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Unità-Rischio in tre mosse-di Fabio Mussi

Rischio in tre mosse di Fabio Mussi Se un paese ha bisogno di riforme, è meglio farle o non farle? È meglio farle. Dovendo farle, è meglio o peggio perseguire il dialogo e trovare larghe intes...

06/01/2003
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l'Unità

Rischio in tre mosse
di Fabio Mussi

Se un paese ha bisogno di riforme, è meglio farle o non farle? È meglio farle. Dovendo farle, è meglio o peggio perseguire il dialogo e trovare larghe intese? È meglio. Ed è o no opportuno, anche quando ci sia da protestare, avanzare proprie proposte, e opporre ad ogni no un sì? È opportuno, certamente. Risolta così, spero con soddisfazione di tutti, la principale questione dottrinale, veniamo alla dura realtà.

Sono in campo quesiti di non poco conto: le opposizioni parlamentari (e l'Ulivo in primo luogo) devono mettere, qui e ora, tra le loro priorità le riforme costituzionali? E ancora: esistono le condizioni politiche per dichiarare, o riconoscere aperta una "nuova stagione delle riforme"? Io penso sinceramente di no.

Si capisce l'interesse spasmodico del centrodestra, del governo e di Berlusconi. Quella di un Capo eletto direttamente dal popolo può essere una eccellente via di fuga dalle loro crescenti difficoltà, e al tempo stesso il compimento di un progetto: Italia, Paese declinante e subalterno retto da un Capo. È una soluzione: devastante e regressiva, ma una soluzione.

C'è poco da fare: la "devoluzione", passata dopo una asperrima battaglia al Senato, non completa né corregge la riforma del Titolo V della Costituzione, dedicato alla forma dello Stato. È piuttosto una bomba innescata sotto il principio dell'"Italia una e indivisibile" - che il Presidente Ciampi ha mille ragioni a richiamare costantemente con tanta forza -, e pronta ad esplodere sui legami di solidarietà che tengono la società italiana. Questo fattore dissipativo e disgregante, questa "riforma" voluta dalla Lega e consentita (pur con rilevanti malesseri) dal centrodestra, e che arriva ora alla Camera, dovrebbe per l'appunto essere compensata da un cambiamento della forma di governo centrata sul fatto che Uno (Premier, presidente della Repubblica, Berlusconi è uomo di bocca buona') viene eletto direttamente. Da una parte si sconnette lo Stato, dall'altra si concentra potere. Le intenzioni mi sembrano chiare e cattive. Il vicepresidente Fini ha avanzato l'ipotesi del Premierato, con l'elezione diretta del capo del governo, come soluzione di mediazione. Ho ancora nelle orecchie i sarcasmi dell'ultimo presidente di Bicamerale: "Se non esiste da nessuna parte in Europa, una ragione ci sarà'".

Il quadro è questo. La cornice è stata accuratamente disegnata nel corso del 2002, in tre mosse. 1) Legislazione penale speciale, con rilevanti garanzie di impunità per i gruppi di potere e le classi privilegiate: Cirami, depenalizzazione del falso in bilancio, rogatorie internazionali (per quanto questa legge sia stata aggirata dalle interpretazioni giurisprudenziali). 2) Legalizzazione del conflitto di interessi (La legge Frattini arriva ora alla Camera). 3) Estensione quasi monopolistica del controllo sul sistema dell'informazione (si è fatto l'opposto di quanto indicato dal solenne messaggio alle Camere inviato nel luglio scorso dal presidente della Repubblica). Su l'Unità Franco Bassanini ha sviluppato una ampia riflessione a partire da quei "principi intangibili, che non ammettono compromessi", di cui ha parlato il Presidente Ciampi. Il punto è proprio che alcuni dei principi intangibili sono stati toccati, eccome.

Le tre mosse già compiute hanno radicalmente messo in discussione la separazione e l'equilibrio dei poteri, ridotto il pluralismo e le garanzie democratiche. In questo quadro reale, il rafforzamento dei poteri dell'esecutivo, e l'elezione diretta del capo (del governo o dello Stato, con le attuali o con ulteriori funzioni) scivola inesorabilmente verso il plebiscito. Qualcuno riesce ad immaginare una competizione, con voto popolare diretto, in cui uno dei contendenti nel frattempo è riuscito a sottrarre se stesso e gli amici più cari al controllo di legalità, attaccando il principio costituzionale della indipendenza ed autonomia della magistratura, ha cancellato per legge ogni confine tra interessi privati e doveri pubblici, è in grado di usare a suo piacimento tutta la televisione e gran parte della carta stampata? Si entra per questa via nel Regno di Semiramide, "che libito fè licito in sua legge", non nei territori sui quali sventolano le bandiere della democrazia, magari più delegata e meno partecipata. Penso anche che l'insistenza di Berlusconi sul 2003, l'anno - questo - in cui avviare e concludere la riforma costituzionale, miri a costruire l'evento che anticipi non solo le elezioni politiche del 2006, ma le regionali del 2005.

Nessuna possibilità di dialogo? Le condizioni potrebbero essere esattamente collegate ai tre punti che ho tentato di indicare, dunque abrogazione della Cirami e delle norme sul falso in bilancio (considerando anche la recente esperienza americana di una colossale alterazione delle regole del mercato e della concorrenza, e il relativo giro di vite contro la corruzione economica); lo stop alla attuale legge sul conflitto di interessi, e una sua riscrittura più consona allo spirito di una democrazia occidentale; un accordo sulla Rai, perché il servizio pubblico, chiusa la farsa dei due asserragliati nel Consiglio di amministrazione, garantisca, con la qualità, quel pluralismo senza il quale la democrazia moderna diventa un guscio vuoto.

C'è una disponibilità del centrodestra? Sarebbe una novità politica interessante. Ma ne dubito. Allora però l'offerta di "dialogo" da parte di Berlusconi diventa l'imposizione di un Patto Leonino.

Ma in Parlamento il presidente del Consiglio ha i voti, si dirà. Forse non tutti quelli che figurano sulla carta. Tuttavia l'osservazione è giusta. Berlusconi procederà. Ma noi, prima ancora di definire le più efficaci condotte parlamentari, noi che cosa intendiamo comunicare al paese oggi? Che le nostre proposte sono diverse, ma che l'agenda è la stessa? Che la nuova "forma di governo" - premierato, cancellierato, presidenzialismo, semipresidenzialismo etc. - è la nostra stessa priorità per il 2003? Che si sta riaprendo un civile dialogo in cui si confrontano alla pari ipotesi diverse? Che la Bicamerale è risorta, o almeno il suo spirito? O piuttosto che c'è in campo un progetto della destra che porta dritto, più che a riforme democratiche, ad uno smantellamento della Costituzione e al plebiscito?

Quale giudizio diamo della situazione? Quale giudizio della realtà effettuale? Poi, ben vengano le proposte concrete e positive (anche se devo notare che non conosco sede dell'Ulivo in cui in questa legislatura se ne sia discusso, e non vedo convocata nessuna assemblea dei parlamentari, neanche ora che, dopo lungo penare, è stata istituita con regolare regolamento). Ma non fingendo uno stato delle cose immaginario. Opportunità ne vedo poche, rischi in quantità. Gli stessi che hanno visto, e denunciato nelle piazze italiane negli ultimi mesi, milioni di persone, tornate protagoniste di grandi movimenti di massa. Le persone possono tornare a casa, e anche i loro voti.


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