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Vale la pena resistere nell'università pubblica

di Massimo Morisi - Firenze

06/11/2010
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la Repubblica

Ho il massimo rispetto per studiosi del calibro di Roberto D´Alimonte: giustamente accreditati nell´accademia internazionale così come molto popolari tra studenti, studiosi, media e autorità istituzionali. Ho dunque la più sincera comprensione per la sua scelta di abbandonare l´università della Repubblica italiana per approdare all´università della Confederazione degli industriali italiani. Tuttavia, sono altrettanto lieto per coloro che - pur sollecitati da analoghe opportunità retributive, logistiche e di ricerca - non fanno una scelta analoga. Non solo perché, come mi disse anni fa uno studente dalle modeste origini scolastiche eppur capace, dopo una grande fatica, di arrivare al 30 e lode, …beh, se tutti se ne vanno …noi che facciamo? Non solo perché quando guardo in faccia i miei 140 studenti nell´aula 1.07 del polo scientifico di Novoli ancora mi emoziono alla loro attenzione, alla loro pazienza, alla loro bisogno di capire ben al di là delle preoccupazioni per l´esame. Ma soprattutto perché, e forse mi illudo però voglio fermamente continuare a farlo, che quella maledetta norma dell´art. 3, 2° comma della nostra costituzione sia ancora, debba ancora essere la stella polare di chi fa il mio mestiere. Ricordate?: ….è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che ….impediscono il pieno sviluppo della persona umana…. Tutto questo non attenua l´esigenza di trasformare - sottolineo, trasformare - le nostre università in congegni parsimoniosi ed efficienti, attrattivi e innovativi, capaci di includere e selezionare allo stesso tempo, efficaci nello stimolare spirito di intrapresa sia in chi vi insegna, sia in chi vi studia. Ma c´entra molto con la consapevolezza di quella che è la realtà del nostro Paese: ove un sistema di formazione secondaria è in grande affanno. Pochi eccellenti licei e una galassia di istituti tecnici che fanno del loro meglio ma sfornano studenti mediamente in seria difficoltà di fronte al bisogno di combinare opinioni, riflessioni e argomenti (…per tacere del rapporto con la lingua, la storia, l´analisi dei fenomeni reali). Tutto questo, piaccia o no, chiama l´università a una grande e complicatissima opera in parte di supplenza, in parte di integrazione e completamento, in parte di innovazione per consentire a migliaia di ragazze e di ragazzi quel "balzo in avanti" che giustifica l´esistenza stessa di un´università e i sacrifici che milioni di famiglie italiane continuano a investire in questa grande scommessa collettiva.

Lo so, è una gran fatica sporcarsi le mani con una burocrazia asfissiante quanto creativa: …perché a Novoli debbo fare quattro telefonate o inviare sette e-mail per ottenere un´aula capace di contenere i miei studenti o per rinviare la data di un esame? Perché il sito dell´Università è un campione di rigidità? Perché uno studente deve avere un pass per raggiungermi nel mio studio? Perché debbo destinare il 30% del mio tempo a compilare moduli metà dei quali finirà al macero? Perché relazioni ordinarie e strutturate col mondo del lavoro e dell´impresa sono così faticose da costruire e legittimare? Perché la valutazione dei miei studenti non si traduce in premi o sanzioni? etc. etc.). Ed è una gran fatica vedersela con un ministro del tesoro che è intimamente convinto che …siamo una massa di nullafacenti da licenziare o che non ti dice a fine 2010 quale sarà il tuo finanziamento ordinario per quello stesso anno. Eppure è questa la resistenza che il mio Paese in quest´epoca mi chiede. Certo, posso sognare che esista qui ed ora un mondo che appartiene invece ad altri pianeti. Poi però me la devo vedere con gli occhioni di chi a vent´anni si aspetta una chance credibile dai banchi sdruciti dell´università pubblica. Magari fallirò, ma con ogni residua energia voglio cercare di dargliela. E per fortuna siamo in tanti, i più, a pensarla così.