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Unità: «Ora di religione, va bene il Tar. Non vale per gli scrutini. . l’Italia ormai è multietnica»

Conversando con...Maria BonafedeCapo della Chiesa valdese e metodista in Italia

17/08/2009
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l'Unità

Infuria la polemica dopo la sentenza del Tar del Lazio che esclude gli insegnanti di religione dagli scrutini. Protestano i vescovi italiani. Impugna la decisione al Consiglio di Stato il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. Attacco alla Chiesa cattolica? La decisione dei giudici rappresenta un pericoloso cedimento alla laicità e alla secolarizzazione del Paese? Non è affatto così per la pastora Maria Bonafede che come «moderatore» della Tavola è a capo della Chiesa valdese e metodista in Italia. «Non nascondo la mia soddisfazione per la decisione dei giudici» risponde pacata. Da Torre Pellice, dove è al lavoro per gli ultimi preparativi del Sinodo che si terrà dal 23 al 28 agosto prossimi, non ha dubbi. «Mi sembra evidente che non si possano avere crediti per aver seguito un insegnamento di cui altri possono aver deciso di non avvalersi. Può essere obiettivamente causa di discriminazione. Come pure il fatto che il docente di questo insegnamento e quindi di una sola parte degli studenti, possa partecipare agli scrutini che sono una valutazione sull’intera classe».

È per questo che tra le associazioni che hanno presentato ricorso al Tar ve ne erano anche di legate al mondo evangelico?

«Certo. Questa sentenza mi sembra di solare giustizia. Porta un po’ di chiarezza sulla laicità della scuola in Italia che ha la stranezza dell’insegnamento della religione cattolica. È un privilegio noto a tutti che viene dall’accordo stipulato tra la Chiesa cattolica e lo Stato attraverso il Concordato. Non lo condividiamo ed abbiamo in proposito molti punti di domanda...»

Per esempio?

«Visto che l’ora di religione cattolica c’è, perché non la si trasforma in un’ora che la scuola pubblica dedica all’insegnamento delle religioni? Restino pure gli insegnanti che ci sono attualmente, finché non andranno in pensione, ma da ora in poi si facciano concorsi pubblici. Si costruisca all’università alle abilitazioni un percorso di preparazione adeguato e si insegni il “fatto religioso” come il fatto fondamentale della cultura e quindi anche della formazione delle persone. Penso che sarebbe un gesto ecumenico molto importante se la CEI rinunciasse spontaneamente all’insegnamento della religione cattolica in favore di un’ora di storia delle religioni e del contributo delle fedi nella cultura. Non scordiamoci che l’Italia è oramai assolutamente multietnica. La seconda religione è l’Islam. Solo che si fa finta che non sia così. Nel nostro Paese vi sono oramai moltissimi “credo” e modi di pensare. Almeno quelli fondamentali, le fedi riconosciute, dovrebbero essere oggetto di studio nelle scuole. Che non va relegato nell’ora “alternativa” che è stata creata per altro, e non va lasciato alla buona volontà degli insegnanti di religione, perché è un insegnamento facoltativo con un meccanismo privilegiato per il quale gli insegnanti sono scelti e preparati dalla Chiesa cattolica e pagati dallo Stato. Nessuna condizione di privilegio, quindi, per chi sceglie l’attuale ora di religione e nessuna discriminazione per chi non se ne avvale. Si trasformi l’attuale insegnamento “cattolico” in studio delle religioni per tutti».

La Chiesa cattolica vede in questa sentenza il cedimento ad una secolarizzazione che avanza travolgendo sistemi di valori come l’educazione alla solidarietà e all’accoglienza.

