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Unità-Scuola: e se fosse una gabbia, ma di libertà?

Scuola: e se fosse una gabbia, ma di libertà? Luigi Galella Se valuto i risultati, quelli reali, mi sembra che molti miei studenti siano sempre allo stesso livello di conoscenze. Ripe...

23/01/2006
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l'Unità

Scuola: e se fosse una gabbia, ma di libertà?

Luigi Galella

Se valuto i risultati, quelli reali, mi sembra che molti miei studenti siano sempre allo stesso livello di conoscenze. Ripetono gli identici errori di ortografia, che più volte ho corretto, e quando lo rilevo sorridono, come se la cosa non fosse molto grave. Si fanno schermo contro il mio disappunto con una semplice alzata di spalle, colpevoli e leggeri, e io mi chi chiedo: in che modo potrei far capire loro di essere meno pigri e più attenti?
Anche i più bravi a volte steccano. All'interno del fluire armonioso di una lezione che stanno esponendo alla perfezione all'improvviso appare una parola usata impropriamente. A differenza dei compagni loro sanno valutare l'importanza dell'errore. E lo fanno peraltro in maniera eccessiva, sproporzionata, spaventati da se stessi, come se fossero scivolati in una buca e non sapessero più riemergere, al punto che devo intervenire, per attenuare il valore di quella caduta. Riafferrarli, prima che si perdano irrimediabilmente. Come insegnare loro la misura? E come evitare che un messaggio sdrammatizzante che si comunica positivamente a uno non produca negli altri l'alleggerimento di una tensione fin troppo debole?
Come vincere il loro irresistibile desiderio di non esserci, in quei banchi? E cosa replicare quando alla domanda: "Che cosa salvereste della scuola", si oppone la desolante risposta: "La ricreazione"? Esclamazione che parrebbe scherzosa, ma che si complica in chi la formula di un sorriso, che si accende e si spegne, divertito e dispiaciuto, che rivela un retrogusto amaro, testimonianza di una consapevolezza ambivalente. Come se nel cancellare lo spazio della scuola, che opprime, finalmente liberi di riempirsi l'esistenza di tutto il resto - gli amici, la tv, la discoteca, la partita - si intravedesse nell'abbuffata di quel tutto un principio angoscioso, che sconfina nel nulla.
E che dire ai ragazzi della mia quinta di quest'anno, che proprio ora, dopo aver tanto desiderato la fine delle torture - le sveglie mattutine all'alba, le pagine da studiare che si accumulano, le voci e i volti degli insegnanti, le periodiche ramanzine, i rimproveri, le minacce dei genitori, la noia, l'insofferenza che si trasforma in rabbia - proprio ora che sono a un passo dal traguardo e potrebbero tagliare il filo di lana con entusiasmo, si afflosciano come maratoneti stanchi, in preda alla sindrome di Dorando Pietri, che vedeva il traguardo, primo fra tutti, ma ormai in ginocchio. Esausto e impotente.
Che dire ad Alessandro, a Marco, Andrea, Roberto? Mi osservano come se fossi il guardiano della gabbia che li ha tenuti per tanto tempo rinchiusi e che ora all'improvviso fa notare loro che la porta è aperta, non bisogna fare altro che uscire. A lungo hanno pensato che questo desiderassero, e ora finalmente il tempo è arrivato. Che dire di questa curiosa, paradossale esitazione. Non sono mai stati dei secchioni, anzi. Hanno sempre stentato e lavorato controvoglia. Ma quest'anno proprio non riescono ad aprire il libro. E io nel vederli così apatici e refrattari allo studio, non so far altro che sottolineare ciò che vedo con un eufemistico: "Ragazzi, ultimamente mi sembrate un po' depressi". E così ricordo loro la mia esperienza: "All'ultimo anno succede che si rallenti e infine ci si arresti. Accade quasi sempre, e quasi con tutti. Non ci crederete, ma inconsciamente in questo modo dimostrate che non volete abbandonare la scuola". Lo dico sorridendo, come se fosse una battuta. E mi aspetterei la solita risposta da spiriti scettici: restare a scuola? Ma siamo pazzi! Invece noto che Ferdinando annuisce con un gesto del capo. E parla piano, tanto che devo chiedergli di ripetere: "È così. Io lo so che la rimpiangerò la scuola, e non potrò mai, mai dimenticare questi anni". Pensieroso, nostalgico oltremisura. Prima ancora del tempo della sofferta e temuta libertà.
luigalel@tin.it