Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità: Scuola araba, il ministro Fioroni: «Non si apre senza autorizzazioni»

Unità: Scuola araba, il ministro Fioroni: «Non si apre senza autorizzazioni»

MIlano, anche ieri i bambini sono andati a far lezione in via Ventura. I loro genitori: «Vogliamo studiare la nostra lingua, che male c’è?»

11/10/2006
Decrease text size Increase text size
l'Unità

di Susanna Ripamonti

SCUOLA ARABA È bastata qualche rancorosa esternazione di esponenti del centro destra, o il dichiarato razzismo di un manipolo di leghisti (31 per l’esattezza,
nel momento di massimo afflusso) che sono andati a strombazzare coi megafoni, sotto alle finestre della scuola araba, appena aperta a Milano, in via Ventura, per mettere in moto un circuito di disinformazione, che la semplice lettura della normativa avrebbe disinnescato.
Partiamo dai fatti. Da anni i cittadini egiziani che risiedono a Milano chiedono una scuola araba (e non islamica) per i loro figli. Hussein, imprenditore egiziano, in Italia dall’86, spiega: «Io sono un cittadino italiano, i miei figli sono italiani e hanno studiato nella scuola pubblica. Adesso, per il più piccolo, c’era la possibilità di iscriverlo in una scuola araba, dove può imparare la nostra lingua, seguendo in parallelo i programmi ministeriali italiani ed egiziani. Che problema c’è? Non esistono forse scuole americane, francesi, giapponesi, ebraiche? C’è a Milano una scuola pubblica dove si insegna l’arabo? Datemi l’indirizzo e io sarò felicissimo di iscrivere mio figlio. L’arabo è una lingua complessa, non si può imparare da adulti e mi sembra normale che io voglia dare questa opportunità a mio figlio. L’Islam non c’entra, questa è una scuola laica, dove si fanno due ore settimanali di religione, esattamente come nelle vostre scuole».
Mara, italiana, sposata da 13 anni con un egiziano e convertita all’Islam prima del matrimonio, ha tre figli iscritti in via Ventura: «Negli anni scorsi hanno frequentato le scuole italiane e non hanno mai avuto problemi di integrazione o di inserimento. Adesso li ho iscritti qui perché voglio che imparino l’arabo. È una scuola che si finanzia con le rette che paghiamo, non chiediamo contributi a nessuno, ma sono allibita dall’ignoranza e dal razzismo che emerge in queste circostanze. Non siamo extra-terrestri perchè portiamo il velo o crediamo in un altro Dio. E non mi sembra assurdo desiderare che un figlio sappia parlare la lingua dei suoi genitori. Certo, ci apettavamo polemiche e attacchi, ma riteniamo di dover difendere un nostro diritto».
La scuola è nata dopo un lungo lavoro condiviso, gestito dall’associazione «Insieme» formata da italiani e egiziani e, ci tiene a precisare Pietro Farneti, membro dell’associazione, non ha niente da spartire con la scuola islamica di via Quaranta, che negli anni scorsi aveva svolto illegalmente attività didattiche. «Mi spiace che il ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni affermi che questa scuola deve essere chiusa perchè non è autorizzata. Noi, il 19 luglio abbiamo presentato il nostro progetto alla direzione didattica, allegando tutte le certificazioni richieste. Ci hanno obiettato che il contratto di locazione doveva essere quinquennale e abbiamo provveduto anche a questo. Poi abbiamo applicato la legge, assistiti dal nostro avvocato, il professor Valerio Onida. E la legge dice che c’è la facoltà di avviare le attività didattiche, comunicandone l’inizio, cosa che abbiamo fatto. Ora la direzione didattica ha 60 giorni di tempo per concedere il nulla osta e in assenza di comunicazioni vale la regola del silenzio/assenso».
Diverso il parere del ministro: «In Italia l’apertura di scuole non si declina in base alla caratterizzazione della scuola stessa, ma si declina nel rispetto delle norme e delle autorizzazioni che devono dare gli enti locali e gli altri organismi preposti. E ciò vale per chiunque. Se la scuola di Milano ha queste autorizzazioni può aprire, altrimenti no».
Ieri mattina, per il secondo giorno, i 60 bambini che frequentano elementari e medie, assistiti da 9 docenti egiziani, segnalati dal consolato e 9 insegnanti italiani, hanno fatto lezione e all’uscita, per niente turbati da fotografi e telecamere, hanno chiacchierato, rilasciando brevi interviste: contenti di essere in questa scuola, di studiare anche l’arabo. «Gli amici italiani? Ne ho tantissimi, in piscina, quando vado a giocare a pallone, a casa». Insomma, non sembravano vittime di qualche odiosa forma di segregazione. Qualcuno si è trovato il passo sbarrato da tre vecchietti leghisti che sventolavano cartelli: «Milano italiana, mai mussulmana» scritto con due esse, perchè l’ortografia è un optional. L’assessore regionale all’urbanistica Davide Boni rivendicava il suo diritto a scuole di milanese e di cassoela (piatto tipico regionale) per i suoi figli. Ma col dovuto rispetto per tutte le minoranze, forse anche i 31 leghisti di ieri dovrebbero prender atto di rappresentare solo se stessi e farsene una ragione.
Ora, come sostiene Fouad Allam (Ulivo) «la speranza è che non ci sia un accanimento burocratico puramente strumentale» e che la scuola araba possa proseguire serenamente le sue attività.