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Unità: Si torna a parlare di ricerca

Cinque anni dopo

29/10/2006
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l'Unità

Rino FalconeUna delle principali doti degli umani e della loro intelligenza sta nella capacità di cimentarsi con il futuro attrezzandosi ad esso per tempo, di prevedere quanto potrà succedere non solo nell'istante successivo ma anche nei mesi e negli anni che verranno e di utilizzare nell'immediato tali previsioni per modificare il presente, le loro azioni e comportamenti, tanto individuali quanto collettivi.

La conoscenza ha un ruolo fondamentale per questi comportamenti virtuosamente anticipatori. E la società e l’economia della conoscenza hanno al proprio cuore lo sviluppo, l’uso e l’elaborazione di conoscenza come patrimonio fondamentale non solo dei singoli, ma delle società e di tutte le loro articolazioni (di servizio, di produzione, di comunicazione, ricreative, e così via).

È per questo che la filiera produttiva di conoscenza (scuola, università e ricerca) rappresenta il vero elemento di vantaggio per progredire e svilupparsi rapidamente: lo hanno compreso bene alcuni tra i grandi Paesi in via di sviluppo come l'India, il Brasile, la Cina, che investono nel settore percentuali di ricchezza interna imparagonabili con le nostre.

È per questo che attraverso un uso adeguato della conoscenza il futuro può essere affrontato con maggiore consapevolezza, competenza, riduzione dei rischi, incremento di opportunità.

Tutto ciò era chiaramente contenuto negli intendimenti del programma dell’Unione e se vanno cercate motivazioni forti e convinte al sostegno dei partiti dell’attuale maggioranza non si può certo prescindere da quella parte del programma, molto avanzata e di forte discontinuità rispetto al passato. Sì perché gli ultimi cinque anni hanno rappresentato una fase di stallo per il settore ricerca e conoscenza come forse non era mai avvenuto. L’Osservatorio sulla Ricerca ha testimoniato questa crisi, anche su queste stesse pagine, e - interpretando le esigenze della comunità scientifica e, ad un ordine diverso, della società in toto - ha denunciato le debolezze e sostenuto la necessità di politiche di sviluppo del settore.

A dire il vero ci sono una serie di provvedimenti che il ministro Mussi e il governo stanno per adottare con la finanziaria in corso di approvazione che vanno in questa direzione. Si tratta di interventi normativi e di struttura di sistema: riorganizzazione degli enti di ricerca (in una chiave di maggiore autonomia e responsabilità), revisione dei fondi straordinari (per il conseguimento di maggiore trasparenza ed efficienza), introduzione di un’agenzia di valutazione (per contribuire ad accrescere la qualità), termine del blocco delle assunzioni (durato ciqnue anni) attraverso una ripresa delle procedure concorsuali (anche se le assunzioni vere e proprie dovranno attendere il gennaio 2008). Tutto ciò rappresenta un passo in avanti ma per segnare una vera discontinuità il nuovo governo dovrebbe affiancargli dei fondi ordinari adeguati (stiamo parlando di alcune centinaia di milioni di euro in più). Sembra paradossale ma in questo settore va ristabilita con forza la straordinarietà dell’adeguato intervento ordinario. Senza questo finanziamento di normalizzazione anche gli altri investimenti possono uscirne seriamente indeboliti.

«Mettere in ordine i conti per creare le premesse allo sviluppo e ad un ampliamento delle tutele sociali», come giustamente sostiene il ministro del lavoro Damiano nell’intervista di alcuni giorni fa a l’Unità - e come è chiaramente nello spirito dell’intero esecutivo - è essenziale. Ma non basta.

Abbiamo la necessità di affermare politiche intelligenti e virtuose, dobbiamo prevedere e intercettare oggi i problemi che il futuro ci proporrà, perché domani - già il prossimo anno - potrà essere accumulato un ritardo difficile da recuperare. Dobbiamo fare in modo che questo futuro abbia voce (con l’intelligenza della previsione e con i comportamenti dell’anticipazione) e non lasciarlo silente e indebolito di fronte ai bisogni (magari sacrosanti e fortemente rivendicativi) dell’oggi.

Se abbiamo l’ambizione di portare il Paese nel mondo della conoscenza (l’unico possibile per un Paese sviluppato), dobbiamo fin da subito indicare con certezza e determinazione l’orizzonte nuovo e la prospettiva entro cui vogliamo muoverci. Dovrebbe partire una campagna culturale per diffondere ben oltre le classi intellettuali questo straordinario cambio di prospettiva dentro cui il mondo nuovo è ormai entrato: «dai beni materiali primari alla conoscenza». Una classe politica di valore ne avrebbe l’obbligo. Un Paese, le sue classi dirigenti, la parte produttiva, sana e operosa della cittadinanza hanno bisogno di credere che dietro il risanamento ci sia un importante progetto di progresso. A volte, anche solo qualche centinaia di milioni di euro, accompagnati ad una serio ed esplicito indirizzo politico, possono contribuire a rilanciare le speranze in un Paese.

Osservatorio sulla Ricerca e consigliere politico per la ricerca del ministro

dell’Università e della Ricerca