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Unità: Perché sono nullafacenti?

Pubblico Impiego

02/09/2006
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l'Unità

Paolo Leon
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Non so perché ad Ichino siano così antipatici i lavoratori e il sindacato. Già sorprende vedere qualcuno, che ha una profonda cultura del mondo del lavoro, prendersela con categorie così generali. Ma l'idea di cui ha scritto recentemente sul Corriere della Sera, per la quale esistono molti impiegati pubblici nullafacenti, e sindacalmente protetti nel non far nulla, è indicativa di un residuo ottocentesco nella sua considerazione del mercato del lavoro.
Il nostro sa che non si può fare un calcolo di quanti si trovino in questo stato, ma presume che siano moltissimi, sicuri e non licenziabili, come si diceva in quelle interminabili discussioni qualunquistiche nei lunghi viaggi in treno di tanti anni fa. Ichino non si accontenta di incentivi e di mobilità per stanare i nullafacenti, come ha proposto il sindacato, ma li vuole licenziare. Non c'è dubbio che ci siano molti nullafacenti nell'impiego pubblico; ma lo stesso si può dire per gli impiegati del settore privato, per non parlare dei commercianti, degli artigiani, degli stessi imprenditori - e che dire dei dirigenti? Ho sperimentato spesso lo spleen di Phileas Fogg che attanaglia i liberi professionisti, i politici, i professori universitari.
È memorabile lo sketch di Fantozzi che lascia il suo ufficio (all'Italsider) e se ne va al mare, consentendo al collega di scusarne l'assenza, ovviamente momentanea, perché «ha lasciato la giacca sulla sedia». Esiste un'intera branca della sociologia dell'organizzazione che si occupa della motivazione del lavoratore e biblioteche sulle burocrazie pubbliche e private, mentre la teoria economica si è dedicata al «labour shirking» - cioè allo scansafatiche. Esiste anche la teoria economica del principale-agente, per la quale si forma un'asimmetria informativa ai danni del principale, perché la conoscenza dettagliata è nelle mani dell'agente, e questa situazione, molto comune, è considerata un fallimento del mercato - riproponendo nelle normali transazioni il problema che Ichino assegna agli impiegati pubblici.
Non capisco perché non si ricordi che il nullafacente è, in generale, figlio dell'organizzazione cui appartiene - è l'organizzazione e chi ne è responsabile, che consente a qualche dipendente di non far nulla. Mi sembra, poi, che non si capisca perché gli impiegati pubblici non sono facilmente licenziabili, e non soltanto in Italia, ma dovunque vi sia, nella Costituzione, la divisione dei poteri. Perfino negli Stati Uniti il licenziamento è soggetto ad una procedura complessa, che passa attraverso organi di disciplina e protezione del ruolo del «civil servant» (bella espressione, no?). Il punto è che l'impiegato pubblico non può essere licenziato facilmente, altrimenti lo spoil system arriverebbe fino ai più bassi gradini della gerarchia pubblica, e il partito al potere si impadronirebbe di tutta la macchina statale, realizzando una classica dittatura della maggioranza. In fondo, le riforme Giannini, Cassese, Bassanini hanno tentato di introdurre criteri di efficienza privatistica nella Pubblica Amministrazione, compresa la mobilità dei dirigenti, pensando che la responsabilità dei risultati dell'azione pubblica sia soprattutto nelle mani di chi comanda.
Non si può dire che quelle riforme non abbiano portato dei miglioramenti, ma è vero che la macchina pubblica ha sempre bisogno di interventi di manutenzione organizzativa, volti ad aumentarne l'efficacia; ma questa è una necessità per qualsiasi grande azienda. Non voglio dire che la pubblica amministrazione e la grande impresa siano simili, mi interessa far osservare che i problemi di efficienza ed efficacia sono di natura organizzativa, non meramente personali. C'entra qualcosa, questo, con i nulla facenti? Sono i nullafacenti responsabili per i fallimenti pubblici? Decimiamoli, sembra dire Ichino, come Cadorna.