Unità: Noi siamo quelli che perdono il posto
Serena Carloni - co.co.co. ministero dell'Istruzione
Con una laurea in Sociologia mi sono dovuta riciclare come contabile. Da quattro anni lavoro al ministero dell’Università, curo le fatturazioni di un settore molto importante, di quale preferisco non dire per non rischiare ritorsioni. Il posto l’ho trovato superando una selezione e il colloquio con il dirigente con cui lavoro. Nell’ufficio siamo in quattro: due tempi indeterminati e due co.co.co. In pratica facciamo lo stesso lavoro. La differenza è che i due ministeriali, finito il loro orario, se ne vanno, ma se mi dicono: “Potresti rimanere ancora un po’?”, a me tocca restare. Oltre le 38 ore previste dal contratto. E il mio lavoro è così pensate che nessun ministeriale vuole farlo». Il tutto per 900 euro mensili, fino a quest’anno quando la magnanimità del dirigente ha portato a 300 euro di aumento. «Sì, ma per la prima volta il contratto non è annuale. Scade a settembre e il rischio che non sia più rinnovato è altissimo. I sindacati ci dicono che potremmo rientrare in una deroga del provvedimento, però l’interpretazione non è certa, anche perché la norma non è stata ancora approvata definitivamente». Eh già, perché di mezzo ci si è messo il ministro Brunetta e il suo stop alle stabilizzazioni nella Pubblica amministrazione. «Quando uscì la legge nel 2007 ero veramente felice. Ci credevo, ci sarebbe stato un concorso interno e i meritevoli sarebbero stati finalmente assunti. E invece adesso rischiamo pure il posto da co.co.co». Le conseguenze per Serena ci sono già. «Vorrei sposarmi, comprare casa, avere un figlio. Ma anche il mio ragazzo è precario e allora non posso far altro che vivere a casa con i miei genitori e mettere i sogni nel cassetto». Ormai anche il fare figli è un sogno. «Tutte le mie amiche sono in questa condizione, un’intera generazione precaria». E allora l’unico modo per continuare è rimettersi a studiare. «Ci sono due concorsi del ministero per posti fissi: ho riaperto i libri e, nei ritagli di tempo, studio. Ma è dura».
MASSIMO FRANCHI