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Unità-Università, l'assalto estivo di Moratti

questa estate avvelenata dai giochi finanziari e che coinvolgono istituzioni e uomini politici, l'opera di distruzione sistematica dell'università pubblica prosegue a grandi passi. Il ministro Letiz...

10/08/2005
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l'Unità

questa estate avvelenata dai giochi finanziari e che coinvolgono istituzioni e uomini politici, l'opera di distruzione sistematica dell'università pubblica prosegue a grandi passi.
Il ministro Letizia Moratti ha incassato, senza scomporsi minimamente, le decine e decine mozioni di rifiuto e di protesta che sono giunte nelle ultime settimane dalle regioni come da tutti gli organismi universitari (CRUI, CUN, Conferenze dei Presidi di tutte le facoltà universitarie) e da tutte le organizzazioni sindacali che raccolgono professori, ricercartori, tecnici amministrativi) e ha dichiarato, nella seduta della Commissione Istruzione del Senato del 12 luglio scorso che intende far approvare al più presto la versione definitiva del DDL 3497 che contiene la delega al governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari.
Le ragioni della fretta dell'ineffabile ministro berlusconiano sono abbastanza facili da intuire.
Lo scioglimento delle Camere, previsto ormai a febbraio, non lascia molto tempo al governo per varare provvedimenti di settore, sia pure della massima importanza; giacché nell'autunno-inverno l'attenzione massima, e pressoché esclusiva, dovrà essere riservata prima alla legge finanziaria, con i prevedibili contrasti tra gli alleati di fronte a una ripresa economica annunciata in continuazione e sempre latitante, e quindi alla legge di cambiamento della costituzione, vero fiore all'occhiello sia per i rapporti con la Lega Nord sia per presentarsi agli elettori come quelli che hanno blindato il futuro dando tutti i poteri al primo ministro e troncando le possibilità di reazione ai loro piani da parte del Capo dello Stato e della corte costituzionale.
Di qui l'urgenza di completare la sistematica distruzione della scuola e dell'università pubbliche, vere e proprie spine nel fianco sulla via della privatizzazione del sapere e del suo docile allinearsi alla visione antimeritocratica e gerarchica, per non dire altro, che presiede alla politica di Berlusconi e dei suoi luogotenenti.
Chi appartiene a una famiglia ricca può percorrere tutta la strada della formazione e della ricerca, chi difetta di queste caratteristiche deve attrezzarsi per occupare nella società di domani il posto esecutivo e subalterno che gli compete.
Così ad appena tredici anni deve lasciare la possibilità degli studi superiori per dedicarsi alla formazione professionale.
E, quanto alla formazione superiore, deve essere scoraggiato in ogni modo dal farsi una carriera di ricercatore se non ha i mezzi di esser mantenuto dalla famiglia in un precariato destinato a durare oltre i quarant'anni.
C'è, in questo senso, una coerenza straordinaria tra la cosiddetta riforma della scuola che sta realizzando la Moratti e il disegno di legge con delega che dovrebbe essere approvato definitivamente nei prossimi giorni.
Come nella scuola così nell'università, la norma centrale è quella che riguarda il reclutamento dei giovani e l'utilizzazione di tutte le energie che vengono dalle nuove generazioni scelte sulla base di criteri di merito e non di censo, cioè di ricchezza familiare.
La Moratti si oppone a che le cose vadano come impone la costituzione ancora vigente che dice con chiarezza all'articolo 34 che gli studi superiori sono aperti a tutti quelli che ne sono meritevoli e immagina che il riordinamento delle norme che riguardano il reclutamento dei futuri professori universitari avvenga privilegiando nettamente i pochi che sono in grado di pagarsi l'università, affrontare il dottorato di ricerca e successivamente passare da un contratto all'altro per anni successivi senza poter aspirare a una minima stabilità di lavoro prima dei quarant'anni.
Ma in quale mondo vive il ministro dell'Istruzione e dell'Università?
Ha mai conosciuto un giovane non dotato di mezzi propri in abbondanza che sia stato in grado di mantenersi per metà della sua vita ed aspirare a una carriera di ricercatore fin oltre i quarant'anni?
Si è mai resa conto che, operando una doppia selezione di classe (prima nella scuola,poi nell'università) si riduce notevolmente la base di scelta dei migliori da parte della società e, di conseguenza,verranno mortificate le possibilità per il paese di ottenere migliori risultati sul piano scientifico e produttivo?
Il risultato che si conseguirà con il disegno di legge in via di approvazione è un colpo ulteriore contro le università pubbliche, già colpite a fondo negli ultimi anni da una mancanza di risorse che ci pone agli ultimi posti della classifica europea e occidentale.
È noto che le quote di risorse pubbliche destinate ai settori dell'alta formazione e della ricerca sono in Italia all'0,8 del Pil mentre negli altri paesi europei sono intorno all'1,4 per cento.
E ancora nel nostro paese, con riferimento ai soggetti compresi tra i 25 e i 34 anni in possesso di titolo universitario,il rapporto con la popolazione residente è del 12 per cento mentre negli altri più avanzati paesi europei (nell'Europa dei dodici) è superiore al 20 per cento.
In questa situazione raggiungere il traguardo indicato per il 2010 dalla conferenza europea di Lisbona che prevede il 2 per cento sul Pil dedicato all'alta formazione e alla ricerca è estremamente difficile ma c'è da chiedersi anche che cosa succederà nelle università italiane nei prossimi anni quando si avrà un forte ricambio generazionale e i migliori giovani delle ultime generazioni avranno scelto altri settori di impegno meglio pagati e più raggiungibili o saranno stati costretti ad accantonare le proprie aspirazioni per le regole assurde varate alla ripresa delle vacanze di agosto.