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Unità: Rap di dolore per l’Università

Maurizio Chierici

20/11/2006
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l'Unità

Ascolto i ragazzi che a Roma sfilano per difendere scuola e università: «Abbiamo perso cinque anni, fate subito qualcosa». Si rivolgono ai politici incaricati di governare il disordine dell’eredità Moratti. Con i precari sempre lì a pretendere ciò che è dovuto: dieci, vent’anni fra banchi e laboratori senza intravvedere il futuro. E i precari della ricerca: cercano e magari scoprono ma non possono firmare progetti perché sono anime morte come i contadini di Gogol. Non esistono nei quadri delle università. Comparse «occasionali» da tempo infinito. Appena possono prendono l’aereo e vanno. Ma non mancano solo i soldi.

Il disagio è complesso anche se non sempre visibile dietro il perbenismo delle corporazioni. E il disamore allarga la delusione di chi sta entrando nella vita sociale. Ogni studente sopravvive come può nei gironi della disattenzione. Gli insegnanti sottopagati e innamorati del mestiere diventano rompipalle se rispettano la vocazione e comprimono l'esuberanza di ragazzi difesi da genitori permalosissimi appena si sfiora l'onorabilità del figlio al quale cantano ninnananne, non importa la violenza del branco. A volte il branco è cresciuto nella plastica dove padri e madri li hanno avvolti.

Gli insegnanti cosa possono fare? Sopravvivono promuovendo «per punizione». Anche le istituzioni cloroformizzate mantengono un rispetto formale lontano dalle esigenze concrete. I docenti ne sono coinvolti nel bene e nel male. Il male dell'arrendersi agli esempi malandrini della società attorno. Una parte di loro si era liberata dal familismo che aveva incuriosito Banfield nell'Italia del «Cristo si è fermato Eboli». Per un anno il sociologo americano ha vissuto a Montichiari, Basilicata 1951. I figli dei pastori ereditavano le pecore; i figli degli impiegati, l'impiego; i figli dei politici, la poltrona. «Sopravvivenza della cultura fascista, ma l’Italia cambierà», è l'ottimismo che chiude il vecchio libro pubblicato dal Mulino, «Familismo amorale nella società mediterranea». Amorale, non immorale: sfumatura sulla quale si è allargato il Paese dei furbetti. Le abitudini non sono tanto cambiate al sud come al nord. I professori che per onestà intellettuale avevano provato ad essere diversi dai notabili attorno, alla fine si sono rassegnati: la semplicità di soccorrere i vincitori, carriere sicure. Soprattutto nelle università. Mogli, figli, parenti, amici o assistenti disponibili a trasformarsi in facchini nei traslochi del barone che cambia casa, diventano gli eredi di una casta immaginaria. Non solo fra le corsie mitiche della medicina. Nelle pieghe di ogni facoltà. Capita che i professori che insegnano lettere, raccolgano attorno alle cattedre giornalisti di giornali e Tv e li trasformino in insegnanti a contratto, magari tecnici senza laurea reclutati con paghe da fame. Solo chi guadagna un vero stipendio facendo altro mestiere può accontentarsi della mancia di qualche euro pur di rinvigorire l'ambizione di un curriculum senza medaglie. La consapevolezza del favore richiesto non è mai messa in dubbio. Ogni gentilezza va ricambiata: il professore scriverà il proprio nome sul grande quotidiano o discuterà da tuttologo nelle chiacchiere dei pomeriggi Tv. Una mano lava l'altra in attesa che i figli crescano e le mogli avanzino permettendo di organizzare concorsi ritagliati come giacche sulle loro speranze. Se per caso le cattedre scarseggiano, basta moltiplicarle con scienze immaginarie. Come Scienza della Comunicazione, fabbrica di disoccupati eppure tanto utile nell’aprire la carriera di chi è vicino al cuore dei maestri. Non tutti, ma un'infinità di vestali della cultura usano l'università come trampolino personale. La formazione dei ragazzi resta un optional secondario. Non trascurando i politici, come di dovere. Quanti professori sono diventati ispettori dello Sgarbi sottosegretario? La riconoscenza consisteva nella devozione che ne appagava la vanità. Sempre in prima fila ad applaudire, mogli e figli in bella vista, appena l'onorevole scioglieva le parole nella conferenza che graffia. Evviva, ma che bravo. Come fai ad essere così? Hai uno che ti somigli da mettere in cattedra nella mia facoltà?

È solo l'esperienza di chi misura dall'esterno una generazione accomodata nelle cattedre lasciando correre i problemi del tempo. Ma i ragazzi come ci guardano?

