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Unità: «Professione insegnante e mio figlio non si vergogna»

Brunetta «Rende più difficile un lavoro che si basa su un rapporto di fiducia con gli allievi» «Il ministro è un dipendente pubblico. Forse se ne è dimenticato?»

13/01/2009
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l'Unità

«Non mi vergogno affatto del lavoro che svolgo a scuola. Mi vergogno, a limite, del fatto che a 47 anni, ogni anno, vengo licenziata a giugno per essere assunta a settembre perché sono una precaria. Di questo dovrebbe occuparsi un Ministro della Repubblica». Elisabetta Testa insegna Letteratura Inglese all’Istituto Tecnico Ferrara e al Geometra Valadier. Racconta che quando ha letto le dichiarazioni del ministro Brunetta, ieri mattina, era con sua figlia di 19 anni. «Siamo rimaste stupefatte, umiliate. Queste parole incutono paura, timore, soprattutto perché dimostrano che chi ci governa è lontano anni luce dalla realtà in cui viviamo», continua.

I PROF: BASTA CON I LUOGHI COMUNI

«Sembra quasi che il Ministro abbia un’antipatia personale verso gli insegnanti e gli statali», insiste Elisabetta. «Meglio il tornitore della Ferrari? Forse perché lui ha un padrone diretto e invece noi insegnanti della scuola pubblica manteniamo ancora autonomia». Anche Vincenzo Valentino, 46 anni, insegnante di Italiano e Linguaggio Cinematografico all’Istituto Rossellini protesta: «Se mi vergogno del mio lavoro? Perchè dovrei? È rozzo colpire un’intera categoria». Vincenzo spiega che lavorare con i ragazzi lo riempie di entusiasmo: «Essere a contatto con i giovani è un privilegio e, al tempo stesso, una responsabilità enorme. Fannullone è una parola sbagliata per gli insegnanti. In classe non puoi non fare nulla perché i ragazzi sono una platea attenta, esigente. E in aula bisogna arrivare attrezzati, dopo aver preparato le lezioni a casa, corretto i compiti, partecipato ai corsi di formazione».
PERCEZIONE DELL’INSEGNAMENTO

Per Valeria D’Aversa, 43 anni, professoressa di Italiano e Latino al Liceo Scientifico Majorana di Spinaceto: «Sono proprio battute come quelle di Brunetta a far sì che la percezione sociale del lavoro dell’insegnante in Italia sia molto bassa». Alle sei di sera, Valeria è ancora a scuola: «Abbiamo finito ora gli scrutini. Il tempo di tornare a casa e ho una pila di compiti da correggere e due ore di lezione da preparare. Nei prossimi giorni porterò i ragazzi al Teatro dell’Opera a vedere “L’Aida” e dovrò prepararmi. Magari andare a comprarmi qualche testo specifico, qualche cd da proporre in classe. Lo faccio con passione, non mi pesa. Ma Brunetta deve capire che ogni ora di lavoro in classe corrisponde a un’ora di lavoro a casa. Un insegnante lavora ogni volta che apre un libro, gran parte del nostro lavoro è invisibile. O meglio: il Governo non lo vuole vedere, ci rema contro». Per Valeria, battuta dopo battuta, il discredito che sta investendo la categoria sta anche minando la fiducia tra gli insegnanti e le famiglie: «Così rischiamo di perdere credibilità. Più si va avanti per luoghi comuni e più il patto con le famiglie per la crescita dei figli si sta spezzando. I genitori vengono sempre meno a scuola, ci considerano sempre meno degli interlocutori». E conclude con una provocazione: «Invito il Ministro a passare una giornata con noi a scuola. Si renderebbe conto di quanto lavoriamo. E verrebbe anche a contatto con le difficoltà logistiche che viviamo tutti i giorni sulla nostra pelle: facciamo le riunioni per i corridoi, mentre i ragazzi fanno ricreazione; oppure non abbiamo computer a sufficienza su cui archiviare i nostri documenti. E la lista potrebbe continuare». Andrea Cicini, 31 anni, insegnante di scuola media a Genazzano, sente di non essere da meno al tornitore della Ferrari: «Non si può pensare che nel privato si lavori tanto e tutto il resto sia “casta”. Per me, lavorare nella scuola è fonte di orgoglio e non di vergogna. Io lo faccio con entusiasmo e ben oltre le 18 ore del contratto. Siamo sempre più vittime di pregiudizi, il tutto allo stipendio di un operaio. Ma io non cambierei questo lavoro con nessun altro». E per Antonella Cristofaro, 50 anni, scrittrice e insegnante di Italiano al Liceo Scientifico Tecnologico Von Neumann, le dichiarazioni di Brunetta hanno dell’incredibile: «Davvero ha detto questo? Forse il ministro scherza. Forse dimentica che anche lui è un dipendente pubblico. Non si sputa nel piatto in cui si mangia». E alla battuta del ministro, controreplica: «In generale nessun figlio si vergogna di suo padre. Se questo malauguratamente dovesse accadere, penso che anche molti figli di politici potrebbero avere di che vergognarsi».
UN LAVORO SPECIALE?

Quando chiedi ad Antonella, però, se pensa che il suo sia un lavoro speciale, stringe le spalle: «Facciamo un lavoro difficile, che ha a che fare con la formazione culturale ma anche etica dei ragazzi. Andrebbe rispettato, aiutato e considerato economicamente», spiega. Ma conclude: «Non voglio rispondere a Brunetta con “l’orgoglio di essere insegnante”. Faccio una professione normale, presto un servizio normale. Il lavoro non deve diventare una barriera architettonica della mente e del pensiero. Non dobbiamo cadere in questa trappola».

PAOLA NATALICCHIO

roma@unita.it