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Unità: Un Motivo in Più per Dire No

Referendum

15/06/2006
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l'Unità

Vincenzo Vasile

Ancora una decina di giorni al voto per il referendum sulla riforma della Costituzione, e inaspettatamente la relazione del ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato fornisce un corposo argomento a favore della campagna per il No. Il titolare dell'Economia ha detto ieri che la situazione dei conti pubblici dopo la cura Tremonti-Berlusconi è gravissimaSiamo messi davvero male, crescono a ritmo parossistico i debiti, e occorrono interventi strutturali per evitare il dissesto e non perdere definitivamente il treno della crescita economica. Saranno gli analisti economici a ricavare qualcosa di più di un brivido terrorizzante dalle preoccupate analisi del ministro, e nei prossimi giorni si capirà come il nuovo governo intenda affrontare questo delicatissimo frangente.

Che cosa c'entri tutto ciò con il referendum è presto detto. Il fatto è che il governo di centrodestra ha lasciato in eredità all'attuale un piatto che contiene una duplice polpetta avvelenata: del pauroso deficit dei conti pubblici abbiamo detto; l'altro boccone tossico è proprio la devolution, argomento strettamente correlato al precedente. Quanto costerà, infatti, lo spezzatino istituzionale concepito dai «quattro saggi» in bermuda che si radunarono nella baita alpina di Lorenzago di Cadore?

L'informazione del servizio «pubblico» radiotelevisivo glissa con formidabile superficialità su questo punto. L'altro giorno il Sole24ore valutava in 270 miliardi di euro la «partita di giro» delle competenze che si sposterebbero dal bilancio statale a quello delle regioni. E a quasi un miliardo e mezzo ammonterebbero soltanto gli aumenti di costi del personale sin dal 2006.

È stato un amico dell'ex ministro Tremonti, il professor Giuseppe Vitaletti, a formulare un pronostico che fa rizzare i capelli: ha calcolato in una quarantina di miliardi di euro la somma che occorrerebbe reperire per mettere in moto il complesso e confuso passaggio di poteri previsto dalla riforma. Si intende: questi soldi dovranno essere disponibili da subito, perché - a differenza di altre norme della «riforma» - la devolution è destinata a partire immediatamente, così come ha preteso la Lega, al tavolo della più autoreferenziale trattativa che la storia politica italiana ricordi. Ogni anno avvenire, poi, quella somma è destinata a crescere, ha aggiunto il professore.

E si badi che si sta parlando soltanto della cosiddetta lista della serva, qui non si parla del tremendo costo sociale addizionale che comporterebbe una suddivisione in venti sistemi locali della scuola e della sanità, né del grande bailamme di conflitti e contenziosi che si aprirebbe per effetto del riconoscimento di una vasta gamma di «competenze esclusive» alle Regioni. Tutti gli uffici studi che hanno esaminato il «dossier devolution» concordano, poi, sul fatto che i costi maggiori sarebbero per l'istruzione.

E siccome è sotto gli occhi di tutti che non è stato predisposto nulla per dare autonomia finanziaria alle Regioni, la conseguenza sarebbe una completa e definitiva paralisi della scuola pubblica. Per avere un'idea dell'ordine di grandezza delle spese aggiuntive si potrebbe dare, infine, un'occhiata alle superfetazioni della macchina mangiasoldi di una Regione come la Sicilia che da sessant'anni con il suo Statuto speciale ha già percorso grandi tratti di questa stessa fallimentare strada.

L'analisi dei costi della devolution offre, dunque, una ragione in più, un'enorme ragione per dare forza al No in questa campagna referendaria che tarda ancora a stare con i piedi per terra. Eppure si tratterebbe di chiedere agli elettori: giudicate voi se un Paese con i tremendi guai finanziari descritti da Tommaso Padoa Schioppa può permettersi il lusso di prendere una simile sbronza spendereccia. È abbastanza facile prevedere che essi risponderebbero con un sonoro e netto «No».