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unità: Non è con i tagli che si salva l’Università

La partita che si gioca su questo fronte anima ragioni, sentimenti e idealità ben più profondi di quanto all'apparenza ci possano sembrare

17/11/2006
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l'Unità

Rino Falcone*La vicenda del finanziamento alla ricerca che sta proponendosi con grande esposizione mediatica in questi giorni di dibattito sulla finanziaria e che, nonostante un passo avanti (in queste ore si sta procedendo a ridurre significativamente il taglio iniziale) vede ancora un definanziamento rispetto allo scorso anno, sollecita molte riflessioni: due delle quali, riteniamo, di particolare interesse.

1) Ci pare utile valutare alcune posizioni che emergono all'interno del governo, pensiamo all'articolo sul Corriere della Sera (domenica 12 novembre) del ministro Padoa-Schioppa, da cui si evince un'omologazione del settore della ricerca a tutti gli altri (cui si può analogamente richiedere ulteriori sacrifici). Un campo di spesa da cui drenare possibili ulteriori danari, anche per rimediare a supposti permanenti sprechi. Va detto che sarebbe ingeneroso non considerare l'enorme sforzo necessario al risanamento e il carico di richieste e di (molte) sacrosante rivendicazioni cui è sottoposto il ministro dell'Economia e di concerto lo stesso presidente del consiglio. Ma si ritiene davvero possibile rilanciare università e ricerca italiana (anche recuperando sacche di inefficienza che certamente permangono in questo sistema ma non certo in misura maggiore che in altri) attraverso il metodo del taglio indiscriminato? Oppure, come il ministro Mussi sta in questi mesi facendo, non è più opportuno analizzare profondamente i mali ma anche le permanenti straordinarie potenzialità del sistema italiano in questo settore e avviare un'azione di risanamento e rilancio attraverso nuove regole e strumenti normativi di progresso (attivazione di un'agenzia di valutazione, controllo sulla proliferazione ingiustificata di corsi e sedi universitarie, piano per l'assunzione di ricercatori, un nuovo fondo unico per i progetti di ricerca con forti caratteristiche di trasparenza, e così via)? È forse nello spirito di Lisbona prima e Barcellona poi (dove i governi europei intesero indicare la via della società della conoscenza e di un massiccio investimento in questo settore) il pesante ridimensionamento del sistema per poi avviare una ripartenza dalle loro macerie (perché il taglio proposto per gli enti di ricerca a valle di un loro significativo depauperamente degli ultimi anni a questo rischia di portare)? E' forse un caso che la mobilitazione contro i tagli abbia richiamato straordinarie figure scientifiche e intellettuali del Paese?

2) Ma oltre alle considerazioni di merito è persino più utile andare ad analizzare i contorni strettamente politici emergenti da questa vicenda. Occorre per questo non solo valutare con attenzione quale eccezionale capacità di suggestione ha avuto la promessa di puntare all'ammodernamento della società, alla sua maggiore qualificazione, alla potenza evocativa dell'orizzonte prospettato in cui formazione, innovazione, ricerca, cultura e saperi rappresentano gli assi portanti per progredire la società e al tempo stesso le leve fondamentali per pareggiare le opportunità tra i cittadini. Va ancor più considerato il tessuto sociale su cui questo messaggio ha avuto principale presa. Non si tratta di categorie classicamente identificabili, ma di un ceto trasversale particolarmente sensibile al senso civico, alla valenza della cultura, alla responsabilità della politica.

Scalfire, anche solo leggermente, queste speranze può rappresentare un danno di enorme entità. Può significare frustrare le concrete ambizioni di veder confermate dalle Istituzioni almeno parte delle prospettate e partecipate progettazioni. Di quelle più ambiziose e traccianti le maggiori discontinuità con il passato. L'innesco di una mina all'interno delle relazioni politica-società.

Tanto più che questo ceto sociale è di fatto la vera forza motrice di una politica seria e autorevole. Ha sopportato e ha combattuto con fatica il passaggio che si è vissuto negli ultimi anni in Italia dalla politica come «progetto per il futuro» alla politica come «produzione di fantasmagorica promessa senza ritorno». Potrebbe proprio per questo perdere parte della sua forza di cemento sociale. Non si tratta di conservare da una parte o dall'altra dello schieramento partitico un pezzo di società (questione legittima ma decisamente meno rilevante), quanto piuttosto di dargli risposte perché non vengano portati fuori dal recinto della Politica (quella con la p maiuscola) gli interrogativi a cui giustamente e coerentemente questa parte nobile di società cerca soluzione.

La partita che si gioca su questo fronte anima ragioni, sentimenti e idealità ben più profondi di quanto all'apparenza ci possano sembrare. Dobbiamo rendercene conto e presto.

* Osservatorio sulla Ricerca e Consigliere Ministro Mussi