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Unità: Un Paese col grembiule

Perchè, come direbbe l’uomo d’ordine che va sempre più per la maggiore, è davvero il caso di farla finita con le licenze che hanno avuto inizio insieme alla spallata del Sessantotto

09/07/2008
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l'Unità

Fulvio Abbate

È di qualche giorno fa la proposta parlamentare di reintrodurre l’obbligo del grembiule nelle scuole. Materne, elementari, medie, e forse perfino nei licei. Ovviamente si tratta di un’idea straordinaria scintillata nell’ambito del centro-destra. Silvio Berlusconi non si è ancora espresso sull’argomento, ma, conoscendo l’estro dell’uomo, non dubitiamo che possa essere favorevole alla cosa, se non altro dal punto di vista coreografico, anzi, come quando, nel pieno della costruzione di una spettacolo, c’è da affrontare la scelta dei costumi: più evidenti sono, e meglio è. Per il bene appunto dello spettacolo. In ogni caso, il ministro della pubblica istruzione, la signora Mariastella Gelmini, ha dato un parere altrettanto convinto, adesione immediata: intervistata da Sky News 24 assentiva sorridente, rimembrando con un certo compiacimento i suoi anni scolastici, quando anche lei lo indossava. In realtà, il ministro, più che di grembiule ha parlato di “divisa”, che ovviamente è ben altro, molto di più, e lo stesso hanno fatto, accrescendo la propria convinzione d’ordine e d’autorità, se non di restaurazione, alcuni altri signori che fanno riferimento all’ala destra, nel senso di An, del governo.
Personalmente, nei giorni scorsi anch’io mi sono trovato a riflettere pubblicamente su questo imperdibile tema, ed è accaduto proprio a Sky News 24, nella stessa trasmissione dove la signora Gelmini manifestava la propria soddisfazione al pensiero di un nuovo corso scolastico che prenda le prime mosse proprio dal grembiule, di più, dalla divisa. Se ne parlo a mente fretta dipende da una certa rabbia che, a cose fatte ho provato in primo luogo verso me stesso, nel senso che, pensando a un irrilevante dettaglio tecnico, ho dichiarato generosamente di “non essere pregiudizialmente contrario”. Nel mio candore, mettendo da parte ogni sentimento giacobino, pensavo infatti che all’opportunità del grembiule in senso assai “tecnico”, come “strumento di lavoro”, in grado di far “risparmiare l’usura degli abiti” e soprattutto il “consumo dell’acqua” per le mille lavatrici cui sono inchiodate le persone che hanno figli e devono quindi occuparsi delle faccende di casa. In breve, pensavo a uno sconto di pena familiare, nulla di più.
Se tu però, come hanno fatto le signore e i signori del governo, mi parli di “divisa”, e lo fai addirittura con un certo orgoglio che mostra un’indole gagliarda, accennando un istante dopo allo “spirito d’appartenenza d’istituto”, dunque immaginando una soluzione obbligatoria che valga anche per gli istituti superiori, a quel punto non mi inquieto, non sto più, anzi, vengo colto dal dubbio che si possa, uniformologicamente parlando, accennare a una nota di nostalgia per il fascismo che nel suo bisogno di militarizzazione prescriveva che i cittadini, fin dalla più tenera età, dovessero portare addosso un’uniforme, nell’ordine: da figli della lupa a balilla, da balilla moschettiere ad avanguardista, così come piccole italiane e giovani italiane...
Insomma, comincio seriamente a pensare che questi signori e queste signore che hanno in Silvio Berlusconi il loro saldo punto di riferimento politico e culturale stiano facendo sul serio, stiano davvero immaginando, dettaglio dopo dettaglio, calzino dopo calzino, tacco basso dopo tacco basso, tribunale dopo tribunale, decreto legge, per poi ritornare alla divisa, che dettaglio non è affatto, immaginando di mettere in atto un processo di restaurazione in senso autoritario, perché così va fatto, perché così è giusto. Perchè, come direbbe l’uomo d’ordine che va sempre più per la maggiore, è davvero il caso di farla finita con le licenze che hanno avuto inizio insieme alla spallata del Sessantotto, la nuova linea parla chiaro: ordine disciplina e gerarchia. Non sarà proprio fascismo, ma il linguaggio, il succo è lo stesso. E c’è poco da riderci sopra.
f.abbate@tiscali.it