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Unità: Quelli che rincorrono l’osso

Moni Ovadia

02/06/2007
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l'Unità

Il risultato delle ultime elezioni amministrative, pur parziale e limitato, è stato rivelatore di un grave stato di crisi. Questo purtroppo non riguarda solo uno schieramento ma tutto il paese. La destra italiana è così impresentabile che, anche se ha la possibilità di vincere le prossime elezioni, non è assolutamente in grado di risolvere i problemi strutturali ed endemici di un paese avanzato come, malgrado tutti i disastri, continua a rimanere l’Italia. È forse pensabile infatti che una coalizione tenuta insieme esclusivamente dal potere dei soldi e dal conseguente «carisma» di un caudillo mediatico, possa seriamente governare una democrazia e le sue complessità?

Le forze che compongono la Cdl, in quanto tali, non hanno mai dato una grande prova di sé. Nessuna delle formazioni che la compongono assomiglia seriamente ad una forza popolare conservatrice europea: non l’Udc, le cui prese di distanza non hanno saputo concretizzarsi in un vero superamento del berlusconismo né esprimere un vero leader, non An - il cui leader finora si è rivelato molto più chiacchere e distintivo che sostanza, legato com’è al suo mentore di Arcore e bloccato da un partito che trasuda ancora nostalgie fascistoidi e vocazioni autoritaristiche -, non la Lega le cui fibre costitutive sono intrise di localismo becero, razzismo strapaesano e xenofobia filonazista. I più ambiziosi di questa coalizione guardano al francese Sarkozy con l’acquolina in bocca ma se gli somigliassero non sarebbero compatibili con il Berlusconi che tanto amano o del quale non sanno fare a meno.

Dunque, fin quando il paese non potrà contare su una forza conservatrice moderna e credibile, l’intero sistema politico Italia, resterà infermo. Questa anomalia ha influenzato negativamente anche il centro-sinistra italiano, lo ha costretto a giocare di rimessa, ne ha indebolito l’identità, l’ha moralmente sfibrato, ne ha costretto l’azione entro limiti angusti. Il risicato margine di maggioranza dell’Unione al Senato è l’handicap principale per la coalizione e il grande numero di partiti che la compongono la obbliga a defatiganti mediazioni percepite dagli elettori come beghe di potere interne.

L’azione di governo, comunicata come peggio non si potrebbe, con un linguaggio artefatto spesso dal suono furbesco, ha l’effetto di apparire confusa, pavida, non dettata dalle reali esigenze del Paese. Certo lo stato dell’economia è decisamente migliorato come ha riconosciuto il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, ma il cittadino medio, quello più fragile, assillato dalle difficoltà quotidiane, agito ossessivamente dall’orizzonte angusto ma urgente del «ma a me cosa me ne viene», non capisce e vive la frustrazione di chi è disorientato. Gli elettori più esigenti, o più intransigenti, in particolare quelli di sinistra, provati da cinque anni di berlusconismo tutt’altro che domo, chiedevano pochi provvedimenti decisivi presi con lo stesso piglio civile di Zapatero: conflitto di interessi, cancellazione tout court della Castelli, laicità dello Stato, Dico. Nulla di tutto questo è stato fatto con chiarezza. I politici adducono come ragione dei mancati o parziali adempimenti, le difficoltà di una maggioranza disomogenea, risultato tossico di una legge schifosa approntata come trappola a scoppio ritardato dal centro-destra. Vero. Ma non c’è stata una vera battaglia dura con mobilitazione della società civile contro quello che fu un vero e proprio sfregio alla democrazia. La legge è passata senza troppi drammi, in compenso prima delle elezioni abbiamo sentito diversi esponenti dell’Unione, ripetere con compiacimento le parole: «non imboccheremo la deriva zapaterista» ovvero noi useremo le mille cautele, i bizantinisimi di puro stile democristiano, solo che per poterlo fare, bisogna essere la Dc ed è bene ficcarselo in testa. La Dc è morta e soprattutto non c’è più il santo protettore del muro di Berlino. I masochisti responsabili che sostengono il centro-sinistra, come me, continueranno a ripetersi che tutto è meglio di Berlusconi, ma molti a sinistra preferiranno disertare le urne piuttosto che sentirsi raggirati. I moderati invece, in un quadro impapocchiato come quello attuale, continueranno a votare a destra.

È un assioma che nel torbido della confusione, sia sempre vincente la demagogia avventurista e qualunquista delle destre. È vitale non scordarlo mai.

Ora la palla è nel campo del futuro Partito Democratico e della «cosa rossa». Questa volta il campo non è il solito «teatrino», la partita non è quella elettoralistica, non serve rincorrere i voti come cani randagi alla ricerca di un osso.

Lo ripeto anche a rischio di apparire insopportabilmente ripetitivo: la sfida è culturale e morale.