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Unità: Spinelli, foulard e repressione

Moni Ovadia

17/03/2007
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l'Unità

Una delle storielle ebraiche di maggior successo fra quelle che mi capita di raccontare è questa: «A Odessa, magica città del meridione russo, un ebreo ortodosso rincasa a sera dal duro lavoro. I suoi tre marmocchi, uno di tre, uno di cinque e uno di sette anni gli si precipitano incontro per fargli festa. Gli saltano al collo, gli scarruffano la barba e con le loro grida argentine gli raccontano la loro giornata come la più eccitante delle avventure. Il padre felice, e già meno stanco, portandosi tutti e tre i pargoli appesi addosso, va a stravaccarsi sulla poltrona. Una volta accomodatosi, per mettere alla prova la devozione della propria prole domanda ai suoi bimbi: "Kinderlakh, bambini miei, il vostro papa ce l'ha tanto sete. Chi di voi lo va prendere per me uno bello bicchiere dell'acqva?". Il maggiore si fa avanti e dice: "Io lo voglio qvesto onore perché sono primogenito e qvesto è comandamento del Bibbia onora padre". A quel punto, il secondogenito si fa avanti ed esclama: "Per avercelo io qvesto onore, sono io pronto a dare tuti il miei risparmi al bambini poveri". Per non essere da meno, il moccioso di tre, sale su una sedia e con la sua vocetta squillante dichiara: "Io lo voglio qvelo onore e per lui avere io, sono pronto a dare tuti il miei giocatoli al bambini che non ce l'hanno". A questo punto scoppia una piccola rissa fra i tre piccoli devotissimi ebre ma, siccome già studiano le scritture, sanno che litigando non otterranno nulla. Chiedono così al padre il permesso di discutere la questione come facevano i grandi maestri dell'ebraismo in epoca talmudica. Il padre, felice e orgoglioso, acconsente. I tre saggi in erba si appartano in un angolo e, zucchetti ben calcati sulle testoline intelligenti, iniziano la discussione con tutto il repertorio dei gesti e delle cantilene dei sapienti che dibattono. I loro cernecchi si agitano ritmicamente e sotto i piccoli menti glabri, pare persino che si agitino pensose barbe. Dopo quaranta minuti di dibattimento, i tre mocciosi soddisfatti tornano dal padre ormai devastato dalla secchezza delle fauci e il maggiore dei tre fratellini, a nome del gruppo, comunica: "Papa, tate, noi abiamo discusso il questione, abiamo esaminato qvi e lì, qvesto e qvelo, pro e contro, su e giù e insieme abiamo così deciso: qvesto è per noi uno tropo grande onore. Vai prenditi l'acqva di solo!". Questa storiella scatena sempre nel pubblico un'euforica ilarità, ritengo che molti nel pubblico pensino a certe uscite dei loro figli, o nipoti, o fratellini e sorelline. I bambini sono straordinari, le loro potenzialità immense, il mondo ebraico dell'esilio ne aveva un culto vero e proprio. In quel mondo povero ma fervido, trasmettere ai piccini e ai ragazzi sapienza, senso critico e percezione del paradosso, farlo con intensità e passione, era una priorità assoluta. Gli strumenti di quella bildung erano insieme urgenza e umorismo, dolcezza e severità, tenerezza e profondità. Non stupisce che quel mondo abbia prodotto tante eccezionali intelligenze. La nostra grande civiltà ha saputo conquistare la democrazia, l'istruzione pubblica universale obbligatoria e «gratuita» ma per farne cosa? Sempre di più una scorza vuota dove gli insegnanti sempre meno rispettati e mortificati nel proprio ruolo, devono competere con telefonini, videogiochi, pubblicità fuorvianti e un uso pletorico e dissennato di internet in una società in cui i valori primari sono il profitto, la competizione, lo stupidario televisivo e la televendita di sé. Poi ci si stupisce che fra giovani e giovanissimi cresca esponenzialmente l'uso di droghe di ogni tipo. A questo punto scatta come sempre il tipico furore moralista dei portavoce reazionari che invocano la soluzione della repressione, segnatamente contro i poveracci e gli emarginati, tanto per i figli dei ricchi c'è sempre una legislazione speciale. Il nostro centro-destra esulta perché dissennatamente il Tar boccia il sacrosanto allentamento della criminalizzazione riguardo all'uso della cannabis voluto saggiamente dal ministro Livia Turco. Il nostro centro-destra non riesce a liberarsi dalla sindrome del manganello che oggi si chiama proibizionismo. I poveri illusi non hanno capito che anche se gli togli lo spinello, i giovani sbandati si attaccano al «gioco del foulard» e li voglio vedere i mistici della repressione mettere al bando i foulard. È possibile che non si capisca ancora che la repressione non è un rimedio, che gli strumenti per dare futuro ai nostri giovani si chiamano amore, formazione, vicinanza, rispetto ma soprattutto responsabilità nei loro confronti e risposte autentiche alla loro disperata domanda di senso.