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Unità-Stanno Distruggendo la Scuola di Tutti

Stanno Distruggendo la Scuola di Tutti di Gianni Vattimo Può darsi che l'importanza dell'articolo 18, della sua difesa contro i tentativi di azzerarlo, sia prevalentemente simbolica, come ci hann...

08/08/2002
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l'Unità

Stanno Distruggendo la Scuola di Tutti
di Gianni Vattimo

Può darsi che l'importanza dell'articolo 18, della sua difesa contro i tentativi di azzerarlo, sia prevalentemente simbolica, come ci hanno in tanti spiegato da destra e da sinistra (o quel che è). Ma se si guarda a ciò che il governo ha fatto nelle ultime settimane, all'arroganza con cui la sua maggioranza ha ignorato precisi dettami costituzionali per forzare l'approvazione in Senato del disegno di legge destinato a salvare Berlusconi e Previti dal processo di Milano, si capisce che il simbolo è tutt'altro che vuoto. E che è sempre più logico - come invece tanti compagni liberal si rifiutano di capire - prenderlo come bandiera politica, non semplicemente sindacale, per una battaglia contro il governo che deve allargarsi ai tanti aspetti di difesa delle libertà costituzionali, a cominciare dall'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, e dei diritti fondamentali, come il diritto all'istruzione e alla salute, che la maggioranza di destra appare decisa a calpestare senza alcuno scrupolo, contando sulla sua possibilità di mentire ai cittadini mediante un concerto mediatico sempre più addomesticato. Di fatto, la battaglia politica per evitare che la maggioranza parlamentare della destra si trasformi in arbitrio e prevaricazione è stata guidata nella primavera di quest'anno dal sindacato con la rivendicazione dell'intangibilità dell'articolo 18. I tanti di noi che hanno partecipato alle manifestazioni per la difesa di questo articolo vi hanno collegato gli altri punti principali dell'attuale dibattito politico, la giustizia, la scuola, la sanità. Abbiamo fatto male, abbiamo indebitamente confuso l'iniziativa sindacale con la lotta politica? Ecco: un altro preoccupante sintomo di restaurazione, di ritorno agli anni Cinquanta, è proprio l'insistenza con cui - ancora una volta da destra e da sinistra (?) - si è avanzata questa accusa, supponendo una rigida divisione di compiti tra partito e sindacato che non è mai stata ovvia per la cultura della sinistra; e che in genere serve alla destra per dividere le organizzazioni dei lavoratori. A noi sembra semplicemente ovvio che la sinistra porti la lotta sul piano che, nel momento dato, offre più possibilità di mobilitazione. È un modo di strumentalizzare per (biechi) fini politici le (sacrosante) rivendicazioni, puramente economiche, dei lavoratori? Ma chi crede più a questa favola?
Soprattutto, come fare a credervi quando è fin troppo evidente che il modello di società a cui gli affossatori dello Statuto dei lavoratori pensano è proprio quello che in generale la destra cerca di imporre all'Italia di oggi: scuola e sanità affidate all'iniziativa privata (chi può se le paga, se no ci rinuncia) e giustizia ricollocata nelle mani dei potenti e dei privilegiati - anche qui, chi può si paga gli avvocati Pecorella e Taormina; ma soprattutto, chi può, con la loro collaborazione, si modifica le leggi a proprio uso e consumo.
A chi ci dice che il sindacato è stato troppo sensibile e si è mostrato troppo intransigente sull'articolo 18, potremmo solo concedere questo: che almeno altrettanto, e forse anche più pericoloso, dell'attacco allo statuto dei lavoratori, è l'effettiva distruzione della scuola, non solo pubblica, che si profila come conseguenza della controriforma Moratti. E dunque che la battaglia sindacale d'autunno andrà combattuta anche esplicitamente su questo terreno. Già si comincia a capire che non solo gli accordi separati del governo con Cisl e Uil (lo scellerato "patto per l'Italia") non potranno trovare applicazione per mancanza di fondi. La stessa mancanza di fondi impedirà al ministro Moratti di mettere in atto i suoi progetti. Non sarebbe un male, vista la qualità del progetto stesso. Ma il fatto è che nel frattempo la scuola rimane senza alcun ordine, sospesa tra una riforma Berlinguer ancora appena iniziata e subito bloccata dal governo, e una controriforma Moratti variamente strombazzata ma priva di mezzi per mettersi davvero alla prova.
