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Unità: Università, più iscritti e laureati ma tornano i «fuoricorso»

Mussi: troppo vecchia e statica. La laurea specialistica? Non può essere un brodo che si allunga

23/11/2006
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l'Unità

di Massimo Franchi/ Roma

ALLA PROVA DEI FATTI la riforma universitaria del 1999 ha ottenuto l’obiettivo di aumentare iscritti e laureati ma non ha risolto i mali strutturali degli atenei italiani: fuori corso e dispersione. Per l’ultima volta il Comitato nazionale per la valutazione del sistema
universitario (Cnvsu), guidato dal presidente Luigi Biggeri, ha presentato il suo rapporto annuale. Presto sarà sostituito dall’Agenzia di valutazione voluta dal ministro Mussi. Il quale, dopo aver premesso che la «riforma è stata positiva» e che non ha la «minima intenzione di farne un’altra», ha sintetizzato i mali dell’università italiana in questo modo: «troppo vecchia, statica e localistica».
Più matricole e dottori A tre anni dall’entrata in vigore della «rivoluzione» targata Berlinguer delle lauree triennali e specialistiche le «luci» sulla riforma si concretizzano nel quasi raddoppio del numero di laureati: dai 152 mila del 1999 ai 301 mila del 2005. Sensibile anche l’aumento del numero delle matricole, ormai stabilizzato sulle 330 mila unità (nel 1999 e nel 2000 erano 278 mila), conseguente al fatto che la percentuale di diplomati superiori che sceglie di iscriversi all’università si è alzata dal 62 per cento del 2001 al 74 per cento del 2005.
Ritorna la dispersione Se su iscritti e laureati i dati confermano gli obiettivi della riforma, brutte notizie arrivano dai numeri sull’abbandono universitario. Se la riduzione degli anni di corso da 4 a 3 si prefiggeva lo scopo di diminuire la dispersione, dopo anni di calo della percentuale di mancate reiscrizioni al secondo anno, nel 2005 questa è risalita oltre il 20 per cento: una matricola su 5 abbandona gli studi durante il primo anno. Ed è in calo anche la percentuale di «iscritti regolari», ovvero il numero di iscritti da un numero di anni inferiore o pari alla durata del corso, cala dal 85 per cento del 2002 al 73 per cento del 2005.
Triennali da ripensare Le lauree specialistiche (il «+2») della riforma è fin troppo specialistico. Gli atenei fanno a gara per inventarsi corsi visto che ogni 100 lauree triennali ci sono 67 bienni specialistici con la maggioranza dei laureati triennali che prosegue nel biennio. «Il triennio - ha detto il ministro Mussi - non può essere più un vicolo cieco, ma deve poter conferire un titolo che abbia un proprio valore compiuto sul mercato. La laurea specialistica non può essere un brodo che si allunga. Le cose vanno però rimesse in ordine con un cacciavite fine, non con l'accetta. Non si può fare tabula rasa».
La piramide dei docenti Se il Fondo ordinario del ministero è usato all’85 per cento per pagare il personale, l’altra anomalia tutta italiana è quella del rapporto tra docenti ricercatori, associati ed ordinari. Sono più o meno lo stesso numero: 22 mila i ricercatori, 19 mila gli associati e gli ordinari con un età media troppo alta per ogni ruolo (44 i ricercatori, 52 gli associati, 58 gli ordinari). Carriera si fa per concorso, ma in realtà si fa per anzianità visto che gli idonei ai concorsi (oggi oltre 40 mila) arrivano ai ruoli più alti per «scorrimento», dopo anni di attesa.
Riforme in arrivo «I dati del rapporto collimano con quanto vado dicendo da tempo - spiega Mussi -. Con l’Agenzia di valutazione, prevista in Finanziaria, sposteremo una quota crescente dei trasferimento agli atenei regolandola sul loro miglioramento qualitativo, come ad esempio il numero di nuovi docenti ricercatori, in modo da svecchiare il corpo docente. Favoriremo poi - continua Mussi - la mobilità dei dottorandi perché non devono rimanere fermi nella loro sede d’origine. Per ultima cosa dobbiamo ridare all'università le caratteristiche di essere internazionale e sovranazionale».