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Unità-Supplenti, l'Odissea dell'esercito triste (e un po' attempato)

Supplenti, l'Odissea dell'esercito triste (e un po' attempato) Luigi Galella È un ricordo dolce di quando ero studente, quello dei supplenti. Delle supplenti, soprattutto. Non solo perch?...

10/10/2005
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l'Unità

Supplenti, l'Odissea dell'esercito triste (e un po' attempato)

Luigi Galella

È un ricordo dolce di quando ero studente, quello dei supplenti. Delle supplenti, soprattutto. Non solo perché erano più giovani e avvenenti delle insegnanti di ruolo, ma perché profondevano un garbo, un'attenzione maggiore alle nostre persone, e una passione e una cura speciale nell'insegnare. Una di Matematica in particolare mi è rimasta in mente, paziente, bravissima nelle spiegazioni, che si sgolava per tenerci buoni e quasi si disperava perché non aveva il coraggio di metterci le note sul registro. Le dispiaceva danneggiarci. Frusciava fra i banchi col suo corpo giovane e ci implorava di ascoltarla, e per qualche attimo, ipnotizzati, facevamo silenzio. Ci parlava guardandoci negli occhi, facendoci sentire importanti, e noi tutti le volevamo bene. Qualcuno, fra i più intraprendenti, le chiedeva della sua vita privata. Lei un po' si schermiva, arrossendo, un po' si apriva a piccole confidenze.
Quelle giovani insegnanti a scuola non si vedono più. Da quando il Ministero ha cancellato le supplenze brevi, i supplenti hanno lo status, stanziale e temporaneo, del precario. A mezza paga se ammalati, senza permessi retribuiti. Così assuefatti alla precarietà da non riuscire quasi più a lamentarsene. Accumulano punti, avanzano nelle graduatorie e nell'età, ma nel frattempo il Ministero taglia nuove cattedre, oppure promette loro assunzioni che non arrivano mai. Tempo fa un'amica precaria, non più nel fiore degli anni, mi si rivolse con lo sguardo carico di amarezza: "Beato te che sei dentro", sospirò, imbarazzandomi. E uno, che di anni ne ha 55, mi ha raccontato che un bel giorno si è svegliato e anziché aver assegnata una cattedra ha scoperto d'essere stato cancellato da tutte le graduatorie. Una sorta di pensione anticipata senza preavviso. Infine, scoperto l'errore del Provveditorato, ha dovuto personalmente farsi il giro delle scuole per correggerlo. Precario, certo, ma gli premeva ricordare che esisteva.
Mi confida che, se potesse uscire dalla scuola, ora lo farebbe molto volentieri. Non riesce più a capire che cosa dia ai ragazzi e cosa i ragazzi a lui. Un tempo era diverso. Forse perché era più giovane ed era più curioso del mondo giovanile, o forse perché erano i ragazzi a essere più interessati a lui. Si sentiva affettivamente loro vicino, e gli piaceva che gli chiedessero consigli o gli confessassero segreti. Oggi gli sembra che quella funzione la assolva la tv. È Maria De Filippi la loro compagna, la "supplente" che ne scandaglia le anime e ne esplora l'intimità, che surroga genitori e insegnanti. Perché in fondo, mi dice, ciò che a lui importava non erano tanto i contenuti della sua materia, che con lui o con un altro i ragazzi avrebbero comunque appreso, quanto quell'esserci per loro come un adulto attento alle loro vite e che, senza pontificare o giudicare, poteva aiutarli. Era più l'umanità che la didattica ad attrarlo. Allora la sua condizione sapeva quasi tradursi in un vantaggio, un privilegio. L'affettività compensava la frustrazione, la nebulosa della precarietà. Un tirarsi reciprocamente una corda di salvataggio, che aiutasse entrambi a uscir fuori, il giovane supplente e il ragazzo, dalle secche dell'indeterminatezza.
Un'alunna, una volta, venne a chiedergli un consiglio. Voleva bene a un ragazzo, ma lui ultimamente era cambiato. S'era fatto nervoso e la trattava male. Non gli bastava più ciò che lei gli dava, chiedeva altro, quella che chiamava la "prova d'amore". E lei, che si sentiva ancora piccola, era in crisi: che fare? Ecco, mi dice, una storia del genere oggi se ce l'hai te la tieni stretta come un bene prezioso e la vai a raccontare in tv, non al tuo professore. Il privato di ognuno è divenuto un affare pubblico. O forse, senza il "pubblico", più semplicemente un affare, un modo tutto "moderno" e un po' perverso per capitalizzare i propri sentimenti. Che fabbricano amore e dolore a comando. Anzi, a telecomando.
luigalel@tin.it