Università Messa la prima rettrice a Milano "Ricerca e meritocrazia"
Accademica Maria Cristina Messa, 59 anni, professoressa e prima donna a capo della Bicocca
Tiziana De Giorgio
MILANO — È stata la prima donna alla guida di un’università milanese, la Bicocca, segnando l’inizio di una rivoluzione in ateneo, nel lungo cammino verso la parità di genere anche per le realtà accademiche. Maria Cristina Messa, neoministra dell’Università, ha dedicato la sua vita alla ricerca. Medico, specializzata in Medicina nucleare, la sua carriera da manager nel mondo della scienza l’ha vista vicepresidente del Cnr e parte del Comitato coordinatore di Human Technopole. Nata a Monza nel 1961, si è laureata e specializzata alla Statale prima trasferirsi all’estero, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, e poi rientrare in Italia. Parte della sua vita da ricercatrice l’ha trascorsa al San Raffaele. All’università Bicocca è diventata associata nel 2001, ordinaria di Diagnostica per immagini nel 2013. Esattamente dieci anni dopo, i suoi colleghi l’hanno scelta come rettrice, aprendo per la prima volta la strada alle donne nella più giovane università di Milano, che sotto il suo mandato ha raggiunto la perfetta parità nelle poltrone che contano ai vertici dell’università, cosa mai successa.
Decisa e riservata, estremamente attenta al ruolo istituzionale con le sue dichiarazioni pubbliche schiette, senza mai una sbavatura, una frase fuori posto, una polemica. Una donna di scienza, amante delle commistioni fra saperi. Sotto il suo rettorato è iniziata la costruzione di un polo culturale che ha portato nell’ex quartiere operaio della città opere d’arte, sculture come quella di Arnaldo Pomodoro. E poi un distretto che a tutt’oggi unisce università, centri di ricerca, aziende hi-tech, teatri, spazi museali. Ha immaginato un hub dove diversi filoni di ricerca potessero dialogare fra loro, con teste e strumentazioni condivise.
A chi domanda ai colleghi della comunità che ha guidato per sei anni quale sia stata la sua priorità, il suo cruccio, sono in tanti a non avere dubbi. La ricerca, certo. «Insieme agli studenti e il merito — rispondono — e non è un modo di dire». Una donna che conosce la macchina di un’università da vicino, ed è questo uno dei principali contributi che potrà portare come guida del ministero che nel 2013 l’aveva nominata come delegata nel programma dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione, Horizon 2020. E nel 2017 l’ha scelta come membro dell’Osservatorio nazionale della formazione medico specialistica.
Mamma di due figli. Sempre nell’ateneo dove è stata rettrice, è partita da lei la sperimentazione dello smart working come strumento di conciliazione per il personale. «Credo di essere la prova che sia possibile fare carriera in un modo maschilista come quello di un’università», aveva detto in un’intervista a Repubblica in cui non aveva nascosto la fatica, per una donna, di fare carriera, di arrivare nelle posizioni che contano. Ma anche di riuscire a conciliare questa vita con due bambini da crescere. «Quando ho cominciato a lavorare in ospedale la discriminazione verso le donne era ancora fortissima, e così anche all’università. Se poi hai anche il coraggio di fare figli, la lobby maschile cerca di fermarti». Non si è fermata.