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unità: Se in classe arriva l’ora di friulano obbligatorio

La proposta di legge dell’assessore regionale del Friuli Venezia Giulia alla cultura divide la maggioranza di centrosinistra

28/08/2007
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l'Unità

di Sofia Chiarusi
Con settembre riprenderanno i lavori regionali: sul tavolo della giunta del Friuli Venezia Giulia - che inaugura così anche la campagna elettorale del 2008 - fa mostra di sé una proposta di legge sulla tutela del friulano, che, dopo otto anni d'anticamera, dovrebbe attuare la legge nazionale 482/1999, «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche». Una legge fondata sull'articolo 6 della Costituzione e richiesta dalla Ue. E nell'ultimo angolo del nordest d'Italia è polemica. Ovviamente non sulla tutela del patrimonio linguistico, quanto sulla proposta di renderlo obbligatorio in tutte le scuole e sul silenzio-assenso delle famiglie degli studenti. Non si sa ancora se verrà applicata a tutte le discipline o se il legislatore si limiterà a istituire un'ora a settimana. Ma la polemica è feroce, in particolare nel centrosinistra, cui fa capo la giunta retta da Riccardo Illy.
La legge nazionale suggerisce alcuni ambiti, tra cui anche quello scolastico, pubbliche amministrazioni (fermo restando l'esclusivo valore legale della versione italiana), adozione di toponimi, ripristino su richiesta di nomi e cognomi nella forma originaria. L'exploit locale dell'assessore alla cultura Roberto Antonaz, di Rc, sta trovando molti ostacoli nella sua stessa maggioranza, non piace alla Lega Nord (che trova la legge restrittiva), men che meno ad An, per i soliti motivi d'italianità.
Ma se Lega, autonomisti friulani e An inseguono le loro politiche - pur avendo avuto tutto il tempo nella precedente legislatura per varare la «loro» legge - più di qualcuno fatica a capire il senso di un obbligo scolastico per una lingua - del gruppo ladino, caratterizzata dall'influsso avuto da lingue e culture circostanti (tedesco e sloveno), parlata da circa 600.000 persone per lo più in ambito familiare - da parte del centrosinistra regionale.
A capeggiare lo scontento è stato l'on. friulano Alessandro Maran, già Ds ora Pd, che ha proposto un referendum, inviso agli autonomisti. «Si sbaglia in partenza prendendo in considerazione solo i diritti del proprio 'popolo', 'nazione', a scapito di quelli individuali» sostiene Maran. Senza negare il diritto alla tutela, sottolinea i rischi di una deriva illiberale, insiti nella costruzione di confini di una 'Piccola Patria' col contributo delle istituzioni. «Io intendo le istituzioni come strumenti per aumentare le libertà di scelta degli individui e delle loro preferenze. E chi vuole questa legge illiberale rifiuta la prospettiva del referendum». Troppo vicini in spazio e tempo alla defunta Jugoslavia gli animi sono particolarmente sensibili di fronte a ogni deriva nazional-populista. «Credo che la scelta di parlare in friulano debba essere percepita come individuale e debba venir rifiutata se imposta come strumento per costruire una nazione». Si sottolinea insomma l'importanza della pluralità delle identità. «Nella nostra Regione - conclude Maran - siamo tutti un po’ meticci e "vivere al plurale" è una condizione ineliminabile. L'etnicità è da sempre uno strumento potente nella competizione per il possesso e per il controllo delle risorse e la solidarietà etnica non tollera miscredenti. E, mi chiedo,dunque: la sinistra democratica, si batte anche in Friuli per la difesa e l'ulteriore sviluppo della società aperta e dello stato di diritto, sì o no?». La risposta arriva dalle tante lettere che intasano ogni giorno i quotidiani locali: a scuola più inglese e informatica. E qualcuno invoca anche l'italiano.