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Unità: Una materia che manca (a tutti): spiegare la politica ai ragazzi

La politica, tra insegnanti e alunni, è un argomento tabù. Ma talvolta capita che un discorso scivoli per una china inattesa e che le proprie idee si manifestino in maniera più o meno esplicita.

24/04/2006
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l'Unità

Luigi Galella

La politica, tra insegnanti e alunni, è un argomento tabù. Ma talvolta capita che un discorso scivoli per una china inattesa e che le proprie idee si manifestino in maniera più o meno esplicita. In questi casi può accadere che un ragazzo si chieda: che cosa sta per dirci l'insegnante, non vorrà mica influenzare la libera espressione del nostro voto? Eccolo allora palesare il proprio dissenso con la frase minacciosa e preveniente: «Professore, il voto è segreto». Confondendo, peraltro, un diritto con un dovere.

Ricordo che all'inizio della legislatura c'era stato qualche tentativo di intimidire gli insegnanti da parte di esponenti della maggioranza. L'idea sottesa a tale intimidazione era che i professori fossero tutti rossi e i libri di testo di parte. Non considerando che, almeno fino al 2001, il voto giovanile era più orientato a destra che a sinistra. Il che lascerebbe pensare che, se è vero che i professori erano dei “comunisti” e tentavano di condizionare i propri studenti, svolgevano malissimo il loro compito.

In realtà di politica non si parla mai. Ed è un peccato, perché i ragazzi arrivano ai diciotto anni scoprendosi indifferenti e, nel migliore dei casi, ignoranti della materia. E perfino i sedicenti fascisti, che ti guardano in tralice, curiosi e sospettosi, quando nel programma di storia arrivi al ventennio, sono nient'altro che fascisti da stadio, che nulla sanno della storia. E quando scoprono che Mussolini nel 1922 si insediò al governo pronunciando il celebre discorso del “bivacco”, in cui il futuro duce parlava con disprezzo e con aggressivo sarcasmo del parlamento come di un'aula sorda e grigia, l'“antipolitica” di allora; e quando racconti del clima di intimidazione in cui si svolsero le elezioni del '24 e del delitto Matteotti, che seguì alla denuncia parlamentare del coraggioso deputato socialista, e quindi della rivendicazione di quell'omicidio da parte dello stesso Mussolini, e delle leggi fascistissime, che azzerarono definitivamente ogni residua parvenza di libertà, i fascisti da stadio, d'a Roma e d'a Lazio, smettono di guardarti di sbieco e sembrano quasi vacillare nelle loro convinzioni, o perlomeno danno l'idea che di quegli argomenti nulla conoscono, dimostrando così l'inconsistenza delle parole con cui si travestono, di quell'abito ideologico che indossano e che costruisce l'identità a partire dall'esibizione, muscolare e vacua, di forme esteriori.

In occasione delle recenti elezioni ho avuto modo di constatare quanto grande sia questo vuoto di conoscenze, ma ho anche intravisto, qui e là, come una forma nuova che si va abbozzando, come un faticoso desiderio di rientrare nella storia, una sensibilità torpida che vuole forse risvegliarsi dopo un lungo letargo. Nel dichiararmi sinceramente la loro assoluta ignoranza politica, ad esempio, due ragazze di quarta, prossime ai diciott'anni (una li compiva proprio il dieci aprile) mi hanno rivolto alcune domande sul meccanismo della nuova legge elettorale e sulle differenze fra destra e sinistra. Lo hanno fatto con un misto di timidezza e imbarazzo, confessandomi che avevano provato a seguire in televisione alcuni dibattiti della campagna elettorale, ma che non ci avevano capito granché. Sembravano come dispiacersi delle loro lacune e si giustificavano con l'argomento che alla loro età, forse, è ancora presto per occuparsi di questi temi. Tuttavia ascoltavano con estremo interesse. Come se quella “politica” che stavo loro spiegando fosse una sorta di porta d'ingresso nella maggiore età, e come tale fosse degna di una speciale attenzione.

Un tempo erano i ragazzi a “imporre” la politica nella scuola. Ora penso che dovremmo essere noi professori a proporla. Se ci si lamenta dello scarso interesse dei ragazzi nei confronti dei quotidiani, ad esempio, è anche perché i giornali sono pieni di politica, che a loro risulta illeggibile perché nessuno gliel'ha mai spiegata. Forse è giunto il momento di cominciare. Che senso ha, altrimenti, parlare di storia, di diritto, di educazione, di morale, di civiltà, di libertà?

luigalel@tin.it