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Unità: Quelle voci lontane

I ragazzi e la camorra

22/04/2008
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l'Unità

Enrico Fierro

Se fossimo uomini d’onore dovremmo chiedere scusa ad Anna, Antonio ed Elisa. Dovremmo chinare la testa di fronte alle loro vite e alle loro angosce che non abbiamo saputo vedere, sfiorati come eravamo dalle nostre vuote certezze di cartapesta. E dovremmo farlo con l’umiltà di chi, pur avendo tutti gli strumenti (gli studi, il mestiere, il potere, la responsabilità), non si è accorto neppure della loro esistenza. «Noi» siamo i privilegiati, quelli che lavorano nei giornali, quelli che qualche libro lo hanno letto, noi siamo quelli che stanno nelle università, quelli che si sono fatti eleggere al Comune, alla Regione, alla Camera.
«Noi» siamo quelli che, in un modo o nell’altro, esercitano un potere. «Noi» siamo quelli - democratici e di sinistra, illuminati e progressisti - che dopo quel 14 aprile che somiglia sempre più ad un modernissimo e tragico 18 aprile, oggi hanno scoperto l’est e l’ovest del Nord. Con la meraviglia dell’entomologo che osserva un insetto mai visto prima, abbiamo ammesso che sì, quel pezzo d’Italia non lo conoscevamo e ne ignoravamo il malessere. «Noi» siamo quelli - nei giornali, democratici, illuminati e pure di sinistra, nei partiti che vogliono cambiare l’Italia e nei luoghi che contano - che oggi dovrebbero umilmente prendere atto del proprio fallimento. Perché sappiamo poco di un altro malessere, quello che cova nelle viscere profonde del Sud. Sappiamo poco di «loro». «Loro» (Anna, Antonio, Elisa e gli altri) sono i ragazzi e le ragazze della scuola «Salvo D’Acquisto» di Miano, che una brava giornalista, Daniela De Crescenzo ci ha raccontato su un grande giornale del Sud, Il Mattino. Daniela ha letto i temi nei quali questi ragazzi parlano della Camorra. Quella «mappaglia di persone che vedo nel mio quartiere, che spacciano ma a noi ci proteggono», come scrive la tredicenne Anna.
Miano, periferia nord di Napoli, quartiere stretto tra Scampia e Secondigliano, qui vivono 30mila persone, il 30% sono disoccupati, i giovani non possono neppure permettersi il lusso di sperare nel futuro perché il 50% di loro è senza lavoro. La gente si «arrangia», tanti mangiano il «pane» della camorra. «Molti ragazzi cominciano a spacciare a tredici anni - scrive Alberto - e diventano importanti». «Penso che senza la camorra non potremmo stare perché ci protegge tutti, pure il fatto che tutti pagano il pizzo non è giusto, ma chi paga resta protetto», si legge nel tema di Antonio. Pensieri di ragazzi costretti a vivere in quartieri dove manca tutto, con case brutte, palazzoni orrendi, quartieri dove l’unico Stato (con le sue leggi, la sua polizia, le sue tasse, le opportunità di lavoro, di arricchimento e di felicità che offre) è la Camorra. A Miano, come a Secondigliano e Scampia, pochi anni fa si è combattuta una guerra spietata tra clan - i Di Lauro e gli “spagnoli” - per il controllo del traffico di droga. Tutto sotto gli occhi di questi ragazzini. La Camorra l’hanno vista, osservata, spesso sono stati inebriati dalla sua aura di potenza, di ricchezza e di ascesa sociale. Un «palo» (l’ultimo gradino della complessa scala camorrista), uno che deve controllare che nella zona non entrino estranei («sbirri» o membri di altri clan) guadagna fino a 150 euro al giorno. Può comprarsi la maglietta «Dolce e Gabbana», svettare sul motorino, farsi una dose di coca. «Quando scendo vedo i bambini, perché sono i bambini che spacciano, in grandi macchine. Uno qualsiasi che lavora non se le può permettere», si legge in un tema. Già, a Miano - come a Scampia, Secondigliano e negli altri quartieri-stato della camorra -, chi ha la fortuna di avere un lavoro è uno «qualsiasi». Questo vedono i bambini in un quartiere grande come una cittadina di quel Nord (operoso, spina dorsale del Paese, realtà dalla quale ripartire, e vai con tutte le dotte, allarmate e ripetitive analisi di questi giorni) che non conoscevamo. Ma sappiamo cosa è diventata Napoli, eterna e tragica metafora del Sud? No, non lo sappiamo, o facciamo finta di non saperlo, perché ci siamo aggrappati alle nostre certezze e non abbiamo visto, non abbiamo ascoltato, non ci siamo allarmati di fronte alle cose che esperti, scrittori, magistrati ci dicevano. Nell’aera metropolitana che si muove attorno alla città vivono 4 milioni di abitanti (un terzo del Belgio, dieci volte più del Lussemburgo, poco meno della Nuova Zelanda), il 30% ha precedenti di polizia, la camorra conta 78 clan organizzati con 3mila affiliati, ma il numero di quanti vivono dell’«indotto» criminale è ben più alto. Franco Roberti, il procuratore distrettuale antimafia di Napoli, da tempo ci avverte che la camorra non è affatto una «emergenza», «ma è parte integrante, anche con le sue faide più sanguinose e con i suoi delitti più efferati, della storia di Napoli ed è elemento costitutivo della societa` dell’area metropolitana sviluppatasi intorno» alla città. Una camorra forte anche economicamente. In Campania il rapporto tra fatturato criminale e Pil è pari al 32% (in Sicilia siamo al 39 e in Calabria addirittura al 120%). Questa è l’Italia dove vivono Anna, Alberto, Elisa e i ragazzi di Miano. «La sera - scrive Annalisa - vedo gente che si scambiano dosi sotto al mio balcone, mia madre mi chiede di andare a buttare la spazzatura e mi trovo una montagna più alta di me». Non abbiamo visto, non abbiamo ascoltato, non abbiamo capito, chi poteva (la politica, democratica, progressista e illuminata) non è riuscita ad offrire un «pizzico» di felicità ai ragazzi di Miano. E il futuro non promette nulla di buono. È il Nord la nuova frontiera da conquistare. Napoli, il Sud, Annalisa e i ragazzi di Miano sono stati cancellati dall’agenda della politica.