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Unità-Scuola, cosa insegna il modello emiliano

Scuola, cosa insegna il modello emiliano MARINA BOSCAINO Nel giugno 2003 la regione Emilia Romagna ha approvato una legge ispirata a quei principi che l'impianto della legge 53/2003, la...

30/01/2005
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l'Unità

Scuola, cosa insegna il modello emiliano

MARINA BOSCAINO

Nel giugno 2003 la regione Emilia Romagna ha approvato una legge ispirata a quei principi che l'impianto della legge 53/2003, la cosiddetta riforma Moratti, ha violato. In primo luogo la salvaguardia dell'obbligo scolastico, sul quale la Moratti ha passato di fatto un violento colpo di spugna attraverso la pacata ma ambigua formula del diritto-dovere: promessa apparente di libertà di scelta, premessa concreta di disuguaglianze sociali e di mancanza di pari opportunità per i cittadini del nostro Paese; di riproduzione all'infinito di differenze socio-economiche; di una visione della cultura alternativa e non necessariamente integrativa della professionalità. La bocciatura che la Corte Costituzionale ha riservato nei giorni scorsi al ricorso del Governo contro la legge della regione Emilia Romagna 12/2003 ha dimostrato l'infondatezza delle richieste dell'Esecutivo; che nei 6 articoli del ricorso contestava questa legge "anti-Moratti" e sottolineava la violazione da parte della regione Emilia Romagna delle competenze dello Stato in materia di istruzione. La legge invece, considerato il parere della Consulta, si colloca integralmente nel quadro della norma nazionale, considerata la possibilità delle regioni di legiferare in proprio in base al nuovo titolo V della Costituzione. 2 punti appaiono particolarmente rilevanti nell'ambito di questo progetto alternativo alla controriforma firmata Moratti, perché configurano una vera e propria battaglia sui principi fondamentali. La legge dell'Emilia Romagna prevede la generalizzazione della scuola materna, una delle mancanze più significative nel piano Moratti che non ha ritenuto necessario assicurare questo tipo di intervento; che finalmente renderebbe giustizia al ruolo fondamentale che la scuola materna ha nello sviluppo armonioso del bambino e nella formazione dell'uomo e del cittadino. Sebbene oggi molti bambini restino esclusi dalla scuola materna, considerate le interminabili liste di attesa e la penuria di strutture in alcune zone del nostro paese, la Moratti ha ritenuto prioritario prevedere l'anticipo scolastico. Trovata tanto demagogica quanto vincolata alla capacità recettiva delle scuole, comunque obbligate ad accogliere prioritariamente i bambini in età regolare. Ne deriva una differenziazione per zone: alcune con classi di bimbi nati dopo il 31 dicembre dell'anno di riferimento; altre con bambini che - pur nati in quel termine - non riescono a frequentare un solo giorno di materna. La legge prevede poi un "biennio integrato": che da una parte offre a chi esce dalle medie la possibilità di continuare a studiare, pur affiancando lo studio a ore di attività professionalizzanti. Una simile soluzione restituisce a molti ragazzi i due anni di scuola - dai 14 ai 16 anni - che il centro-sinistra aveva reso obbligatori e che la Moratti ha tagliato, anticipando la scelta tra istruzione e formazione professionale a 13 anni. Al termine di ciascuno dei 2 anni lo studente può scegliere se tornare a scuola (forte dei crediti acquisiti nell'anno precedente); se continuare nel biennio integrato; o se accedere definitivamente al lavoro, ma con un anno di scuola in più in testa e nel cuore. Si tratta di un aiuto proprio per gli istituti tecnici e professionali, quelli a maggior rischio di taglio se non di perdita di identità secondo i farraginosi progetti della bozza di decreto attuativo della riforma della scuola superiore, nonché a maggior rischio di abbandono. Un aiuto necessario, anche considerando il boom dei licei che dallo scorso anno ha accompagnato l'incertezza sui destini delle superiori.
Disorienta parlare di scuola in questo periodo. Perché la riforma continua ad andare avanti - sebbene in sordina, tra mille problemi, con l'ostruzione di centinaia di collegi docenti che non si sono fatti intimorire nemmeno dalle minacce estive del direttore generale, insensibile alle richieste e alle esigenze del mondo della scuola. E la cosiddetta "operazione trasparenza", la pubblicazione sul sito del Ministero della bozza di decreto sulla riforma delle scuole superiori, non è che l'ultima delle operazioni di facciata di un Ministero che - dopo aver sperperato soldi dei contribuenti in implacabili campagne pubblicitarie - si affida a quest'altra pubblicizzatissima iniziativa che tende a ricercare un consenso altrimenti difficile da raggiungere. Come se non si sapesse che ogni decreto della delega è stato deciso nelle stanze dei bottoni, lontano dalle scuole, da studenti, insegnanti, personale ATA, contro la volontà della maggior parte dei sindacati, nonostante la protesta di migliaia di famiglie che sono scese in piazza. Disorienta parlare di una riforma della scuola che non esiste se non nelle parole del Governo, dal momento che nulla è stato stanziato per attuare le seppur incondivisibili modifiche che la legge prevede. Una legge delega priva di quella copertura economica prevista dal suo stesso primo articolo. Disorienta parlare di eccezioni di costituzionalità sollevate dal Governo in merito all'ipotetico scavalcamento di una regione dei poteri attribuiti alla regione stessa; e disorienta soprattutto se è quel Governo a farsi promotore di una riforma - la devolution - che prevede l'assegnazione definitiva e totale alle regioni di 3 ambiti nevralgici per la nazione e sui quali (2 in particolare, sanità e istruzione) si gioca l'integrità di un progetto di stato sociale efficace.
La sentenza della Corte Costituzionale e la legge 12/2003 dell'Emilia Romagna rappresentano certamente un precedente interessante e un concreto incoraggiamento a continuare una battaglia di idee e di diritti. Fermare l'abominio di questa riforma della scuola si può e si deve. Non ci possono essere prove e tentativi di sperimentare qualcosa che - sin dalle sue premesse - contiene un'idea del mondo iniqua, di divisione e di esclusione. Non ci possono essere mediazioni, aggiustamenti, compromessi. Ci vogliono proposte concrete, capacità reale di dialogo, fiducia nelle politiche pubbliche e nell'importanza della coesione sociale e volontà di investire sul sapere e sul futuro del nostro Paese. Tutti principi lontani anni luce dalle idee che ispirano la controriforma Moratti.