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Unità-Psicofarmaci alle elementari?Meglio ascoltare i bambini

Psicofarmaci alle elementari?Meglio ascoltare i bambini Luigi Cancrini "Giù le mani dai bambini" Il caso che ti vorrei segnalare è quello del genitore (Giorgio Scialuga) che ha deposita...

25/07/2005
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l'Unità

Psicofarmaci alle elementari?Meglio ascoltare i bambini

Luigi Cancrini

"Giù le mani dai bambini"

Il caso che ti vorrei segnalare è quello del genitore (Giorgio Scialuga) che ha depositato un esposto alla Procura della Repubblica di Torino per lo screening effettuato nella scuola del figlio (Elementare Kennedy), nell'ambito di un progetto di ricerca sui "disagi mentali" dei bambini. Il Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell'Adolescenza dell'Università di Torino aveva distribuito un modulo di consenso informato necessario per raccogliere l'assenso dei genitori allo screening, ma nonostante papà e mamma non avessero dato l'assenso il bambino era stato sorprendentemente sottoposto ai test psicologici. Queste discusse iniziative da parte di alcuni dipartimenti universitari e degli istituti scolastici si sono moltiplicate dopo la conclusione del contestatissimo "Progetto Prisma", effettuato con fondi pubblici ma da istituti di ricerca privati, alcuni dei quali avevano in essere - all'atto dell'accettazione dell'incarico per l'effettuazione dell'indagine - contratti a pagamento per altre ricerche, finanziate dalle case farmaceutiche che producono gli psicofarmaci consigliati poi come "cura" per questi presunti disturbi.
Campagna nazionale per la difesa
del diritto alla salute dei bambini

La somministrazione di test e di scale per diagnosticare la presenza di sintomi depressivi nei bambini delle scuole elementari è di per se una operazione poco sensata. Il fatto che tale somministrazione avvenga senza il consenso dei genitori o contro il loro parere sfiora, a mio avviso, il codice penale. Quello su cui sarebbe importante aprire (o riaprire) una polemica culturale forte, tuttavia, è il punto relativo alla depressione, all'immagine deformata che di essa danno molti psichiatri e troppa stampa.
La depressione, checché se ne dica, non è una malattia. Non vi sono manuali o trattati di psichiatria degni di questo nome che affermino una bestialità di questo tipo. La depressione, in quanto tale, è l'espressione sintomatica di una difficoltà vissuta dall'essere umano e la parola depressione ha senso, nella pratica psichiatrica e nella vita, solo se la si qualifica con un aggettivo. Il che significa, in pratica, che è lecito e ragionevole parlare di depressione reattiva o di sindrome post traumatica (quando il vissuto depressivo, i sintomi depressivi si presentano in rapporto ad un lutto o ad una delusione), di depressione esistenziale (quando, in una situazione di vita profondamente cambiata, la persona incontra difficoltà importanti nel suo tentativo di riorganizzarsi), oppure ancora di episodio depressivo, eventualmente ricorrente (quando la persona non è in grado di riconoscere da sola e/o di proporre nel dialogo le ragioni del suo star male). Quello che è certo è che continuano a parlare di depressione come se si trattasse di una vera e propria malattia solo quegli psichiatri che non sono in grado di aprire un dialogo con i loro pazienti. Mentre sempre più frequente diventa, mentre passano gli anni e dilaga il consumo degli antidepressivi, il caso dei depressi cronici: persone che non erano riuscite a dire le ragioni del loro dolore, del loro star male o della loro rabbia alle persone più vicine e che avevano inutilmente sperato di trovare, nello psichiatra, la persona capace di aiutarle a "dar parole al loro dolore". È all'interno di questa strategia del non ascolto e del distanziamento da sé della persona che sta male che va inquadrato, a mio avviso, il tentativo di affidarsi a dei reattivi mentali per scoprire i bambini depressi. Come se non fossero sufficienti degli insegnanti normalmente attenti ai bisogni e alla psicologia dei loro bambini per rendersi conto del fatto che un bambino non sta bene, ha bisogno d'aiuto.
Quello che mi sembra importante ogni giorno di più segnalare è che la moderna pratica dei trattamenti antidepressivi somministrati a pazienti con cui non si parla non è soltanto un modo sbagliato ed inefficace di intervenire con le persone che vivono una fase di depressione. Esso è spesso, infatti, un modo potente di aggravare, cristallizzandola, la loro situazione depressiva. Funzionando come una "profezia che si autodetermina" e costruendo, a spese del paziente e dei suoi bisogni reali, una "malattia" che esiste solo nella fantasia debole degli psichiatri non preparati e in quella rapace dei venditori di farmaci. Con un risultato paradossale, ben delineato in un loro libro recente dagli psichiatri del gruppo di Chicago, uno dei più agguerriti e dei più famosi team di ricerca in tema di disturbi dell'umore: perché la frequenza, la durata e la gravità dei disturbi depressivi sono enormemente aumentati nella seconda metà del secolo scorso proprio mentre venivano introdotti, nella pratica psichiatrica, le terapie convulsivanti e i farmaci antidepressivi. Qualcuno sarebbe disposto oggi a dire che gli antibiotici sono davvero utili se le malattie infettive che con gli antibiotici sono state curate fossero diventate più frequenti, più lunghe e più gravi dal momento in cui gli antibiotici erano stati introdotti in terapia?
Tornando ai bambini nella scuola, dunque, l'unico problema che dovremmo porci è quello di aiutare gli insegnanti a entrare in contatto con loro. Aiutandoli a spiegare quello che sta loro accadendo perché dietro ad una "depressione" possono esserci vicende familiari complesse (dalla separazione al lutto o alla disoccupazione di uno dei genitori) o veri e propri drammi personali (legati per esempio al maltrattamento, all'incuria o all'abuso). L'idea che alcuni medici e alcuni psichiatri possano, in situazioni di questo genere, continuare a diagnosticare una "malattia depressiva" e ad intervenire solo con dei farmaci è un'idea che può provocare danni gravi (di cui medici, psichiatri e pubblico hanno scarsa consapevolezza) per il modo in cui spinge a "incistare" il problema nelle profondità dell'anima di chi ne soffre. Facendo diventare incomprensibile il sintomo, costruendo alla fine vere e proprie malattie iatrogene ed arrivando per questa via a rendere "incurabile" il paziente che non hanno saputo ascoltare e curare.