Unità: Pubblici, poche certezze e molte «trappole» Il governo deciderà i salari
Per i dipendenti pubblici norme molto peggiorative, che minacciano la tenuta reale del potere d’acquisto. Di fatto il comparto torna nelle mani della politica. Come dire: un passo indietro agli anni ’80.
Per i dipendenti pubblici norme molto peggiorative, che minacciano la tenuta reale del potere d’acquisto. Di fatto il comparto torna nelle mani della politica. Come dire: un passo indietro agli anni ’80. Per i 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici il nuovo accordo separato sul modello contrattuale significa una sola cosa: da ora in poi deciderà tutto la politica. Si torna agli anni ‘80. Attraverso una stringente sequenza di disposizioni (che sono diverse da quelle previste per il settore privato), infatti, il testo scardina le relazioni sindacali e lascia presagire solo perdite di potere d’acquisto per i lavoratori meno abbienti, su cui si scaricheranno le «prebende» automatiche (non contrattualizzate) di alcuni comparti «privilegiati», come i professori universitari o gli alti livelli dell’esercito.
Stando a indiscrezioni Giulio Tremonti non aveva nessuna intenzione di inserire il capitolo pubblico impiego nel testo. Tant’è che la versione di giovedì mattina - il giorno della sigla - non lo prevedeva. È stata l’offensiva di maurizio sacconi e poi di renato Brunetta a sfondare le reticenze del ministro dell’Economia, che a quel punto ha preteso «paletti» rigidi sui vincoli di finanza pubblica.
Quello che ne è scaturito è un combinato disposto che attacca il salario reale dei lavoratori. In tre punti l’intesa sui pubblici si differenzia dalle disposizione per i privati. Prima di tutto la scansione temporale. Prevedere che le risorse per i rinnovi devono essere stabilite «nel rispetto e nei limiti della necessaria programmazione prevista dalla legge finanziaria», come recita il testo, equivale a dire che la decisione deve arrivare entro giugno, data limite del Dpef. Il calcolo delle risorse da destinare agli incrementi è demandato ai vari ministeri, i quali assumeranno l’indice Ipca (quello sull’andamento delle spese delle famiglie valutato a livello europeo) «quale parametro di riferimento». L’indice, che per i lavoratori privati è un moltiplicatore, per i pubblici diventa un riferimento. Saranno i ministri a decidere all’interno dei vincoli di finanza pubblica. La verifica sugli eventuali scostamenti tra quanto programmato e l’andamento reale del costo della vita per i pubblici avverrà «alla scadenza del triennio contrattuale» 8per i privati in vigenza del contratto). Considerando che si è partiti da giugno di tre anni prima, si rischia di incassare l’adeguamento ogni 4 anni (sempre che i vincoli di bilancio lo consentano).
Ma un’altra «piccola» (si fa per dire) trappola si nasconde dietro quest’ultima disposizione. L’adeguamento infatti viene subordinato agli «andamenti delle retribuzioni di fatto dell’intero settore». È qui che la parte non contrattualizzata rischia di pesare di più, e facendo media, di limitare le possibilità di guadagno per chi sta in basso. Senza contare il fatto che con l’esodo di molti pensionati e il blocco del turn-over, la media si calcolerà su un minor numero di unità e quindi tenderà a salire. E quindi a ridurre la quota relativa all’adeguamento.
Tutto questo piomba su uno scenario già ad alto grado di conflittualità. Entro i primi giorni di marzo si prevede l’astensione del comparto della scuola, dove è già stata annunciata una mobilitazione.
BIANCA DI GIOVANNI
ROMA
bdigiovanni@unita.it