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Unità: Presidi spia made in Usa

La Lega Nord fa scuola: a Tucson, città a soli 100 km dal confine con il Messico, per fermare l’immigrazione clandestina lo sceriffo Dupnik ha ammonito i presidi delle scuole di verificare lo status degli studenti e di denunciarli alle autorità se si tratta di irregolari. E scoppia la polemica

30/05/2009
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l'Unità

STEFANO MILANO

I presidi delle scuole dovrebbero verificare lo status degli studenti che le frequentano e, nel caso si tratti di immigrati clandestini, dovrebbero denunciarli alle autorità». A dirlo non è nessun esponente del governo italiano o della Lega Nord, e non si parla di Ddl Sicurezza. Queste parole arrivano da diecimila chilometri di distanza: da Tucson, Arizona, dove Clarence Dupnik, lo sceriffo della Pima County, ha rilasciato una dichiarazione che ha sollevato un polverone non ancora sopito.

Un’eco inquietante rispetto a ciò che è accaduto in Italia, soprattutto perché si è verificato negli stessi giorni in cui nel nostro paese le prime pagine dei quotidiani erano invase dalle ombre sinistre della proposta di legge sui “presidi-spia”.

Tucson, a soli 100 chilometri dal confine con il Messico, al momento è la città più esposta degli Stati Uniti al fenomeno dell’immigrazione illegale. Il governo Bush ha costruito il tristemente famoso “muro della vergogna” lungo la frontiera, ma proprio in Arizona, nel bel mezzo del torrido deserto di Sonora, la barriera di divisione non è ancora terminata, a differenza del resto degli stati del sud. Questa situazione ha creato un “imbuto” nelle rotte dell’immigrazione clandestina, costringendo la stragrande maggioranza degli indocumentados a cercare di passare il confine lungo le 262 miglia del settore di Tucson, attraversando a piedi il deserto e spesso morendoci. Gli ultimi, recentissimi, dati indicano che – anche a causa del border fence e dell’incremento delle misure di sicurezza – il rischio di morte continua a crescere di anno in anno: oggi è 17 volte più alto che nel 1998.

Il presidente Obama non ha ancora preso in mano con concretezza la situazione di confine. Per ora ha previsto di chiedere al Congresso, per il 2010, altri 27 miliardi di dollari per rendere ancora più sicura la frontiera e terminare i lavori del border fence. Una “mossa” che ha fatto storcere il naso ai tanti che si aspettavano un deciso cambio di rotta in materia d’immigrazione. Ma molto probabilmente Obama ha in mente una chiara strategia politica: come prima mossa, vuole dare un segnale forte rispetto alla sicurezza del confine, rassicurando gli americani; e solo in seguito metterà in atto la riforma dell’immigrazione, regolarizzando parte dei 12 milioni di clandestini presenti nel paese (soprattutto in funzione della manodopera necessaria per il rilancio dell’economia) e definendo criteri meno rigidi e più mirati d’ingresso negli USA.

In attesa che questo si verifichi, il sistema fortemente anti-immigratorio lasciato dall’amministrazione Bush appare fuori controllo, e alcuni personaggi ne stanno approfittando per gli ultimi “colpi di coda”.

Come Joe Arpaio, lo sceriffo della Maricopa County divenuto celebre per l’uso di metodi che non si vedevano dai tempi dello schiavismo: umiliazione, violazione dei diritti umani, racial profiling. Tra le sue tante pittoresche iniziative, questo “Borghezio a stelle e strisce” ha fatto marciare 220 immigrati ammanettati e con la divisa a strisce bianche e nere da carcerato per le vie di Phoenix, mentre erano in attesa del rimpatrio in Messico. Per non parlare delle chain gang, gruppi di carcerati umiliati e costretti a lavorare incatenati tra di loro per i piedi, magari raccogliendo immondizia ai bordi delle strade, sotto gli occhi di tutti.