Una lunga lettera fa capire in quale modo si possa navigare nelle scuole e nelle università. «Mi chiamo Daniele Ferro, ho 22 anni, sono di Voghera. Dopo la laurea triennale in Comunicazione Interculturale e Multimediale all'università di Pavia, mi sono trasferito a Roma per seguire alla Sapienza la specialistica in Innovazione e Sviluppo. Fino a qualche anno fa non mi interessavo di politica più di quanto non faccia un ragazzo nato in una buona famiglia, che lo ha educato donandogli tutto, anche con sacrificio, ma facendogli capire la necessità di meritare ciò che si riceve. Poi, a diciotto anni, il dilagare del berlusconismo ha sollecitato nella mia coscienza una spinta alla responsabilità. Mi ha fatto capire quanto un uomo possa beffare e sfruttare altri uomini. Mi sono iscritto ai Ds il cui programma era nelle mie corde. Non è stato facile prendere la tessera: per un mese sono passato più volte alla sezione di Voghera prima di trovarla aperta. All'università ho scoperto che in Italia non c'è qualcosa che non vada: non va niente. Professori che non sono capaci o non hanno voglia di insegnare (forse anche loro vittime del sistema). Già al liceo il prof di storia e filosofia interrogava mentre sul banco tenevamo aperti i libri. Conclusione: di storia e filosofia non so una mazza, ed ho fatto il classico. All'università si passano gli esami, magari col 30, ma c'è da provare vergogna talmente è miserabile la preparazione richiesta. Come possiamo credere di poter affrontare i problemi che ci aspettano? E nei cortili incontro studenti che non pensano - neanche qualche volta - che altri coetanei lavoravano otto ore al giorno. Tutto ciò che ci accompagna sembra dovuto: il telefonino, la tivù, la macchina, i vestiti all'ultima moda, il letto, il cibo, indumenti ben stirati preparati dalla mamma o dalla domestica, la mancia a richiesta. I nostri nonni pativano il freddo e la fame ma sapevano rispettare i genitori e frequentavano la scuola con l'impegno di chi rispetta».

Qualcosa risolleva Daniele Ferro, finalmente: «Questa mattina abbiamo passato mezza lezione di diritto internazionale a parlare col professore dei problemi della scuola. Lui ci spiegava i suoi, noi i nostri. Siamo usciti dalla classe contenti perché il confronto e l'ascolto serio sono poco praticati in questa società». Provinciale che arriva a Roma, Ferro si guarda attorno. Vede i politici da vicino. A volte si scoraggia davanti alla Tv. Davigo, magistrato di mani pulite, fa sapere al Santoro che lo interroga: se un giudice coinvolto nella corruzione sedesse al mio fianco, sarei costretto ad alzarmi. Non posso condividere neanche una sedia con gente così. Allora, perché i deputati accolgono in parlamento - strette di mano e sorrisi - onorevoli bollati da sentenze passate in giudicato eppure ancora a piede libero grazie all'immunità ? Franco Maria Berruti, deputato Forza Italia, è uno dei condannati agli arresti parlamentari. Se nelle prossime elezioni non torna a Montecitorio finisce in galera per aver trafficato con Mediaset quand'era capitano della guardia di finanza.

E lo spettacolo del Cirino Pomicino nella commissione Antimafia? Solo Alberto Sordi poteva immaginarlo nella commedia delle maschere italiane. Povero tribunale che lo ha condannato. Quando sabato si approvava la finanziaria, il nome di Previti risuonava nell'aula. Il presidente Bertinotti lo invitava a decidere il destino del Paese. Malgrado il sigillo di una sentenza della Cassazione, l'avvocato Previti mantiene il diritto di pianificare la nostra vita nell'assemblea degli intoccabili. L'altro ieri non c'era: arresti domiciliari, ma stipendio da onorevole che rimpingua l'evasore fiscale miliardario (reo confesso) destinato alla prigione per aver corrotto i magistrati del tribunale di Roma. Soldi che passavano dalla Svizzera nel girotondo Mediaset. Sono sei mesi che i parlamentari incaricati di vigilare sul rigore morale dell'immunità, non trovano il tempo di sedersi attorno al tavolo per estirpare il detenuto dalle istituzioni.

«In politica vorrei fare qualcosa di buono», insiste l'idealismo del ragazzo Ferro. «Rinnoverò la tessera Ds, con un po' di tristezza. “Il potere è uno strumento insufficiente ma necessario per realizzare gli ideali in cui credo”, diceva Berlinguer. Eppure osservando alcuni politici, perdo la fiducia. A ventidue anni mi ritrovo a pensare di attendere la fine degli studi per andarmene dall’Italia, che amo e proprio per questo soffro: è più nobile aiutare i bambini del terzo mondo che muoiono di fame che non programmare sonni beati con la pancia gonfia dall'eccesso. Continuiamo a comprare e consumare...». E a non vedere, e a intrigare per arricchire anche quando si è più o meno sazi: sintesi di una lettera che testimonia il disagio delle generazioni che si affacciano. Come ogni giovinezza di ogni tempo vorrebbero cambiare il mondo dei padri, invece «potrei continuare facendo finta di niente, con la giustizia che non c'è, la discriminazione profonda di essere nati al Nord o al Sud. Il sistema che arriva dal passato come sta facendo crescere i propri figli ? Invita ad approfittare se si può, tanto se non lo fai tu ci pensa un altro. Fregali prima che ti freghino...».

Idealismo amaro, quasi fuori tempo, utopia post adolescenziale, oppure ha ragione? «Dovrò affrontare il doppio vincolo del sistema: lasciarlo e sconsolarmi per l'abbandono del luogo in cui sono nato, o continuare a viverci lottando al suo interno, ma soffrendo perché facendone parte sarei indirettamente artefice della miseria morale e materiale di milioni di persone nel resto del mondo. Ecco il problema: che fare?». Sembra un messaggio senza speranza, ma non lo è. Fa capire che malgrado le sciocchezze nelle quali noi li anneghiamo, i ragazzi resistono, forse una minoranza, ma sono lì. Merito importante dell'educazione (e non disattenzione) familiare quando «dà tutto il possibile, anche con sacrificio, facendo capire la necessità di meritarsi ciò che si riceve».

Buon senso contadino da trasferire nel viatico dell'elettronica. Ed ascoltare. L'indignazione di certi ragazzi non è il rap che cambia le parole quando cambia l'età, né la ricerca ingenua di una società ideale. Solo la voglia di una società normale. Come rispondiamo?

mchierici2@libero.it