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Unità: «Questa Italia scoraggiata è finita nelle mani dell’uomo delle tende azzurre»

Conversando con Edoardo Sanguineti

12/04/2009
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l'Unità

In tv continuano a scorrere le immagini del disastro dell’Abruzzo. Le case sventrate, le chiese ferite, le bare allineate, gli sfollati spersi. «È terribile», dice Edoardo Sanguineti. «È terribile vedere come certi edifici siano finiti in briciole e abbiano portato la morte. Eppure dovevano essere garantiti dal rischio sismico...».
Si ferma un attimo poi aggiunge con tono polemico: «E davanti a questa grande tragedia c’è chi cerca di ricavare consenso dalle tende azzurre...». A Edoardo Sanguineti, poeta e saggista acuto e ironico, Berlusconi non è mai piaciuto e non lo nasconde. Non gli piace per niente, oggi, quella continua esibizione di sé tra le rovine dell’Aquila. Proprio il terremoto - il segno di questa Italia vulnerabile e sofferente - è il punto da cui partiamo per ragionare su di noi e sul futuro.
Allora, Sanguineti un disastro ineluttabile quello dell’Abruzzo?
«Non credo proprio. Diciamo che non c’è stato controllo. Come è stato possibile che l’ospedale, la prefettura, la casa dello studente siano venuti giù in quel modo? Come è possibile che chi era lì per studiare non abbia avuto la minima garanzia di sicurezza? Che fine hanno fatto le leggi sul rischio sismico? È tutto terribile e dimostra a che livello di degrado siamo arrivati. Meno male che di fronte all’emergenza almeno una certa risposta di solidarietà c’è stata...»
L’emergenza mostra sempre il lato migliore degli italiani. Ma secondo lei nella normalità l’Italia di oggi non è invece cinica e indifferente?
«Io direi che questa Italia è molto scoraggiata. È caduta ogni fiducia, ormai si dice solo “spendete e spandete”. Ma questo scoraggiamento va oltre i nostri confini. La globalizzazione infatti sta mostrando i suoi effetti perversi. C’è un mondo pieno di proletari che non sanno di esserlo e la coscienza di classe si è persa. Ormai la pratica sociale più diffusa è il mobbing».
Eppure solo qualche anno fa ci dicevano che il capitalismo era trionfante...
«E invece nel momento di massimo splendore il capitalismo entra in crisi. Ma attenzione, perché vedrete che reagirà e lo farà con durezza. Però, possiamo dirlo: aveva ragione Marx. Basta vedere come nelle nostre città si aggirano masse disperate e ricchi spaventosamente ricchi per i quali non ci sono limiti. Rileggere Marx, questo dobbiamo fare se vogliamo riorientarci. Dico Marx, ma anche Gramsci e Benjamin: credo possano ancora aiutarci».
Qualcuno dice che è fallito un modello, quello del consumismo. È d’accordo?
«Certo. Ormai siamo cittadini non più di una Repubblica fondata sul lavoro ma di una Repubblica fondata sulla concorrenza spietata. Quando il consumo è tutto la Costituzione può essere rovesciata come un guanto. È quel che dice il nostro premier».
Insomma ha vinto Berlusconi?
«Sì, ha vinto violando, tanti anni fa, le norme sulle tv. Lì è nato un avveduto affarista che costruisce il suo apparato di persuasione. La tv non serve più a insegnare a leggere e a scrivere come faceva il maestro Manzi, né a formare una coscienza critica. La tv si occupa di questioni di letto, di grandi fratelli. E allora Berlusconi diventa un modello. Appunto: è l’uomo che ricava consensi dalle tende azzurre del terremoto. Le tende azzurre sono il simbolo del berlusconismo. Si è comprato il paese e utilizza ogni mezzo per dominarlo: il suo è un modello nazional popolare».
Che arriva persino all’uso delle ronde contro gli immigrati...
«Anche le ronde sono espressione di un paese arcaico. Un paese che non è più in grado di sopportare la presenza di chi non è noto. Non si tollera lo straniero e allora si occupa il territorio. È un elemento spaventoso della nostra storia recente».
Un vero disastro. E la sinistra dov’è finita?
«E chi lo sa... La sinistra è scomparsa in tutte le sue forme. E non solo nei suoi tentativi di trasformazione dopo gli errori di Occhetto. C’è stata una generazione dissennata che ha lavorato per cancellare la propria storia. E Berlusconi infatti si presenta come il salvatore dal comunismo. All’opposizione dice: arrendetevi. Tutto questo fa impressione».
