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Unità: Quelle maestre di Alba che insegnarono a cambiare l’Italia

LA RICERCA Un interessante saggio sul ruolo formativo e di educazione laica delle insegnanti elementari tra fascismo e dopoguerra

23/11/2007
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l'Unità

di Marina Boscaino

Michele Coppino, ministro della pubblica istruzione durante il primo e il secondo governo Depretis, fu l’autore nel 1877 della legge omonima di riforma del sistema scolastico italiano, che rese obbligatoria e gratuita la frequenza della scuola elementare. La legge prevedeva una scuola, appunto, obbligatoria, gratuita e aconfessionale; e fissava tra le materie di insegnamento le «nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino», sostituendole all’insegnamento della religione, che poteva essere effettuato solo su richiesta e fuori dall’orario scolastico. La Fidapa (Federazione Italiana Donne Professioni Affari) di Alba - città di origine di Michele Coppino - ha recentemente pubblicato un interessante contributo dal titolo Donne di Langa: le maestre di Alba e dell’albese. La perifericità del punto di vista non deve scoraggiare, né allontanare dalla significatività del contributo: la curiosa carrellata restituisce senza troppa retorica alla memoria la centralità di figure che hanno avuto una funzione fondamentale nello sviluppo del nostro Paese, nella campagna del Piemonte meridionale come in qualsiasi angolo del Sud. Sulle suggestioni di Prima della quiete di Elena Gianini Belotti, la stessa autrice di Dalla parte delle bambine, che raccontava la storia controcorrente di una giovane maestra che - nella retriva società ottocentesca - sfida le regole fino al proprio sacrificio, questo libro dimostra come la presenza di donne energiche, volitive, talvolta profondamente consapevoli del proprio ruolo sociale, politico e culturale, siano riuscite - nel corso del Novecento - ad invertire la convinzione consolidata che la mancanza di risorse propiziasse il ricorso alla mediazione dei sacerdoti; sconfessando progressivamente l’idea che l’apprendimento delle pratiche religiose fosse in generale la migliore, se non l’unica forma di educazione concessa e consigliabile per il popolo. Una tenace difesa del principio emancipante dell’alfabetizzazione, senza timori reverenziali né dubbi di carattere morale, ha fatto sì che queste donne si siano fatte portatrici, negli anni e per generazioni di bambini, di un messaggio autorevole, che è riuscito a contrastare - nelle Langhe come altrove - la pressione esercitata dalla chiesa da una parte; e a mediare i cambiamenti a livello sociale, economico e culturale che si sono verificati, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale.
La scuola elementare e le maestre - i cui visi ricorrono antichi ed espressivi nello straordinario apparato iconografico del testo, ricco di documenti, fotografie, riproduzioni di manoscritti dalle sapienti e ordinate calligrafie - sono state lo strumento più prezioso per incanalare il cambiamento in binari di civiltà e di crescita etica e civile. Restituire alla memoria le storie private di quelle donne - alcune delle quali scomparse -, di quelle maestre che hanno accompagnato il cambiamento del nostro paese (soprattutto dopo la scuola di regime targata Mussolini) significa intrecciare con gratitudine la piccola con la grande storia. E riconoscere il ruolo importante che, silenziosamente e discretamente, la scuola italiana - soprattutto quella elementare - ha giocato negli anni della guerra e in quelli immediatamente seguenti; ricostruendo dalle ceneri di un periodo desolato e desolante il senso profondo dell’appartenenza ad una comunità che - passo dopo passo - prendeva le misure con principi accantonati per venti anni: democrazia, libertà, valore emancipante della cultura, laicità. Quelle storie di donne «normali» - indissolubilmente legate alla grande storia - attraverso le parole di chi ha potuto raccoglierne l’insegnamento (gli alunni), tratteggiano un quadro convincente di quel periodo di straordinaria evoluzione socio-culturale che è stato il dopoguerra italiano. Restituendole, nel contempo, alla memoria e alla dignità di un ruolo che ancora oggi, a distanza di tanti anni, stenta ad avere il riconoscimento che merita come elemento realmente nevralgico della crescita etica e civile del nostro Paese. Donne, appunto; con questa funzione riconosciuta e riconoscibile attraverso le testimonianze: a dimostrare ancora una volta che la «femminilizzazione» della professione del docente - di cui ancora oggi la scuola italiana risente - se da una parte è stata funzionale a un bisogno storicamente determinato della società, dall’altro ha marginalizzato l’intera categoria e sacrificato vocazioni, capacità, intelligenze che già nel passato avevano avuto modo di esprimersi, nonostante le condizioni di estremo sacrificio e i bassissimi salari. È arrivato forse il momento di cominciare a pensare di rimuovere il pre-giudizio che ha imposto modalità, orari, dimensioni professionali «a misura di donna-madre-lavoratrice», imponendo al contempo e implicitamente il patto scellerato del poco lavorare-poco pagare. Ma questo è un altro discorso. Qui ricordiamo, ci incuriosiamo, partecipiamo, fantastichiamo sulla vita delle maestre di Alba e dell’albese. Con il rispetto e la considerazione che le loro esperienze meritano.