Sinopoli (Flc Cgil): Rinnovo del contratto, 85 euro è solo un punto di partenza!
Abbiamo avuto l'opportunità di intervistare in esclusiva, per La Tecnica della Scuola, il Segretario generale della FLC CGIL Nazionale Francesco Sinopoli
Qualcuno ha parlato di dietro front o cambio di rotta della Flc Cgil sulla questione dei licei quadriennali, ci vuole spiegare con precisione cosa è successo e la posizione ufficiale della Flc Cgil?
Il dibattito estivo sui quadriennali è stato di per sé abbastanza surreale. La Ministra che fa dichiarazioni alla stampa e molto siti specializzati che le riprendono commentando il merito del provvedimento senza conoscerlo, dal momento che tale DM non era rintracciabile né sui siti istituzionali né era stato inviato alle OO.SS. come avviene di consueto per obbligo di informativa. Quindi la FLC esce con una prima notizia ribadendo la propria contrarietà alle sperimentazioni quadriennali modello Giannini (siamo stati gli unici nel panorama sindacale ad impugnare il provvedimento) e si riserva di precisare la posizione dopo aver letto il provvedimento. Veniamo in possesso del testo del DM sulla sperimentazione tramite i componenti della delegazione FLC all'interno del Cspi la sera del 9 agosto. Il giorno successivo, come avevamo anticipato, facciamo l’affondo: il provvedimento sui quadriennali è pessimo e va ritirato. L’impressione è proprio che nulla sia cambiato dall’era Gelmini, quando la riforma degli ordinamenti fu incardinata in un decreto legge di razionalizzazione della spesa pubblica: il taglio di un anno impoverisce drasticamente la qualità dell’offerta formativa del sistema scolastico pubblico, danneggia le fasce più deboli della popolazione scolastica e causa una perdita di organici, di fatto configurandosi come mera operazione di cassa. Ma soprattutto si può realizzare un intervento di riforma dei cicli scolastici riducendo la durata delle scuole secondarie superiori, senza ragionare dell’intero sistema? Perché questo è il vero cuore del problema. Bisognerebbe ad esempio ragionare seriamente delle transizioni dalla scuola primaria alla scuola secondaria di I grado e tra quest’ultima e la secondaria di II grado. In sostanza il passaggio critico in cui la scuola dell’apprendimento diventa scuola delle discipline. Continuiamo a registrare soprattutto nel primo anno della secondaria di II grado un livello di dispersione scolastica (intesa come abbandoni, bocciature e ripetenze) inaccettabile. Il costo sociale (ma anche economico) di questa situazione è una delle ferite aperte del nostro paese. In una riflessione sui cicli questo è il primo problema che andrebbe affrontato. Dov’è che la scuola inizia a fare fatica nell’assolvere alla sua funzione costituzionale? Dove intervenire affinché nessuno resti indietro? La risposta a questi interrogativi potrebbe essere una buona base di partenza per affrontare la questione dei cicli in modo non estemporaneo o peggio motivato da mere esigenze di cassa.
Poi si pone un problema anche di metodo rispetto a questa sperimentazione. Molte innovazioni positive della scuola italiana sono state introdotte a seguito di sperimentazioni (esempio tempo prolungato nella media o la legge 148/90 sull’insegnamento modulare nella scuola elementare), ma queste devono configurarsi come sistemi molto controllati, verificati negli sviluppi e nei risultati e, soprattutto, è necessario che riportino indicazioni e misurazioni sulla fattibilità estesa del percorso. Non è il caso dei licei quadriennali istituiti qualche anno fa, i cui studenti hanno sostenuto recentemente l’esame di stato. In realtà si vuole abbreviare un corso di studi, facendo un piacere alle paritarie e a chi ambisce ad una scuola più selettiva: nel momento in cui si dice che i contenuti rimangono gli stessi del corso quinquennale, anche con possibili modifiche di calendario. Addirittura, l’incremento di alcune modalità (es. l’insegnamento CLIL) a programmi praticamente invariati, orienta di fatto l’iscrizione di quegli alunni che, se non già eccellenti, di sicuro contano su vantaggi di contesto familiare.
