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Unità:Save the children: la scuola è un diritto anche in guerra

Vi prego riaprite la scuola. La guerra la fanno i grandi, ma coinvolge anche noi ragazzi

04/10/2006
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l'Unità

Vi prego riaprite la scuola. La guerra la fanno i grandi, ma coinvolge anche noi ragazzi. Ora, dopo gli scontri, nella mia zona non c´è l´elettricità, ma io i compiti li faccio lo stesso vicino ad un lampione della strada principale. Non voglio rinunciare a studiare perché la scuola è la cosa più importante del mondo.A parlare è Junior un ragazzo di 13 anni della Costa D´Avorio che come tanti altri bambini viene quotidianamente privato del diritto allo studio. Ma come lui ce ne sono tanti anzi «troppi» denuncia save the children l´associazione umanitaria per i diritti dei minori che parla, cifre alla mano, di oltre 43 milioni di minori che non possono andare a scuola perché vivono in aree di conflitto e postconflitto.«La situazione va ben oltre l´emergenza - spiega Maurizia Iachino, presidente della sezione italiana - per questo noi con altre organizzazioni siamo impegnati nella campagna L´istruzione combatte la guerra». L´iniziativa è partita il 12 settembre scorso contemporaneamente in 40 paesi del mondo con l´obiettivo di fornire educazione di qualità a 8 milioni di bambini in 20 Paesi distribuiti in Africa, Asia, America Latina e Balcani.Una sfida globale a favore dell´educazione è l´obiettivo del progetto: l´unica arma utile deve essere l´istruzione. «Sostituire la matita al fucile è il nostro motto», spiega Iachino. Questo è l´unico strumento che i bambini devono usare».Spesso, però, non è così perché nella maggior parte delle zone di guerra i bambini vengono rapiti a forza nelle scuole per essere reclutati nell´esercito. Ma la situazione è critica in diverse parti del mondo. Save the children cita alcuni esempi importanti: solo nella Repubblica democratica del Congo sono 5 milioni i bambini in età scolare (6-11 anni) che non vanno a scuola e più di 6 milioni, dai 12 ai 17 anni, non ci sono mai andati. Nel Darfur, nel Sudan settentrionale, solo il 39% dei bambini in età scolare è iscritto a scuola.In molti casi sono le famiglie a non essere disposte a mandare i figli a scuola perché corrono il rischio di essere attaccati, rapiti o arruolati dalle milizie. In Nepal, tra il gennaio e l´agosto del 2005, più di 11880 studenti furono rapiti dalle scuole di campagna per essere indottrinati o reclutati a forza nei gruppi armati. E agli insegnanti non va meglio, molti vengono uccisi nei bombardamenti che colpiscono le scuole oppure scappano per sfuggire alle violenze. La conseguenza è la forte carenza di docenti qualificati anche dove c´è la possibilità di insegnare.In situazioni di conflitto sono tanti gli equilibri che si distruggono e inevitabilmente anche i sistemi scolastici tendono a disgregarsi. La reazione immediata da parte degli organismi internazionali è quella di intervenire con aiuti primari quali protezione, cibo, acqua, misure igieniche e assistenza sanitaria. L´educazione è spesso trascurata dagli interventi di emergenza, ma quando si torna alla normalità la scolarizzazione torna ad essere un problema pesante.«Ma il passato non si cancella e gli anni che ti hanno rubato non te li da più nessuno», sottolinea Jhon Baptist Onama, che la guerra in Uganda l´ha vissuta. «Ormai vivo e lavoro in Italia, ma da certe tragedie non se ne esce facilmente, la guerra finisce e tu resti indietro. Io sono stato uno di quei fortunati che è riuscito a fuggire dall´incubo, ma la scuola non deve essere una prerogativa di pochi, l´istruzione è di tutti».«C´è una grande fame di sapere, quello dell´istruzione è un appetito speciale», afferma Sheila Siulu del Programma alimentare mondiale, agenzia Onu che coopera con Save the children. «Questi bambini sono di tutti e soprattutto sono tutti uguali, vogliono imparare, andare a scuola, ma nella lotta per la sopravvivenza non si può scegliere si deve sopravvivere. Dobbiamo essere noi a fornire le condizioni, non deve essere un'ambizione, ma una realtà».Una realtà che però potrebbe diventare difficile se tutti i Paesi si comportassero come l´Italia, all´ultimo posto nella classifica Ocse (organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) dei paesi donatori degli aiuti allo sviluppo. Nel 2005 i tre quarti degli aiuti bilaterali italiani sono andati in cancellazione del debito e solo un quarto in nuovi impegni di aiuti allo sviluppo.E tra le richieste di save the children c'è proprio un maggiore finanziamento della comunità internazionale a favore dei paesi colpiti dai conflitti. In particolare l´Italia dovrebbe rispettare l´impegno assunto di devolvere agli aiuti ufficiali allo sviluppo lo 0,7% del Pil. L´organizzazione umanitaria chiede anche di inserire l´educazione tra gli interventi immediati e urgenti perché ricorda «senza istruzione non c´è futuro».