Unità: Scuola: i caduti sul campo
Anche su un tema importante come l’«abbandono scolastico» (espressione di un disagio sociale prima ancora che individuale) Silvio Berlusconi ha dato un’ennesima prova di competenza nel falsificare i dati di realtà
Manuela Trinci
Sette Quattordici
Anche su un tema importante come l’«abbandono scolastico» (espressione di un disagio sociale prima ancora che individuale) Silvio Berlusconi ha dato un’ennesima prova di competenza nel falsificare i dati di realtà: i libri gratis nelle scuole medie (ma dove?) e la rapida discesa del numero degli «abbandoni scolastici», grazie ovviamente al suo governo! Un recente sondaggio condotto dalla Cisl a livello nazionale mostra invece che su una popolazione di oltre 2 milioni di ragazzi, fra i quindici e i diciotto anni, ben 600 mila hanno lasciato la scuola, barcamenandosi poi, per due terzi, fra varie attività precarie. Il terreno d’elezione della dispersione scolastica risultano essere oggi gli istituti tecnici e professionali. Un po’ perché, a differenza dei licei, qui viene meno la promessa di una promozione sociale. Un po’ perché i ragazzi hanno l’impressione di poter apprendere sul campo, più rapidamente, il 50 per cento delle competenze lavorative promesse dalla didattica scolastica. E, in tempi di precariato fisso, alla resa dei conti, non è più tanto chiaro se il famoso diploma favorisca o svantaggi la richiesta d’impiego. Insomma, il perentorio monito familiare: «se non studi, vai a lavorare», rischia di trasformarsi in un invito.
Facili guadagni e grandi sogni di autonomia e di veloce affermazione sono spesso le motivazioni che sostengono i giovanissimi in quella che credono essere la libera scelta di «piantare tutto». In realtà sono le illusorie attrattive di un «paese del balocchi» dove i lavoretti, da quelli stagionali al pony express all’aiuto parrucchiera alla baby sitter, eccetera, sono tanto facili da acquisire quanto da perdere.
Ragazzi, precari, allo sbando. Ragazzi che in misura maggiore continuano a provenire da situazioni ambientali disagiate, da esperienze di emarginazione, ma anche ragazzi che vivono in realtà sociali di pseudo opulenza o in zone geografiche dedite al turismo. Ragazzi vittime della povertà come pure di pericolosi meccanismi psicologici dove vigono l’imitatività e la falsa coscienza. La scuola, una scuola di «classe», perfettamente inserita in questo contesto, non li ha certo sostenuti in una ricerca autentica di sé, anzi come scrive nel suo bel libro Adriana Luciano (Imparare lavorando, Utet): «la scuola continua ad essere un campo di battaglia su cui sono caduti e continuano a cadere i più deboli, i più fragili, i perdenti-nati», che si consegnano in tal modo all’età adulta con un atteggiamento fatalista e una visione della vita sfiduciata, da precario.