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Unità: Scienziati «senza voce» Il Colle accoglie l’appello

Napolitano risponde a 1300 ricercatori e personalità che lamentano la mancata partecipazione negli enti pubblici di ricerca. La richiesta sarà inviata a Gelmini

06/08/2010
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l'Unità

Cristiana Pulcinelli

L’università italiana ha avuto la sua autonomia vent’anni fa. Oggi è il turno degli enti pubblici di ricerca. Si tratta di enti importanti come il Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche) , l’Inaf (Istituto nazionale di astrofisica) l’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) che dovrebbero finalmente avere la possibilità di autogovernarsi attraverso degli statuti. L’idea non è nuova, anzi è prevista nella stessa costituzione, all’articolo 33 che recita: «Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». Ma questa opportunità si sta rivelando una beffa. Lo ha denunciato l’Osservatorio sulla ricerca, un gruppo di scienziati che si occupa di politica della ricerca. A fine luglio l’Osservatorio ha lanciato in rete un appello in cui si sottolinea il fatto che «si stanno realizzando gli statuti autonomi di enti di ricerca in cui operano comunità scientifiche di assoluto valore e rilevanza internazionale, senza che nessuno scienziato di queste comunità possa partecipare alla stesura attiva di questi statuti». In due settimane l’appello è stato sottoscritto da oltre 1300 ricercatori tra cui personalità di rilievo come Margherita Hack, Carlo Bernardini, Lucio Luzzatto, Giorgio Parisi, Marcello Buiatti. Il 30 luglio l’appello è stato mandato al presidente della Repubblica. E il 2 agosto Napolitano ha risposto. Nella lettera, il presidente dice che invierà l’appello al ministro Gelmini «con l’invito a considerare attentamente le questioni da voi sollevate in merito alla presenza degli scienziati e dei ricercatori negli organismi di delineazione degli statuti degli EPR (Enti Pubblici di Ricerca, ndr) e poi in quelli di governo degli stessi Enti scientifici». «Il problema – spiega Rino Falcone, tra i primi firmatari dell’appello – è che negli organismi che stanno mettendo a punto gli statuti non c’è nemmenounmembrodella comunità scientifica interna all’ente interessato. Sono organismi composti da burocrati che non hanno nessuna idea di cosa sia la ricerca viva. Quindi non c’è nessuna autonomia partecipata. E il presidente sottolinea i limiti della legge nei due punti citati nella lettera». Tutta la storia comincia nel 2007 quando, sotto il governo Prodi, venne approvata una legge delega per dare autonomia statutaria agli enti di ricerca all’interno però di un quadro di riforma più complesso nel quale veniva istituita, ad esempio, anche una Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca. Secondo la legge del 2007, lo statuto di ogni ente sarebbe stato realizzato dal consiglio scientifico dell’ente più 5 personalità scelte dal ministro tra “esperti di alto profilo scientifico”. Nel decreto legislativo del 2009 voluto dalla Gelmini la legge del 2007 viene modificata: l’organismo che stende lo statuto è formato non più dal consiglio scientifico,madal consiglio di amministrazione (di nomina politica) più 5 esperti “dotati di specifiche competenze in relazione alle finalità dell’ente ed al particolare compito conferito”, scelti dal ministro (e quindi, ancora di nomina politica). Come d’incanto, sparisce l’alto profilo scientifico. Entro il 16 agosto gli statuti dovranno essere inviati al ministro Gelmini. Alcuni sono ancora in fase di elaborazione, ma le premesse non sono buone. Che Napolitano abbia a cuore le sorti dell’università e della ricerca lo dimostra il fatto che ieri ha risposto anche a un’altra lettera, inviata questa volta dai coordinatori della «Rete29 Aprile Ricercatori per una Università Pubblica Libera Aperta» nella quale venivano esposti vari problemi relativi alla nuova riforma attualmente all’esame del Parlamento. Nella lettera il presidente auspica che su università e ricerca si avvii un «confronto costruttivo che guardi al merito delle questioni e all’interesse di lungo periodo del nostro Paese» perché l’esigenza di una riforma e «una dotazione adeguata delle risorse sono due facce della stessa medaglia».