In che cosa poi consistesse questa ristrutturazione della scuola pensata dalla destra (Cacciari gratifica la Moratti del titolo di ministro tecnico. Ma tecnico di che?) è presto detto, almeno da quello che se ne è visto finora. Per ragioni economiche, si è ridotto l'esame di maturità a un controllo da parte di commissioni di insegnanti interni alla scuola. Anche quando si tratta di scuole private parificate (il cui numero, intanto, è cresciuto in modo consistente). La scuola prima era forse un esamificio; adesso è un puro e semplice diplomificio - i diplomi vengono distribuiti, meglio sarebbe dire venduti, senza tante finzioni, ovviamente tanto più facilmente quanto più la scuola è "esclusiva", quanto più costa. Ci saranno anche scuole private serie e rigorose; ma chi le difenderà dalla concorrenza di quelle più corrive? E la legge del mercato sarà sufficiente, una volta entrati nel mondo del lavoro e delle professioni, a discriminare i diplomati davvero preparati da quelli dichiarati idonei solo per diritto ereditario, per censo e conoscenze familiari?
Comunque, anche nella scuola pubblica la qualità dei diplomati è destinata a calare, se i propositi morattiani dovessero realizzarsi. Anzitutto perché una prima selezione, "naturale" si deve dire, degli studenti si farà all'inizio della media, quando i figli di famiglie meno abbienti saranno "avviati" (avviamento al lavoro, era il nome della media di serie B di un tempo) a scuole con immediato sbocco professionale; mentre i ricchi avranno accesso alle scuole aperte a carriere successive. Un metodo, come si vede, estremamente liberale e meritocratico per selezionare le nuove classi dirigenti.
Per fortuna anche chi avrà le qualità (i soldi) per andare avanti nei licei non riceverà molto di più in termini di formazione culturale. Il progetto Moratti prevede che solo un certo numero di ore settimanali siano finanziate dallo stato, se abbiamo capito bene non più di cinque ore per cinque giorni. Fuori da questi orari, le attività integrative che oggi si svolgono a scuola, a cominciare dalle elementari, dovranno essere pagate in altro modo. Convenzioni con industrie e enti locali, forse. Soprattutto, dalle famiglie stesse, se non vogliono che i loro ragazzi vadano in giro tutto il pomeriggio esposti ai pericoli che una società "sanamente" competitiva prepara per loro: prostituzione, malavita organizzata, droghe leggere e pesanti. Si noti poi che tra le venticinque ore settimanali, alcune, sul piano dei contenuti, dovrebbero essere di competenza regionale, nel quadro della devolution pretesa da Bossi. Dunque, alle poche lezioni di italiano, storia, matematica, dovranno affiancarsi studi di dialetti celtici, di storia della Padania, di canzoni popolari valtellinesi. (Dove mettere le tre I del Cavaliere? Forse al posto di Dante e Manzoni?).
Dulcis in fundo - ma non fa parte della riforma Moratti, bensì della legge finanziaria già in vigore, perché approvata nella disattenzione quasi generale alla fine del 2001 - l'università. Nella legge finanziaria 2001, l'art. 28 contiene tra l'altro una norma secondo cui "Al fine di conseguire gli obiettivi di stabilità e crescita... entro sei mesi'. il governo individua gli enti pubblici, le agenzie e gli altri organismi'. finanziati direttamente o indirettamente a carico del bilancio dello Stato... disponendone la trasformazione in società per azioni o in fondazioni di diritto privato' la fusione o l'accorpamento' ovvero la soppressione e messa in liquidazione". Tra gli enti di questo tipo ci sono anche le università statali. Un emendamento Bassanini mirante a escluderle da questo novero fu respinto dal Parlamento a maggioranza di destra. Bene che vada, le università dovrebbero diventare delle aziende "produttive", non di sapere e ricerca, ma di ricchezza, come società per azioni; pena la vendita sul mercato o la soppressione. Male che vada - e aspettarsi il peggio, con questo governo, è il minimo che si possa fare - la legge sarà applicata per ridurre alla ragione quel mondo universitario che si sente ancora custode di valori di cultura, anche politica, irriducibili al berlusconismo. Di fronte a una simile eventualità, tutt'altro che remota, la prospettata vendita del Colosseo nell'ambito delle "cartolarizzazioni" tremontiane è una semplice quisquilia.