Molti docenti considerano la loro condizione salariale inadeguata e inaccettabile, ritiene sufficienti le 85 euro lordo stato medi e in tre anni, per trovare l’accordo per firmare il rinnovo contrattuale?
85 euro sono una cifra modesta in particolare considerando la durata del blocco contrattuale, non solo per i docenti ma per tutto il personale del comparto istruzione e ricerca. Per questo chiediamo innanzitutto che siano messi tutti sul tabellare. Li consideriamo un punto di partenza per sedere al tavolo della trattativa che accompagneremo con azioni di mobilitazione per ottenere risorse aggiuntive. rispetto a quelle previste (e non ancora confermate) dall’accordo del 30 novembre 2017. Del resto la stessa Ministra ha affermato che nella scuola c’è un problema salariale. Iniziamo a risolverlo con un investimento vero a partire da questo rinnovo contrattuale. La nostra docenza merita una considerazione sociale tale da equipararla in termini di riconoscimento culturale e retributivo alla considerazione di cui godono i colleghi europei. Le fasce stipendiali vanno mantenute. L'anzianità di servizio e l'esperienza sono un valore riconosciuto in tutti i Paesi europei. Per questo lo stipendio dei precari non può essere bloccato per 11 anni. E poi facciamola finita con la demagogia. Siamo disponibili a discutere di valorizzazione professionale e di progressioni di carriera articolate sulla base di parametri oggettivi, sempre che si faccia tale operazione con risorse aggiuntive e specifiche che la controparte deve mettere sul tavolo contrattuale. Perché, anche su questo, si deve essere chiari: salario e carriere sono materie contrattuali. E aggiungo anche un'altra cosa: non siamo disponibili alla differenziazione docente, perché il docente è figura unica, da armonizzare fra i vari ordini di scuola; la gerarchizzazione è l’antitesi della cooperazione alla base del lavoro nella scuola.
L’intesa del 30 novembre 2016, che le OO.SS. hanno stipulato con la ministra Madia, prevedeva un impegno del Governo per la definizione di un provvedimento legislativo volto a promuovere il riequilibrio della contrattazione delle fonti che disciplinano il rapporto di lavoro per i dipendenti pubblici. Lei ritiene credibile questa possibilità e pensa che con il rinnovo del contratto scuola, la legge 107/2015 possa essere ridimensionata nei suoi aspetti più sgradevoli?
Rispetto alla partita contrattuale abbiamo le idee chiare: riportare le materie e le risorse economiche complessive a contrattazione vuol dire fare un passo in avanti significativo nell’opera di smantellamento della legge 107. Il contratto è per noi lo strumento per cancellare bonus e chiamata diretta. Sul primo non si capisce perché l’uso e la destinazione del salario accessorio deve deciderli da solo il dirigente. La seconda è una farsa che gioca al mercato. Un docente regolarmente reclutato è all’altezza di insegnare in qualsiasi scuola di Italia. Con questa ambizione siederemo al tavolo negoziale. Poi restiamo convinti che sia indispensabile rilanciare una battaglia complessiva per la cancellazione della legge 107. Intanto utilizziamo gli strumenti che abbiamo a disposizione.
I docenti lavorano ben oltre le 18 ore settimanali, ma il loro monte orario di lavoro è molto spesso sommerso, preparazione delle lezioni, correzione dei compiti in classe, riunioni collegiali, preparazione delle programmazioni annuali, colloqui con le famiglie, scrutini, esami, adesso si aggiunge anche il carico della formazione obbligatoria, permanente e strutturata, non crede sia necessario fare emergere nel contratto la vera mole di lavoro settimanale che sta sulle spalle dei docenti?
Crediamo di sì. In termini di impegno orario occorre far emergere il lavoro sommerso prestato e non riconosciuto come tale: ciò dimostrerà come gli orari prestati dai nostri insegnanti siano pari o superiori a quelli della docenza nel resto d’Europa. Sia chiaro: è un’operazione di trasparenza che non dovrà né potrà comportare alcun orario aggiuntivo per i docenti. Le ore di insegnamento settimanali non si toccano.