Insomma non c’è speranza?
«Ma no, mantengo sempre una disperata speranza nella sinistra. Ma devo dire che è sempre più flebile».
Qualche segnale positivo ci sarà pure. Per esempio, i ragazzi dell’Onda. O il sindacato. Non sono un po’ di luce in mezzo al buio?
«Il sindacato sì. La Cgil sì e non solo per la bella manifestazione del Circo Massimo. L’Onda invece no, assolutamente. Ho visto in quel movimento una spaventosa depoliticizzazione, non sanno proprio quel che vogliono. C’è solo tanto individualismo».
Per fortuna che c’è Obama allora. Persino Ingrao dice che è l’unica grande novità...
«Non sono d’accordo con Ingrao. Certo Obama mica è da buttar via, un nero alla Casa Bianca, o un abbronzato come dice qualcuno, è una novità. E ci sono elementi positivi nei suoi primi passi. Anche una certa spinta utopica. Il punto è: chi rappresenta e quali classi? Non dimentichiamo che l’America non ha mai conosciuto la lotta di classe».
E se invece Obama riuscisse laddove la sinistra ha fallito, cioè cambiare il mondo?
«È possibile, è possibile. Ma io non ci credo, non credo che l’America cambierà mai. Un paese nato con una Dichiarazione di Indipendenza così arcaica e conservatrice dove può andare? Per me Obama non è una speranza. L’unica speranza resta il comunismo».
Il comunismo è la sua ossessione...
«Ma che cosa c’è d’altro? Il mondo è precarizzato, l’uomo è ridotto a merce. Quando vai in banca ti rendi conto che chi ti serve dietro lo sportello è uno sportello. È un essere docile che obbedisce per salvarsi. Se questo è il mondo bisogna impegnarsi e non solo con le manifestazioni o con le notti bianche. Ho spiegato due anni fa, proprio in occasione di un compleanno di Ingrao, come si diventa materialisti storici, come ci sono diventato io...»
E come ci si diventa?
«Con gli operai. La mia storia di materialista comincia con un operaio. Per me, bravo ragazzo borghese, tutto è cambiato quando ho conosciuto un operaio per la prima volta. Eravamo in guerra, lui si è fermato e ho capito che era parte di un altro mondo. L’ho visto poi con il fucile in spalla il giorno della Liberazione: l’operaio era un partigiano. Abitavo a Torino, tutto è cominciato da lì».
Un verso della sua raccolta “Postkarten” dice: “la poesia è ancora praticabile probabilmente”. In un mondo così a che serve la poesia?
«Serve a scrivere poesie che guardano il mondo con ottica comunista. Guardano il mondo, lo raccontano, lo interpretano».
Qual è il poeta che ha capito meglio il carattere degli italiani?
«Sicuramente Dante anche se era un feroce reazionario. Lui ha capito che il mondo era cambiato, che la borghesia era in ascesa, ha capito che la storia aveva avuto una svolta irreparabile. Insomma ha capito meglio di altri il disordine del mondo».
Sanguineti, qual è il leader della sinistra a cui si è sentito più legato?
«L’ultima persona sana è stato Berlinguer. Poi certo la sua impresa è fallita. Ma è fallita perché sono arrivate le armi. Hanno rapito Moro, sono cominciate le sedute spiritiche e il progetto si fermò».
Quale lezione ha lasciato Berlinguer?
«Berlinguer diceva allora una cosa semplice e forte: far soldi non è lo scopo dell’esistenza. C’è ancora qualcuno che lo dice? Mi pare di no e infatti guardate dove siamo finiti».
Ancora comunista, ancora avanguardista: insomma fedele a se stesso?
«Una volta mi chiesero quale fosse la mia migliore qualità e quale il mio peggior difetto. Risposi: l’ostinazione. Mi ostino, come Berlinguer, a dire che non si vive per accumulare ricchezza e penso che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro e non sul consumo. Qui invece ti dicono grazie solo perché consumi. E allora io ripeto: no grazie. E mantengo la mia ostinazione».
Ha descritto un quadro fosco: quindi è pessimista per il futuro?
«Userei questa espressione: ottimismo catastrofico. Certo che è un dovere essere ottimisti, come si fa. Però, devo essere sincero: non scommetterei un soldo sull’ipotesi che il mondo così com’è duri altri cinquant’anni. Forse ce ne andremo su Marte. Ma costa troppo, vedrete che non si farà».