata. Io tenevo la testa bassa. Ero soprappensiero. Lui mi ha chiamato invitandomi a sollevarla, come di consueto, con deferenza: «Buongiorno professore». Sorrideva. Ho capito allora che quel sorriso aveva a che fare con il testo della sceneggiatura che, solerte e puntuale, mi aveva consegnato il giorno prima, e che pensava che io avessi letto.

Andrea è un ragazzo molto disciplinato e attento. Che partecipa la scuola come pochi. Pronto a rispondere a una tua richiesta, disponibile ad approfondire un argomento. Ma che a volte sembra non capire ciò che dici, ciò che spieghi. Ti osserva con un'espressione smarrita, come se si perdesse nei tuoi pensieri, nelle tue parole. Che lo attraggono, lo si vede da come ti guarda, lo affascinano. Ma nei confronti dei quali resta a una sacrale distanza. Suppongo che abbia una sorta di venerazione per il sapere, per la cultura. Ma non sembra avere talento. Almeno, non quello che noi sappiamo misurare.

Ho cercato di comprendere le cause delle sue difficoltà cognitive e mi sembra di averle individuate in un conflitto fra la volontà, che lo induce al fare, e un profondo, mascherato sentimento di insicurezza, che gli impedisce di vedere nitidamente proprio ciò che, paradossalmente, la volontà nello slancio dell'azione gli vela.

Quando mi trovo di fronte a casi del genere sono imbarazzato. Anche in me nasce un conflitto fra la volontà e il sentire profondo. Noi insegnanti di solito tendiamo a rimuovere la natura di certi problemi: non ci sono ragazzi che non capiscono, ci diciamo, ma solo ragazzi che non si impegnano. Come se l'impegno potesse tutto. Ed è in qualche modo proprio l'introiezione di questo “dogma” che impedisce ad Andrea di sbloccarsi. Dovrebbe chiedere spiegazioni, ma non lo fa. La volontà glielo impedisce. Si sostituisce alla comprensione. La volontà, come arma a difesa dell'insicurezza.

Così, armato, precipita sempre di più nella goffaggine.

Quando legge un brano in classe è felice di esser stato scelto ed esordisce con un piglio spedito, una sonorità immediatamente alta e decisa. Non che legga “male”, ma la voce è troppo alta, troppo decisa. Una declamazione fuori misura, alla pari di un attore dilettante. Che non riconosce il rapporto “corretto” fra la voce e lo spazio che la circonda. Gettato sul palco a recitare una parte che non gli compete. Senza strumenti, solo con la forza temeraria della sua inconsapevole determinazione. Accade quindi che l'emozione lo induca a sbagliare. Che salti un rigo, che sbagli l'accento di una parola o che la trasformi e la ridicolizzi, suscitando il riso dei compagni. Che però non lo fanno oggetto di vero scherno. Ridono, certo, ma quasi per un automatismo, senza cattiveria. Forse perché percepiscono in lui quella qualità indefinibile che appartiene a quella categoria di persone “totalmente splendide”, il cui prototipo è la geniale invenzione dostoevskiana: il principe Myskin, l'idiota. E cioè l'uomo superiore, dolce, sensibile e strano, il cui atteggiamento, rispetto al coro della società che lo circonda, è sempre fuori sintonia. E che tuttavia non “costruisce” la sua diversità, ma la vive naturalmente, senza pretendere nessuna giustificazione ideologica. Per Dostoevskij un uomo del genere era l'incarnazione dell'“assolutamente buono”.

Ridono del loro compagno e lui, senza prendersela, ride con loro.

E nel riso ritrova per qualche attimo la sintonia. Torna a far parte del gruppo, proprio nel momento in cui il gruppo, ridendo, si separa da lui.

Ai consigli di classe, al momento delle valutazioni finali, saremo costretti a esprimere i nostri giudizi. Anche su Andrea. Non avremo altro a disposizione se non una scala di numeri. Con cui si misurano il valore e la qualità. E che stringeranno dentro di sé, senza comprenderla, nella loro irresponsabile “oggettività”, ogni “stranezza” o “diversità” dell'esperienza.

luigalel@tin.it