Alternanza scuola lavoro introdotta con la legge 107/2015 anche ai licei e per 200 ore nell’ultimo triennio, non solo distoglie gli studenti dallo studio curriculare, ma si è rivelata, in qualche circostanza, una perdita di tempo ed anche peggio. Molti insegnanti, genitori e studenti hanno fortemente criticato l’obbligo di questo percorso formativo, ritenendolo una perdita di tempo. Lei che idea si è fatto al riguardo?
La scuola della legge 107, voluta da Renzi e dalla ministra Giannini, e confermata dalla Fedeli, non è buona affatto. Per trovare una conferma, basta tornare alle parole della ministra Fedeli al Sole24ore nella lunga intervista di domenica 20 agosto. L’ideologia “della formazione del capitale umano” di cui parla la Ministra non solo non mette al centro gli apprendimenti ma piega la scuola all’interesse di brevissimo periodo del sistema produttivo italiano con tutti i suoi attuali limiti: specializzazione produttiva su beni a basso valore aggiunto e ricerca costante di realizzare il profitto giocando su costo del lavoro e orari . Di questa deriva è figlia anche l’alternanza scuola lavoro nelle modalità con cui è stata concepita ed attuata. Si sta costruendo un alibi affinché le aziende continuino a disinvestire in formazione assecondando l’idea folle che la scuola possa assolvere ad un compito che spetta alle imprese. Ricordo che come FLC abbiamo cercato di raccogliere le firme per un referendum che abrogasse proprio l’alternanza obbligatoria. Avevamo ragione come sulle altre materie oggetto dei nostri quesiti. Battaglie che nei contenuti vanno tutte rilanciate.
Nella scuola ci sono circa 200 mila lavoratori amministrativi, tecnici e ausiliari che la politica sembra ignorare. E’ una dimenticanza oppure una scelta politica? Secondo la FLC cosa ci vorrebbe per dare valore e funzionalità ai servizi Ata?
E’ una chiara volontà politica. Per noi un errore gravissimo che abbiamo denunciato subito dopo l’approvazione della 107 e che continueremo a denunciare. Se la Ministra Fedeli non prenderà provvedimenti per trovare soluzioni alle tante emergenze lasciando in uno stato di abbandono il personale Ata avvieremo lo stato di mobilitazione. Perché nella nostra idea di scuola le diverse professioni presenti nelle istituzioni scolastiche devono dialogare tra loro, nelle rispettive specificità ma con pari dignità e obiettivi comuni.
La complessità degli uffici nell’era informatica, la stretta connessione con la didattica di ogni azione che si svolga nell’ambito delle mura scolastiche, la laboratorialità come fulcro di un modo nuovo e moderno di fare scuola richiedono innovazioni ordinamentali (organico funzionale, tecnici nella scuola del primo ciclo) e contrattuali (rafforzamento delle professionalità). Per questo riteniamo significativo avanzare da subito alcune richieste come ad esempio: il superamento della norma che impedisce di sostituire gli amministrativi ammalati o le donne in maternità, l’emanazione del bando di concorso ordinario e riservato per Dsga, il ripristino dei posti tagliati.
A proposito dei dirigenti scolastici, cosa risponde la FLC a tutti coloro che sostengono che un sindacato generalista non possa rappresentare contemporaneamente le rivendicazioni di docenti e ATA da una parte e dei dirigenti dall’altra? Cosa chiederà la FLC per i dirigenti scolastici nel prossimo contratto?
L’idea di scuola della FLC non considera Dirigente scolastico e resto del personale della scuola come due soggetti contrapposti. Questa l’idea appartiene ad altri ed è quella presente nel disegno della 107 che contiene una forte curvatura in senso autoritario del suo profilo: il dirigente scolastico erogatore di premi ai docenti meritevoli, con poteri discrezionali di datore di lavoro (chiamata diretta, scelta fino al 10% dei docenti per funzioni organizzative) sarebbe dovuto diventare nelle intenzioni della legge un anello di congiunzione tra l’amministrazione scolastica centrale e la scuola allo scopo di esercitarne un controllo diretto e sarebbe stato valutato per la sua capacità di adeguarsi a tali compiti. Per la FLC Cgil il profilo della dirigenza scolastica è ben delineato dal contratto e dal 165 e non si tocca perché la funzione del dirigente scolastico è e deve restare quella di governare la complessità della comunità scolastica coniugando l’autonomia professionale del collegio dei docenti con il diritto allo studio degli alunni, al fine di assicurare a tutti il successo formativo. Rendere il Dirigente autorità salariale, al di fuori della regolazione contrattuale, e attribuirgli un potere di "chiamare" i Docenti lo avvicina più ad un amministratore che non ad un esponente di una comunità autonoma da cui trae la sua forza e il suo autentico mandato.