«Questi sono temi fondamentali anche per noi. Come per chiunque abbia una fede cristiana o dei valori importanti di riferimento. Ma questo problema non lo si risolve nell’insegnamento dell’ora di religione cattolica a scuola. Piuttosto con una scuola che sappia formare davvero la mente, l’anima e il cuore delle persone. Con una cultura che sappia affrontare i problemi veri della vita e poi nelle Chiese, dove i ragazzi crescono e nelle famiglie. Lì si che la Chiesa cattolica, quelle protestanti ed ogni altro credo hanno la possibilità di incidere. La secolarizzazione è un fatto. Occorre poterla affrontare, anche insieme, ma non chiudendo le porte quando i buoi sono già scappati. O con mezzi, come questi, che finiscono per essere discriminatori».

Come considera la distinzione di papa Benedetto XVI tra umanesimo cristiano positivo e ateo e nichilista, pericoloso perché con l’idea che l’uomo possa sostituirsi a Dio e perseguire una libertà assoluta avrebbe legittimati il nazismo e le altre dittature?

«Frutto di lettura un po’ grossolana. Intanto il nazismo non è nato fuori da un contesto religioso. È giusto ribadire che l’amore cristiano aiuta ad avvicinare e approfondire il rapporto con l’altro. Ma l’amore è fatto anche di libertà. La Bibbia è piena di libertà. Pensiamo alle lettere di Paolo “Siamo stati chiamati alla libertà” e all’ammonimento a non tornare alla schiavitù. La libertà, coniugata con l’amore, deve servire ad avere una vita adulta, responsabile, autonoma. A prendere delle decisioni e ad assumersi delle responsabilità nel dialogo con la cultura degli altri. Non vedrei proprio la demonizzazione dell’umanesimo non cristiano. I guasti profondi causati dalla deriva consumistica, con la sua carica di violenza, preoccupa molto le Chiese, i cristiani, ma anche i non cristiani. Siamo tutti nella stessa situazione. Ci sono giovani di famiglie cristiane che vivono le stesse situazioni degradate dal consumismo e dalla violenza, segnate dall’usare gli altri come cose e non come persone, di chi vive in contesti non cristiani. Come ci sono persone che non hanno un credo religioso che sono davvero per bene. È troppo semplice dividere i buoni dai cattivi, dove i buoni sono i cristiani ed i cattivi i non cristiani».

C’è chi si fa vanto di non essere un santo per giustificare il suo imbarazzante privato...

«Un’affermazione molto modesta. Di livello veramente basso quella del nostro premier. Pensata per cercare di guadagnarsi le simpatie del pubblico. Si assumesse, invece, le responsabilità del proprio compito. Da lui ci si aspetta un modo esemplare di condurre la sua vita e di condurre le scelte del Paese. In altri paesi se si mente o non si ammettono le proprie responsabilità, si torna a casa».

In Italia si introduce il reato di clandestinità...

«Sono leggi paragonabili a quelle razziali che creeranno violenza, sospetto e paura là dove, invece, serve una cultura dell’accoglienza, del rispetto e della civiltà. E quindi anche della giustizia. Dove chi sbaglia paga».

Ne parlerete al vostro Sinodo?

«Parleremo certamente dell’immigrazione. Credo che le fedi cristiane debbano impegnarsi per la sicurezza, ma di chi arriva nel nostro paese, non contro di loro. La legge della sicurezza deve trasformarsi nella legge della vigilanza a favore degli immigrati, della loro incolumità, del loro inserimento nella società, della loro possibilità di lavorare».

Discuterete anche della laicità dello Stato?

«Certamente. Quest’anno è stata messa a dura prova con la vicenda di Eluana Englaro. Va ribadita in ogni occasione la libertà della persona, il diritto di scegliere ed approfondire il senso della vita, della responsabilità che si porta, delle relazioni umane che si costruiscono. Che è poi uno dei punti centrali della nostra riflessione. Relazioni con gli immigrati, con le altre Chiese... Il cristianesimo chiede molto impegno nella responsabilità personale e nella libertà di scelta. Anche quella religiosa. L’Italia non ha ancora una legge sulla libertà religiosa che riconosca un pluralismo che c’è già e che vede milioni di persone con un “credo” diverso da quello cattolico senza avere un riconoscimento da parte dello Stato».