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Unità: Paradosso Gelmini: tempo pieno, casse vuote

Marina Boscaino

13/09/2008
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l'Unità

Il ministro Gelmini, intervistata qualche giorno fa a «Radio Anch’Io», ha tirato fuori una buona notizia: «il ritorno del maestro unico non compromette la tenuta del tempo pieno che, anzi, verrà esteso a più classi». Ma non è tutto oro ciò che luccica: tra logiche di risparmio (la conferma del taglio di 87mila posti di lavoro e il ritorno al maestro unico) e clamorose miopie culturali a sfondo demagogico («perché mai il contribuente deve pagare 3 insegnanti per una scuola primaria che funziona benissimo anche con uno solo») è legittimo chiedersi quali fondi saranno destinati all’investimento sul tempo pieno. E quale investimento culturale sarà fatto sulle 40 ore. Alla prima domanda risponde Enrico Panini: «la promessa è negata dal testo del decreto approvato in Consiglio dei ministri, che prevede l’introduzione del maestro unico in prima, seconda e terza elementare senza deroga alcuna, in contraddizione con la legge del 2006 che ripristinava il tempo pieno; in secondo luogo, se le parole del decreto hanno un senso, l’unica possibilità è che, qualora ce ne fossero le condizioni, si arrivi ad un allungamento orario, incrocio tra badantato e tempo scuola». Un modello molto simile, dunque, a quello della Moratti.

L’altra questione, quella dell’investimento culturale, è certamente più complessa. L’ossessione antisessantottina, alla quale questo governo sta dando corpo con un passatismo esasperante e anacronistico, cavalcando gli istinti più banali di una società incapace di affrontare la complessità - e dunque alla ricerca di rassicurazioni immediate e di facile realizzazione e consumo - minaccia di investire luoghi, spazi e acquisizioni che non sono esclusivamente il frutto dell’odiata cultura di sinistra, che pure ebbe l’indiscusso merito di elaborarne principi e modalità; ma soprattutto sono modelli ancora validi e risposte plausibili (per quanto perfettibili) a domande sociali e culturali di cui la scuola è per definizione il crocevia e il punto da cui partire. Il tempo pieno non va difeso solo come conquista di gloriosi anni di lotta e di partecipazione; di interesse per la cosa pubblica; di consapevolezza della funzione portante che l’educazione e la conoscenza, ma anche la socialità e lo stile di vita, hanno nell’emancipazione degli individui. Il tempo pieno va difeso perché - oggi soprattutto - una scuola consapevole, luogo di cura, di relazione, di accoglienza può rappresentare la risposta più inclusiva ed equa alle contraddizioni del reale. Può non solo rendere compiuta la cittadinanza dei figli dei migranti e della marginalità sociale; ma anche ribadire e rinforzare quella di tutti i bambini e le bambine che avranno avuto la fortuna di incappare in uno strano luogo in cui si facciano parti uguali tra coloro che una società sfacciata e impudica sempre più considera diversi. Può configurare un modello di società che non abbiamo il diritto - per noi e per i nostri figli - di considerare tramontato. Può fare tutte queste cose sorprendenti e utili attraverso un modello di integrazione didattica, di laborialità, di pluralità dei punti di vista e delle prospettive, di collegialità vissuta come confronto attivo; attraverso un progetto strettamente culturale che per molti anni ha avuto una straordinaria forza di impatto dando risposte cognitive, educative - e quindi anch’esse culturali - a bisogni sociali. L’impresa è difficile: la ostacolano il calo di motivazione degli insegnanti, il calo di tensione civile dei cittadini, il calo di fiducia in idee e temi che hanno caratterizzato una storia che la liquidità dell’oggi ci fa sembrare lontana anni luce. Ma che era solo ieri. È curioso che Gelmini e colleghi abbiano deciso scientemente di penalizzare con maggiore violenza la scuola elementare, l’ordine più efficace del sistema scolastico italiano; quello la cui esperienza didattica viene considerata esemplare da molti punti di vista. È curioso ma non casuale.

Da queste e da molte altre ragioni è motivato lo scetticismo sulla veridicità delle promesse di Gelmini: grembiule, maestro unico, tagli, provvedimenti antibullismo di facile impatto mediatico ma di probabile inefficacia, cinque in condotta, mal si coniugano con l’ampio respiro che ha dato vita ad una delle esperienze più significative della scuola italiana.