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Unità-Scuola: mattoncini... o mele stregate?

Scuola: mattoncini... o mele stregate? di Marina Boscaino Un bambino intento a costruire una casa di mattoncini. È concentrato e fiducioso della buona riuscita della sua opera, mentre scorrono l...

05/04/2004
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l'Unità

Scuola: mattoncini... o mele stregate?
di Marina Boscaino

Un bambino intento a costruire una casa di mattoncini. È concentrato e fiducioso della buona riuscita della sua opera, mentre scorrono le cifre della riforma: tempo pieno garantito con 40 ore settimanali (il solito, ambiguo gioco di parole: inutile continuare ad insistere sulla differenza sostanziale tra 40 ore e il concetto di tempo pieno); inglese e internet (le cosiddette innovazioni della scuola aziendalista delle tre i, che innovazioni non sono); l'anticipo scolastico (il primo atto istituzionalizzato di discriminazione sociale e culturale nel percorso formativo); la parola alle famiglie (il secondo atto, che affida all'"utenza", ai suoi capricci e alla sua capacità "contrattuale" un ruolo decisivo nella determinazione di quel percorso, che inficia l'idea di una scuola per tutti e di tutti). Le solite parole d'ordine, che ancora una volta tentano di edulcorare - attraverso lo spot, l'opuscolo, la pubblicità - i contenuti di una riforma che se fosse ben accetta come la Moratti continua a sostenere, non avrebbe certamente la necessità di un supporto di propaganda così consistente. Secondo i dati emersi da una ricerca di Legambiente, durante l'esercizio finanziario 2002 alle "iniziative finalizzate alla comunicazione del processo di riforma" sono stati destinati 7.746.853 euro; nel 2003 13.200.000: e in queste cifre non è compreso il costo degli spot televisivi e radiofonici - numerosissimi ed insistenti - che ci hanno tempestato durante la gestione Moratti e di cui quello della casa di mattoncini rappresenta l'ultima sofisticata variante. "Una scuola per crescere", il titolo di una campagna pubblicitaria che ha sottratto soldi dalle tasche degli italiani e dalle casse della scuola pubblica. L'unica cosa che cresce, per il momento, è la nostra incredulità e il nostro disorientamento. L'incredulità per l'indifferenza ormai ostentata per la situazione del Paese e della scuola, che si concretizza anche in un inutile spreco di risorse. Disorientamento perché non abbiamo sentito l'on. Maria Burani Procaccini (FI) - famosa, fino a febbraio, solo per un'improvvida ed anacronistica proposta di riforma della legge 180 - appellarsi alla Convenzione di New York per impedire "l'uso strumentale di bambini piccoli", dopo che l'ultimo spot Moratti è stato mandato in onda. Dove è andato a finire la sua volontà di "tutela attiva dei diritti dei bambini?". L'aveva invocata con tanta determinazione in febbraio, dopo la prima grande manifestazione dei genitori in difesa della scuola pubblica, proponendo sanzioni amministrative per coloro (comunisti?) che avessero condotto i propri figli in "riunioni in luogo pubblico": fatte salve le manifestazioni religiose o quelle sportive, ricreative o a carattere "esclusivamente" educativo-culturale o in genere a tutte le manifestazioni che non siano "una forma di protesta contro persone e provvedimenti". Praticamente: sì ai bambini in piazza, purché non si tratti di manifestazioni contro la riforma Moratti. Inevitabile la domanda, posta all'epoca della proposta da Anna Serafini "Burani Procaccini vuole davvero tutelare i minori o il Governo dai bambini?". Per Burani Procaccini "è evidente che non giova affatto ad una crescita serena la circostanza che il bambino sia catapultato in una situazione di estrema conflittualità e che al posto dei valori della comprensione e dell'amicizia il piccolo si trovi coinvolto in situazioni di aspra conflittualità e tensione". La distanza culturale che separa chi individua nelle manifestazioni e nella protesta civile il luogo della violenza e del pericolo e chi uno strumento di partecipazione e di democrazia è talmente ampia che non vale la pena soffermarsi oltre sull'argomento. Noi manifestiamo per la difesa della scuola pubblica, manifestiamo per la pace, e riteniamo che sia molto più educativo per i nostri figli partecipare ad un corteo che strumentalizzare la loro immagine per propagandare - attraverso la tenerezza che suscita l'infanzia - un prodotto iniquo e realmente pericoloso.
