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Unità-Tempi moderni-di Furio Colombo

Tempi moderni di Furio Colombo A quanto pare "noi dobbiamo proporre una linea moderna", viene ripetuto spesso dentro e intorno alla sinistra, come indicando una pozione magica. Gira e rigira ...

10/06/2002
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l'Unità

Tempi moderni
di Furio Colombo

A quanto pare "noi dobbiamo proporre una linea moderna", viene ripetuto spesso dentro e intorno alla sinistra, come indicando una pozione magica.
Gira e rigira la "modernità" si trova tutta intorno all'articolo 18 e se si possa (o meglio, si debba) licenziare liberamente chi lavora. Per esempio, sul Corriere della Sera del 6 giugno, in conclusione di un editoriale di prima pagina, Pietro Ichino ammonisce: "Pensate davvero di poter tornare più facilmente al governo con la parola d'ordine per cui il vecchio diritto al lavoro non si tocca? E se anche la cosa dovesse dovesse funzionare, che cosa direte ai vostri elettori il giorno dopo che sarete tornati al governo, per riprendere il discorso sulla indispensabile riforma del diritto del lavoro? Potrete dire: 'abbiamo scherzato'?"
Sono certo che anche Ichino, per quell'eventuale giorno di festa, vede due o tre altre ragioni capaci di animare all'improvviso la scena del Paese.
Il problema è importante. Ma non nel modo, nel tempo e con la sequenza che vuole imporre questo governo, per ragioni che non appartengono al problema ma al governo e alla sua particolare alleanza con la parte di Confindustria che ha dato sostegno e pretende l'incasso.
Il governo, lo dicono anche molti imprenditori, ha imposto una grande frenata al mondo del lavoro, ne ha interrotto la pace, ha fatto tutto ciò che poteva per dividere i sindacati. Un conto è riconoscergli di avere avuto una sua parte di successo, come dimostra il dibattito aspro che adesso divide l'Ulivo. Un conto è essere sicuri che le priorità del Paese cominciano dove le stabilisce Berlusconi.
Ma questo ci porta alla domanda che torna come un tic nervoso: siete sicuri che fare questa o quella cosa aiuti a tornare al governo?
Per non cadere in questa trappola, gli organizzatori delle campagne elettorali americane si dividono sempre in due gruppi. Uno affronta i temi e i problemi dal punto di vista dell'urgenza e della passione. L'altro decide che posizioni bisogna prendere a seconda del vento che tira.
Credo di poter dire che quelle campagne elettorali, sono spesso state perdute da chi si è occupato soltanto del secondo problema (va bene se dico questo?) trascurando di decidere e di rischiare su fatti non negoziabili per ragioni politiche, o per ragioni morali.
Per esempio, è vero che la propaganda della paura ha avuto successo. È vero che un buon numero di italiani, anche a sinistra, sono persuasi di essere invasi dagli immigrati e credono che i delitti siano compiuti quasi solo dagli stranieri. Ma persone politicamente decenti non possono scherzare con questo argomento, flirtare con la paura o far finta di credere a clamorose bugie per inseguire la paura e arruolarla fra i propri elettori.
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Siamo sicuri di vincere le elezioni difendendo i diritti umani e civili degli immigrati? No, non siamo sicuri.
Siamo sicuri di aggregare un numero di persone più vasto di quelle che hanno sostenuto Forza Italia se continuiamo a difendere senza tentennamenti l'articolo 18?
No, non ne siamo affatto sicuri. Ma non siamo neanche sicuri del contrario. Per esempio, il gruppo politico più liberista, nel nostro Paese, i radicali di Pannella, della Bonino, di Capezzone, si trova da tempo dal lato giusto della domanda di Ichino (se si possa toccare il diritto del lavoro) e non hanno raggiunto il cumulo di voti che viene continuamente lasciato intravedere alla sinistra come premio per l'abbandono di questioni definite "vecchie".
Non so perché i radicali si sentano vicini a questa destra a zig zag di Berlusconi, che va e viene fra statalismo, assistenza concordata (ma solo tra abbienti), protezionismi arcaici, un tocco di camera dei fasci e delle corporazioni (non nel senso del fascismo, ma nel senso di "se tu mi aiuti, c'è qualcosa per te") e una alleanza con Confindustria di tipo sudamericano (fronte di interesse in luogo di liberismo).