La Coaliciòn de Derechos Humanos (punto di riferimento e “cappello” sotto il quale si raduna buona parte degli attivisti dell’Arizona impegnati nella difesa dei diritti degli immigrati) si oppone da tempo alle iniziative razziste ed eclatanti di Arpaio e al 287(g) (un articolo della legge sull’immigrazione americana che rinforza e amplia i poteri della polizia statale e locale, similmente al nostro Ddl sulla sicurezza), e il 2 maggio ha avuto luogo una grande marcia di protesta a Phoenix, di cui si è fatto portavoce anche Zach De La Rocha, ex leader dei Rage Against the Machine.

Naturalmente la Coaliciòn e gli altri gruppi di attivisti per i diritti civili, oltre che una buona fetta della società civile, hanno lanciato un attacco anche nei confronti dello sceriffo Dupnik e delle sue dichiarazioni, chiedendo a gran voce le sue scuse pubbliche. Una querelle che ha infuriato per giorni, ma le scuse non sono mai arrivate.

Dupnik e la sua versione d’oltreoceano del provvedimento sui presidi-spia (che ha trovato ovviamente anche molti consensi tra i tanti americani del sud che sono contrari all’immigrazione, con posizioni spesso fortemente xenofobe) hanno infatti minacciato un diritto fondamentale, garantito dalla “Equal Protection Clause” del 14° emendamento della Costituzione americana e da una successiva decisione del 1982 della Corte Suprema.

Il diritto allo studio negli Stati Uniti è garantito per qualunque studente, e nessuno è tenuto a verificarne lo status. Per iscriversi in una scuola pubblica sono sufficienti un certificato di nascita e uno di vaccinazione, e non vengono richiesti il passaporto o il VISA.

«Il compito dei nostri insegnanti è rispondere alle necessità dei ragazzi che entrano dalle porte della scuola, indipendentemente da come ci sono arrivati», spiega Ernest Galaz, preside della scuola elementare “F.O. Holaway” di Tucson. «Nel nostro istituto, più della metà degli studenti sono di origine ispanica e negli ultimi tre anni abbiamo avuto ragazzi anche da Burundi, Congo, Somalia, Iraq, Italia, Francia, Cina, India, Vietnam, Laos, Iran, Libano, Sudan, Kenya. Viviamo in un mondo in cui le barriere e i confini sono stati minimizzati o eliminati da internet; gli studenti hanno bisogno di imparare a conoscere le altre culture come parte integrante della loro formazione. Più sono in grado di capire i punti di vista diversi dal loro, più avranno successo nell’economia globale».

Todd A. Jaeger, consulente legale del sovrintendente agli studi delle Amphitheater Public Schools di Tucson, è molto restio nell’entrare nel merito delle dichiarazioni di Dupnik. «Noi continuiamo a fare il nostro lavoro e ad applicare i diritti civili garantiti dal 14° emendamento. Non abbiamo organizzato nessuna forma di protesta nei confronti dello sceriffo perché sta affrontando la questione da una prospettiva diversa dalla nostra e che non ci riguarda: quella del rafforzamento dei poteri della polizia. Lasciamo che sia chi si sente offeso dalle sue dichiarazioni a chiederne le scuse».

Galaz, invece, si sbilancia un po’ di più: «Se le dichiarazioni di Dupnik diventassero reali, sarebbe una grave violazione dei diritti civili su cui si basa questo paese. E poi la situazione è meno grave di come la dipinge lo sceriffo. Ovviamente non ho (e non voglio avere) nessuno strumento per poterlo affermare con certezza, ma nella mia scuola potrebbero esserci al massimo 3-4 famiglie clandestine, le altre sono tutte regolari. Ciò che è preoccupante – e che purtroppo viene alimentato dal clima che in molti stanno cercando di creare – è il dilagare del sospetto: quando la gente vede una famiglia che parla spagnolo, pensa subito che si tratti di illegali».