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«Va bene il merito ma deve crescere il livello medio»

Intervista a Andrea Cammelli-Il direttore di AlmaLaurea sui flussi nelle facoltà: «La laurea triennale aveva avvicinato una fascia socialmente debole che ora si allontana di nuovo»

16/07/2011
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l'Unità

Un flusso di popolo che si era avvicinato all’università, con la crisi economica e in assenza di una politica per lo studio adeguata, è tornato ad allontanarsi ». Questo sta accadendo, secondo Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, che legge il calo delle matricole come la spia di un fatto storico allarmante. «E se non invertiamo nuovamente questa tendenza non ce la faremo a riprenderci dalla crisi». Perché i diplomati «fuggono» dall’università? «C’è un fattore demografico: cala la popolazione dei diciannovenni. Ma più basso in percentuale è anche il numero dei diplomati che si iscrive all’università. I media hanno fatto passare l’idea che sia tutta una parentopoli, antiquata, che non risponde alle esigenze del mercato del lavoro. E poi c’è la convinzione diffusa quanto errata che i laureati avranno le stesse difficoltà a trovare lavoro dei diplomati. Ma il calo di prestigio dell'università ha influito negativamente, soprattutto, su quella parte di popolazione tradizionalmente esclusa per ragioni sociale ed economiche». Sono soprattutto i più poveri a passare la mano? «Sì, l’introduzione della laurea triennale aveva avvicinato all’università una fascia di persone storicamente esclusa e socialmente debole, che ora sta tornando ad allontanarsi. Gli iscritti in meno sono soprattutto i giovani che vengono da famiglie socialmente ed economicamente svantaggiate. E la difficoltà economica crescente è anche una delle cause di abbandono dell’università al primo anno». L’università costa troppo? «Sì e il punto non è tanto il costo degli studi universitari quanto la sua sostenibilità per le famiglie che non ce la fanno ad arrivare alla quarta settimana, né tanto meno a mantenere i figli agli studi. Il governo doveva intervenire con una politica per il diritto allo studio adeguata. Ma agli annunci non ha mai dato seguito». E adesso che fare? «Si deve investire di più sui giovani, che sono già pochi. Nel confronto internazionale, siamo al fondo scala per spesa per università e per ricerca. Se non invertiamo questa tendenza il paese non ce la farà a riprendersi. Negli anni di carestia il contadino taglia su tutto ma non sulla semina. Dovremo fare dei sacrifici, ma è l’unica cosa che possiamo fare se non vogliamo continuare a sprecare talenti». Il governo dice che bisogna premiare il merito e le eccellenze. «A me va benissimo il merito, anche se temo che venga usato da chi non ne conosce il significato, mi vanno bene le eccellenze. Ma il nostro obiettivo deve essere far crescere la soglia educazione di una parte consistente del paese. Dall'inizio degli anni '80 i figli degli operai tra i laureati sono passati dall'1,5% a oltre 25,8%, ma tra i matricolati questa tendenza si va invertendo. Di questo dovremmo occuparci. I laureati in Italia, tra gli under 35, sono ancora 20 su 100 quando la media Oecd è del 35%. Non ci sono ricette contro la crisi se non si riduce questo ritardo storico. MA. GE.