A proposito di situazioni di aspra conflittualità e tensione, farebbe meglio il Governo a preoccuparsi (e ad impiegare risorse) per risolvere con rimedi meno improvvisati del decreto legge recentemente approvato il problema del precariato. Negli ultimi 3 anni i punteggi dei precari sono cambiati ben 6 volte, tra ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato. E questo provvedimento, oltre ad imporre un ennesimo computo dei punteggi ed aggiornamento a carico degli ex provveditorati, non risolve di fatto una situazione, esplosiva anche perché scaricata sulle spalle di persone che da anni stanno prestando servizio senza garanzie di trovare una sistemazione stabile all'interno del sistema scolastico. Continua la diatriba tra sissini e precariato storico: basti leggere le lettere inviate al nostro giornale domenica da Gianfranco Pignatelli (Presidente dell'Ass.Naz. Comitati Insegnanti Precari, CIP) e Giovanni Iaquinta (Ssis). Sono 91.000 le supplenze annuali (coperte, quindi, da insegnanti non di ruolo) assegnate per quest'anno scolastico. Il Ministero indica l'esistenza di 40.000 posti liberi per l'insegnamento. Il decreto sancisce le 15.000 assunzioni approvate in novembre dal Governo (7300 insegnanti e il resto personale Ata). È evidente che il provvedimento è assolutamente irrilevante rispetto al numero di posti disponibili e che quella che il Governo sta perseguendo è una vera e propria politica di precarizzazione. D'altra parte una lettera di Tremonti del 2/8/2001 invitava la Moratti ad un "processo riduttivo delle spese". Detto fatto: oltre alla questione dei precari, i 6000 posti in meno nella pianta organica individuati recentemente da una circolare ministeriale sono la prova. I modi in cui il decreto ridistribuisce il punteggio offrirà, è certo, lo spunto per portare avanti a colpi di ricorsi il mortificante duello cui insegnanti non di ruolo (288.000, secondo le stime del Ministero) sono costretti da questo Governo. Il decreto attribuisce 30 punti (12 per anno + 8 per il superamento dell'esame) ai docenti Ssis; 6 punti ai precari storici, per il superamento del concorso. Ma spesso la durata reale del corso di specializzazione non corrisponde alla durata effettiva. Appare poi particolarmente significativo il computo del servizio dei precari storici solo su una classe di concorso: fino al '99 un precario aveva la possibilità e l'obbligo (pena il depennamento dalla graduatoria) di accettare la supplenza nella prima classe di concorso compatibile con il proprio titolo di studio che gli venisse offerta. Oggi si scopre che quegli spezzoni, quegli anni consumati ad insegnare in classi di concorso differenti, non sono più validi. Tale norma ha il senso di evitare che i docenti delle Ssis potessero usufruire del punteggio aggiuntivo che l'acquisizione dell'abilitazione in alcune classi di concorso (A052, Latino e Greco; ma anche alcune abilitazioni in lingue o in discipline scientifiche) automaticamente concedeva in virtù dell'assimilazione di titoli ritenuti da essa assorbiti (A051, Italiano e Latino; A050, Italiano e Storia; A043, Italiano, Storia e Geog. alle scuole medie). In una simile situazione un docente Ssis avrebbe potuto contare non su 30 ma su 120 punti. Non è stato però sottolineato come, nel caso in cui i docenti Ssis avessero conseguito più abilitazioni nello stesso periodo (certificazione a carico degli atenei, che dovranno limitarsi a segnalare diversi orari di frequenza) queste andranno a cumularsi con ulteriori 30 punti per abilitazione. L'aggiornamento biennale e non più annuale delle graduatorie, annunciato dal decreto e considerato tanto positivamente dal Ministro, decorrerà dall'a.s. 2005/06 e tutto lascia intendere che tale posticipo sia teso a consentire l'accesso ai nuovi diplomati Ssis. Nessun criterio appare poi più sorprendente e contestabile della decisione di attribuire 6 punti a chi abbia prestato servizio militare: una inaccettabile discriminazione, che non colpisce solo le donne, ma anche coloro che per motivi differenti (calamità naturali, problemi fisici) siano stati esonerati o riformati dal servizio di leva: gli insegnanti delle zone terremotate avranno una chance (e 6 punti) di meno. Molto meglio va ai raffermati: firmando per la propria permanenza, si sono garantiti 6 punti per ogni anno aggiuntivo di servizio prestato. Quello dell'equiparazione della leva militare al servizio nella scuola statale non è l'unica "mela avvelenata", per usare le parole di Pignatelli, contenuta nel decreto. Questo tardivo provvedimento del Governo, volto a sanare le sperequazioni precedenti, non fa che offrire ulteriore spazio alla possibilità di ricorsi e contenziosi. Una conseguenza prevedibile, che dà corpo al sospetto di trovarsi di fronte ad un ulteriore stratagemma del duo Moratti-Tremonti per evitare le immissioni in ruolo. Creando un ennesimo pasticcio normativo continuano a rimandare l'attribuzione della certezza del diritto a chi da anni lavora precariamente nella scuola. In attesa di tempi migliori: quando il "processo riduttivo delle spese" avrà dato luogo a tagli di posti di lavoro che consentiranno di spazzare via definitivamente i precari dal mondo del lavoro.


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