Università e ricerca: 10 riforme necessarie L'appello del mondo accademico a Draghi
Emanuela Micucci
Tra le prime mosse di Mario Draghi, la ridefinizione del Recovery plan con istruzione, università, ricerca e giovani tra i principali investimenti produttivi. Ogni euro speso in istruzione, infatti, ne restituirebbe 2,2 nel lungo periodo. E proprio «investire, semplificare e liberalizzare» è quanto chiedono in un appello al premier incaricato Draghi 300 accademici aderenti al think tank Lettera150, proponendo le 10 riforme necessarie per liberare le energie del mondo dell'università e della ricerca perché diventi volano dell'economia italiana. «Confidiamo che il futuro governo, a differenza di quanto fatto finora, metta al primo posto ricerca e innovazione», spiega Giuseppe Valditara, ordinario dell'Università di Torino, coordinatore di Lettera150. «L'Istat», ricorda, «ha stimato che per ogni miliardo investito in ricerca si generano a regine oltre 4 miliardi in termini di pil». Oltre all'aumento dei finanziamenti per i fondi ordinari per università (Ffo) e ricerca (Foe), l'edilizia universitaria e il diritto allo studio, gli esperti chiedono una riforma avanzata del dottorato, delle lauree professionalizzanti, della formazione professionale superiore e dell'istruzione e formazione professionale superiore. Una decisa semplificazione inoltre delle procedure delle attività di ricerca «con la cancellazione di lacci e lacciuoli che la imbrigliano». Necessario, poi, uno spazio aperto dei dati scientifici per consentirne la fruizione al mondo scientifico ed alla società, «così da migliorare l'analisi dell'esistente e la capacità di programmazione».
Si chiede inoltre una maggiore autonomia delle università, una riforma dei meccanismi di valutazione degli atenei con certificazione di qualità da parte di agenzie internazionali accreditate. E una riforma del reclutamento «che garantisca insieme con una reale meritocrazia anche quote di libera scelta da parte degli atenei e che nel contempo valuti anche i risultati ottenuti nel trasferimento di conoscenza». E l'internazionalizzazione del sistema per favorire l'esportazione della ricerca italiana all'estero, per favorire gli scambi e per attirare ricercatori e studenti stranieri.
Centrale, il trasferimento tecnologico per incoraggiare la produzione di brevetti e la loro trasformazione in prototipi industrializzabili. Con un'attenzione particolare all'intelligenza artificiale «sul cui sviluppo si va costruendo la quarta rivoluzione industriale». Occorre, poi, aumentare i posti di professore e di ricercatore per colmare il gap rispetto ai principali competitor dell'Italia, per consentire una rapida carriera ai migliori giovani e per favorire il rientro dei tanti bravi ricercatori oggi all'estero. Infine, l'appello chiede di valorizzare i dipartimenti più innovativi, «non in base a meccanismi burocratici, ma nel dialogo con gli atenei e con il territorio, così da trasformarli in eccellenze mondiali». E di favorire la federazione con strutture accademiche nazionali e internazionali così da creare grandi infrastrutture di ricerca con forme consortili capaci di coinvolgere pure enti privati. «Molte di queste riforme sono già pronte», concludono gli accademici, «attendono solo di essere varate. Ricerca e innovazione non possono più aspettare, perché l'Italia non può perdere competitività». Tra i firmatari dell'appello, Antonio Vicino, presidente Cun; Antonio Uricchio, presidente Anvur; Carlo Doglioni, presidente Ingv; Nicola Casagli, presidente Ogs, Giampio Bracchi, presidente emerito Fondazione Politecnico di Milano; Giovanni Orsina, direttore School of Government Luiss; Stefano Ruffo, presidente Sissa; Luca Crescenzi, presidente Istituto italiano di studi germanici; Giorgio Rossi, governing board Eosc, Giuseppe Bertagna, pedagogista-università di Bergamo, Paola Gribaudo, presidente dell'Accademia Albertina di Torino.