Oggi i dirigenti scolastici vivono una situazione professionale e umana di grande disagio perché svolgono un lavoro complesso, sono schiacciati da grandi responsabilità su aspetti in gran parte estranei al loro ruolo (una per tutte la responsabilità della sicurezza degli edifici scolastici), sono pagati molto meno degli altri dirigenti dello stato e in questi ultimi sette anni hanno visto addirittura diminuire le loro retribuzioni. Il nuovo contratto dovrà occuparsi di definire i limiti di queste responsabilità e trovare le risorse necessarie per dare dignità alla retribuzione dei dirigenti scolastici equiparando i loro stipendi a quelli degli altri dirigenti pubblici.
Sulla questione vaccini perché la FLC ha fin da subito criticato la scelta della Ministra Fedeli di applicare già da quest’anno il divieto di frequenza della scuola dell’infanzia per i bimbi non vaccinati?
Bisogna evitare una discussione ideologica o strumentale su un tema delicato come questo per cui fare una critica alla legge significa essere contro i vaccini. Questo è inaccettabile. La legge sull’obbligatorietà della vaccinazione si pone finalità di salute pubblica che produrranno alcuni dei loro effetti nel lungo periodo. Il dubbio che nel nostro paese ci siano attualmente condizioni di emergenza sanitaria tali da giustificare una disposizione così drastica e penalizzante per il sistema educativo come quella di impedire la frequenza ai bambini non vaccinati in tutti i casi previsti dalla legge è emerso nel dibattito parlamentare ed espresso da autorevoli esponenti della comunità scientifica. E il tema non è essere contro l'aumento della copertura attraverso l’obbligo di vaccinazione nelle situazioni critiche Piuttosto l'opportunità di estendere l'obbligo in tutti i casi previsti dalla legge collegando ad esso in tutti i casi il divieto di frequenza.
Sarebbe stata utile una discussione più distesa nei tempi e forse una riflessione maggiore sulle potenzialità di una campagna informativa che evidenziasse l’importanza delle vaccinazioni che coinvolgesse le scuole insieme alla comunità medica. L’obiettivo giusto di aumentare l’adesione all’offerta vaccinale e la promozione della salute si può raggiungere attraverso l’aumento della consapevolezza e della conoscenza dell’utilità di individuale e collettiva della vaccinazione. Inoltre le procedure previste dalla legge avrebbero dovuto tenere conto che quest’anno le scuole hanno già effettuato le iscrizioni, pubblicato gli elenchi dei bambini accolti, formato le classi: non ci sono ragioni sufficienti per smontare tutto questo lavoro a pochi giorni dall’inizio delle lezioni
C’è inoltre da dire che alcune regioni, come la Toscana ad esempio, hanno stipulato con gli Uffici Scolastici regionali appositi protocolli che prevedono l’accoglienza di tutti i bambini. Ora c’è una circolare che in modo più esplicito e rigido di quanto avesse detto la legge dice il contrario e impone ai dirigenti scolastici di notificare alle famiglie che non autocertificano di aver almeno prenotato le vaccinazioni la sospensione del diritto alla frequenza. L'aspetto più critico riguarda soprattutto il carattere punitivo di tale decisione e la lesione di un diritto: un bambino il cui genitore dichiara di aver prenotato le vaccinazioni e che magari si vaccinerà in primavera ha diritto a frequentare la scuola pure se non vaccinato, un suo compagno non vaccinato senza autocertificazione no. Chi ha preso questa decisione sembra non conoscere il valore della frequenza della scuola dell’infanzia e non ha valutato il danno in termini di crescita, socializzazione, conseguenze sui futuri apprendimenti dovuto alla mancato inserimento nella scuola dell’infanzia o a un’interruzione della sua frequenza.