Però so che sono integri. E la loro integrità liberista svela, per contrasto, il profilo di questa strana destra: un caudillo che ha tracciato un suo percorso di interessi. La linea politica del caudillo consiste nel compensare in modi di volta in volta diversi i veri gruppi di interesse che lo sostengono, ora con una immaginaria lotta all'immigrazione, ora con conflitti di lavoro appositamente creati, ora attaccando la giustizia, ora smantellando la scuola o la sanità pubblica in modo che altri ne traggano beneficio; ora ideando immensi lavori pubblici a cui possano affluire gruppi di clienti elettori, a loro volta titolari di punti di persuasione e diffusione del consenso.
Il controllo totale delle notizie, diffonde una effervescente impressione di dinamismo, e si può capire che a molti tutto ciò appaia "moderno".
Questa presunta modernità diventa stimolo a farsi campioni di una modernità ancora più avanzata, che viene indicata come la sola strada per vincere. Invece ci troviamo di fronte ad una macchina di potere antica, clientelare, dove persino le paure (degli stranieri) e le speranze (se è ricco lui posso diventare ricco anch'io, a patto di stargli vicino) sono antiche. E chiunque (giornalisti e politici del mondo) lo ha constatato nell'umiliante "Truman Show" di Pratica di Mare. Nessun capo di governo moderno fingerebbe che qualcuno può fare, insieme, il capo del governo e il ministro degli Esteri, componendo canzoni nel tempo libero. E nessun altro, tra i leader delle democrazie industriali, contemporaneamente, avrebbe coperto una vecchia fortezza con una scenografia di cartapesta ispirata a evocazioni imperiali, perché da tempo, ormai, la funzione di governare si è separata dai simboli statuari e marmorei del potere (nel caso: simboli finti), tanto che - nel mondo di chi non è "sotto Berlusconi" - i simboli imperiali vengono visti come caricatura.
Ma la caricatura si rivela per confronto, e il confronto fra ciò che è ridicolo e ciò che è normale non può avvenire, se qualcuno controlla tutte le immagini di se stesso diffuse nel Paese.
Ecco dunque in che senso dobbiamo reclamare modernità. Modernità è non cadere nella trappola dello spettacolo ideato, scritto, diretto e interpretato da Silvio Berlusconi.
In quello spettacolo tutto è finto, tutto è arbitrario, tutto è stato predisposto per giocare un solo gioco al quale è bene non partecipare.
La sua riforma del lavoro viene dopo il patto d'acciaio con cui il candidato primo ministro, nel convegno elettorale di Parma, si è dichiarato "intercambiabile" non con tutta l'impresa italiana, ma con quegli imprenditori che erano disposti a sceglierlo come leader.
La sua riforma della giustizia viene a causa della sua situazione di imputato e risponde esclusivamente al suo reclamo di immunità.
La sua riforma della legge sull'immigrazione, che è caotica e antica come il grumo di idee che rappresenta, è il compenso che offre alle squadre della Lega, che è lasciata libera di diffondere odio e predicazione secessionista fin dentro le strutture pubbliche della tv di Stato, in cambio del sostegno e del voto.
La riforma detta "devolution" è il progetto di un disastro che colpirà insieme scuola, santità, giustizia, ordine pubblico con un modello di federalismo vagamente argentino. È un disegno che esalta una vecchia ossessione identitaria fatta di rancori locali, cieca e sorda ai problemi del mondo, cieca e sorda a una parte dell'Italia.
Ma chi sta al gioco sta al potere e lo condivide, in una aggregazione che non lascia spazio per gli interessi comuni, non un centimetro.
Nonostante il continuo risuonare dell'Inno nazionale.
La modernità che si chiede ai leader e ai partiti che non sono complici del nodo clientelare di potere chiamato Casa delle Libertà, si realizza in due mosse. La prima mossa è non stare al gioco. Come dimostra il disastro delle Giustizia e il tentativo esplicito di gettare una istituzione dello Stato (la polizia) contro un'altra (i giudici), non c'è alcuna parte del gioco, condotto per interessi esclusivamente personali da Berlusconi, e dai suoi associati, che si possa condividere e assecondare.
La seconda mossa richiede ostinazione e tenacia. Riguarda il conflitto di interessi. Questo immenso scandalo italiano è il cuore della macchina di potere berlusconiano. Non c'è niente di moderno nel controllare tutte (tutte) le televisioni, molti giornali e nell'effetto di intimidazione che in tal modo si esercita su tutto il mondo giornalistico.
In queste due mosse si verifica non solo la coerenza e la compattezza, ma l'esistenza e il senso stesso del fare opposizione.
Conviene questo percorso? Porterà i voti che servono per vincere? Difficile dirlo, come lo è per ogni decisione politica. Moralmente non è evitabile, e comunque il percorso è obbligato. Tutto comincia qui.