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Unità: Scienza e competitività: gli Stati Uniti all’attacco

BUSH HA DECISO di aumentare in modo significativo i finanziamenti per la ricerca ma anche per l’istruzione scientifica. È la risposta americana alla minaccia asiatica: di chi sarà la leadership?

10/07/2006
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l'Unità

di Pietro Greco

L’IBM, una delle più grandi aziende informatiche del mondo, investirà 6 miliardi di dollari a Bangalore nei prossimi tre anni. Raddoppiando il numero di lavoratori (43.000) ai piedi dell’Himalaya. E spostando in India il centro di gravità globale dello sviluppo del software.

In un suo recente documento l’americana National Science Foundation rileva come il rapido sviluppo della scienza e dell’innovazione tecnologica in almeno otto diversi paesi dell’Asia continentale prefigurano un inedito cambiamento nella «geopolitica della ricerca». La scienza cessa di essere essenzialmente un fatto trans-atlantico - tra Europa e nord America, con l’aggiunta del Giappone - è diventa, anche, un fatto trans-pacifico. Ridisegnando, con ciò stesso, la geopolitica mondiale tout court.

La sola Cina aumenta gli investimenti in ricerca a un ritmo superiore al 20% annuo. E qualche mese fa la notizia che per la prima volta gli autori cinesi che avevano pubblicato sulla Physical Review Letters, la più prestigiosa rivista di fisica al mondo, erano stati superiori agli statunitensi aveva destato l’allarme del New York Times.

Certo, gli Stati Uniti sono preoccupati per lo sviluppo della ricerca scientifica in Asia. Sentono in qualche modo minacciata la loro leadership nel campo della scienza e dell’innovazione tecnologica. Sanno che se dovessero perdere questa leadership, perderebbero anche quella economica (e metterebbero quanto meno in discussione quella politica e militare). E reagiscono.

L’Amministrazione Bush ha varato la «American Competitiveness Initiative» (ACI), l’iniziativa per la competitività. In soldoni: nel 2007 porterà a circa 137 miliardi di dollari l’investimento pubblico in ricerca scientifica e innovazione (cui vanno aggiunti circa 200 miliardi di investimenti privati): il 50% in più rispetto all’anno 2001. Nei prossimi 10 anni spenderà direttamente 50 miliardi di dollari aggiuntivi in ricerca. E raddoppierà i fondi per la ricerca di base spesi dalla National Science Foundation (NSF), dal Dipartimento per l’Energia (DOE) e dalle strutture tecniche del Dipartimento del Commercio. Inoltre libererà risorse, mediante incentivi fiscali, per altri 86 miliardi di dollari per la ricerca e l’innovazione nelle imprese.

Non basta. Attraverso l’ACI, il governo federale - convinto che la partita si gioca anche nel campo dell’educazione - conta di spendere 380 miliardi di dollari aggiuntivi nell’istruzione matematica, scientifica e tecnologica delle scuole elementari e media (K-12). È, dunque, più che mai chiaro. Viviamo nella società e, quindi, nell’economia della conoscenza. Il numero di coloro che partecipano alla gara e si attrezzano per vincerla sta aumentando.

Significativo è il dato quantitativo: l’incremento delle risorse finanziarie messo a disposizione degli scienziati. Ma, ancor più significativi, sono i dati qualitativi. Primo, gli Stati Uniti reagiscono alla sfida asiatica nel settore dei prodotti ad alto valore di conoscenza aggiunto aumentando gli investimenti pubblici. Evidentemente anche Bush si è convinto che, senza la ricerca pubblica, la creatività scientifica di un paese si inaridisce.

Secondo, gli Usa aumentano, in particolare, i fondi destinati alla ricerca di base e curiosity-driven (fondata sulla curiosità). Una ricerca che produce nuova conoscenza ma che non promette risultati spendibili sul mercato economico a breve tempo. Anche se la storia dimostra che ne genera tantissimi nel medio e lungo periodo. Terzo, gli Stati Uniti - pur investendo in ricerca pubblica e di base - spingono ancora al massimo sulla «cultura di mercato» e, in particolare, sulla proprietà intellettuale che, nella società della conoscenza, ne è una delle anime vitali. Il motivo è economico. Come scrive la Casa Bianca, la proprietà intellettuale americana ha un valore economico pari a 5.000 miliardi di dollari: la metà dell’intera ricchezza degli Stati Uniti. Le industrie ad alta intensità di proprietà intellettuale - quella delle biotecnologie e dell’industria dell’informazione - sono responsabili del 40% delle esportazioni americane. Impiegano oltre 18 milioni di lavoratori, i cui stipendi medi sono il 40% superiori alla media americana.

La proprietà intellettuale - pensano alla Casa Bianca - sta assicurando agli Usa la leadership nella società della conoscenza. Cosicché intendono riformarla per rafforzarla. C’è da giurarci: quello dei brevetti diventerà sempre più uno dei temi caldi della globalizzazione. E domande come «a chi appartiene la conoscenza?» e «per chi è la scienza?» assumeranno sempre più una valenza politica ed economica.