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Unità: Quei bulli fra i banchi. L'Italia non educa più

LA CRISI DEI GRANDI EDUCATORI, dalla famiglia alla scuola. I figli crescono guardando la televisione e frequentando gruppi ristretti di amici. Dopo anni di discorsi, una stagione di brutti e violenti episodi nelle nostre aule porta alla ribalta il ruolo di chi deve insegnare le regole. di Massimo Franchi e Maristella Iervasi

19/02/2007
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l'Unità

uasi mille telefonate al giorno. Il numero verde antibullismo 800 66 96 96, attivo dal 6 febbraio, è formato da una task force di psicologi che a rotazione rispondono alle 10 linee predisposte dal ministero. «Quello che sta emergendo è un forte disagio dell’intero contesto scolastico», spiega Laura Volpini dell'Università “La Sapienza” di Roma e coordinatrice del Numero verde. «Ci telefonano in modo uniforme da tutte le zone d’Italia, si rivolgono a noi ragazzi per denunciare episodi e informarsi sulle sanzioni previste (aumentate fino a 15 giorni di sospensione tranne in casi di reati), genitori che denunciano casi personali e nella stessa misura insegnanti che invece chiedono informazioni su come prevenire certi episodi. Dai casi segnalati vengono fuori situazioni strutturali, comportamenti che vanno avanti da anni». Proprio come da definizione di bullismo: comportamenti persistenti di sottomissione di ragazzi su altri ragazzi. Quello che cercano di fare gli psicologi è di lasciar raccontare con dovizia di particolari ciò che è accaduto. «Le telefonate durano una media di 15-20 minuti - continua Laura Volpini - e noi cerchiamo di sottolineare e valorizzare la correttezza del comportamento dei ragazzi che hanno subito atti di bullismo (il cosiddetto “empowerment della vittima”)».
Per dare un’idea della necessità del numero verde, nel solo primo giorno di attivazione arrivarono mille e 150 telefonate: 326 erano di insegnanti, 102 di dirigenti scolastici, 105 dei familiari e 617 degli studenti. «L’impressione - ammette la professoressa Volpini - è che stiano emergendo situazioni che prima non venivano denunciate per molte ragioni».
Soprattutto i giovani stanno prendendo confidenza con la possibilità di farsi ascoltare: «Superata la diffidenza iniziale, raccontano molti episodi che succedono nelle loro classi». Sul perché accadono, la professoressa ha le idee chiare: «A livello individuale abbiamo il cosiddetto disimpegno morale. Negli ultimi anni si è registrato un repentino scollamento tra il livello cognitivo e il livello emotivo dei singoli ragazzi. Se dal punto di vista tecnico e intellettivo le capacità sono accelerate, al contrario non sono più in grado di elaborare, contenere e direzionare le emozioni e i comportamenti, spesso a causa di scarse relazioni sociali che si riducono quasi solo al gruppo di compagni di scuola». Un gruppo che nei casi di bullismo registrati è una costante: sempre formato e strutturato da anni con un leader ben identificato. «Da soli pochissimi ragazzi potrebbero commettere quanto fanno insieme, operando in gruppo c’è un disimpegno morale».