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Valutare le scuole, scommessa impossibile?

Se anche questa risulterà una occasione perduta le responsabilità però andranno divise tra chi ha promosso dall´alto e slegata dalle molteplici realtà una difficilissima ancorché indispensabile iniziativa e chi l´avrebbe comunque rifiutata.

30/05/2011
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la Repubblica

Mario Pirani

 

 
Valutare le scuole scommessa impossibile?

 



Un´ondata di proteste anti-Invalsi ha investito a metà maggio più di due milioni di ragazzi di alcune classi scolastiche, dalle elementari alle superiori. Quest´anno, infatti, per la prima volta vi sono coinvolti i quindicenni delle II superiori (conclusive del biennio, le vecchie V ginnasio) di ogni ordine (classico, tecnico, professionale, ecc.). Eppure non si tratta di sfide che comportino bocciature o debiti destinati a incidere sugli scrutini ma soltanto di una specie di censimento a quiz con risposte multiple e chiuse (tra cui il soggetto dovrà scegliere quella che gli sembrerà più giusta) e che a settembre dovrebbe fornire un quadro complessivo del grado degli studi nelle nostre scuole in italiano e matematica. L´iniziativa è definita enigmaticamente "prova Invalsi". Acronimo misterioso ai più che, alla fine, una sperimentata professoressa alla vigilia della pensione, che assieme a numerose altre, si è rifiutata di "somministrare" i quesiti (secondo il verbo usato dai promotori) mi ha chiarito: Invalsi sta per "Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione", incaricato, appunto, di promuovere, definire, "somministrare" i questionari, elaborare le risposte. La discussione che si è svolta attorno ai diversi momenti dell´iniziativa ha risentito, come tutto ciò che si discute all´interno delle istituzioni scolastiche, di quella astrusità del linguaggio pedagogico che ha finito per tradursi in un gergo incomprensibile, così da estraniare coloro che democraticamente dovrebbero essere i più diretti interessati alla discussione – genitori, politici, intellettuali, giornalisti e gli stessi studenti – da una leggibilità trasparente dei temi sul tappeto. Per capire, dunque, il perché di tante resistenze o approcci furbeschi (risposte suggerite dai professori di classe, laddove incaricati di seguire direttamente l´esame) o consegne in bianco o scritte a casaccio, ecc. mi sono procurato direttamente i questionari: uno per l´italiano, uno per la matematica e un terzo sulla vita personale, sociale e famigliare dello studente, così da monitorare in qualche modo il contesto differenziale tra le risposte di un liceale del centro di Milano e un allievo delle professionali di Catanzaro. Ho letto con attenzione i quesiti di italiano: alcuni si riferivano all´individuazione di risposte attinenti la grammatica e la sintassi, altre proponevano un testo e implicavano la ricerca del significato e della tipologia (è un saggio di linguistica? un´intervista?, una relazione metodologica?). Vi sono, infine, lunghi brani di racconto o di saggistica (ad esempio sulla linguistica) la cui comprensione e relativi quesiti implica un livello formativo molto elevato, non fosse altro per la conoscenza dei vocaboli e concetti impiegati.
Ho confrontato questo questionario a quello personale (quanti libri hai in casa? hai una tua scrivania? cosa fanno i tuoi genitori, ecc?) ma non sono riuscito a capire quali "correzioni matematico-statistiche" permetteranno di equiparare le risposte prevalenti nelle scuole di eccellenza di un centro cittadino al disastro ambientale di una professionale di periferia. Detto questo e pur sostenendo l´esigenza assoluta dell´introduzione di un sistema valutativo efficace, mi permetterei un giudizio elementare: gli insegnanti hanno sempre rifiutato forme di valutazione esterne all´ordinamento (ricordate la fine del ministro Berlinguer col governo Prodi, quando azzardò il famoso "quizzone", le cui risposte avrebbero dovuto segnalare le differenze di capacità fra i singoli insegnanti?). Neppure oggi manca la paura che i risultati possano servire, anche se non lo si confessa, per premiare o punire le singole scuole e i singoli insegnanti. Se anche questa risulterà una occasione perduta le responsabilità però andranno divise tra chi ha promosso dall´alto e slegata dalle molteplici realtà una difficilissima ancorché indispensabile iniziativa e chi l´avrebbe comunque rifiutata.