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Università di Firenze: “Verso la Primavera dell’Università”

Il contributo del Coordinamento di Ateneo per l’Università e la Ricerca Pubblica all’assemblea di Ateneo.

03/03/2016
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Il documento che segue è un contributo alla discussione dell’Assemblea generale di Ateneo di tutto il personale e degli studenti dell’Università degli Studi di Firenze, indetta dal Rettore Prof. Luigi Dei che si è tenuta il 29 febbraio 2016, per discutere il futuro dell'Università e della Ricerca. Leggi anche l’intervento di John Gilbert, Segretario FLC CGIL Università di Firenze.
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Il Coordinamento di Ateneo per l’Università e la Ricerca Pubblica (*)

  • apprezza la proposta da parte della Conferenze dei Rettori (CRUI) di “una nuova primavera delle Università” e l’esigenza di “invertire la rotta” rispetto alle politiche governative di disinvestimento e di destrutturazione dell’Università e della Ricerca pubblica;
  • esprime forte preoccupazione per lo stato attuale del sistema universitario pubblico, ancora in difficoltà a causa di una radicale controriforma organizzativa e sempre in maggiore sofferenza per i tagli lineari e progressivi dei finanziamenti.

Secondo i recenti rapporti dell’Associazione SVIMEZ e della Fondazione RES, l’Università è ormai vicina al collasso, in alcune regioni dell’Italia e senza un’inversione di tendenza da parte del Governo, nei prossimi anni è probabile che alcuni Atenei siano costretti a chiudere. Preoccupano molto il calo drammatico del numero delle immatricolazioni, la chiusura dei Corsi di Laurea con la riduzione dell’offerta formativa, la perdita di decine di migliaia di posti di docenti, ricercatori, tecnici ed amministrativi, l’esplosione del precariato in tutti i settori della conoscenza.

E’ un processo che va avanti da ormai un decennio, con tutti i vari Governi che hanno sottoposto l’Università e la Ricerca pubblica a pesantissimi tagli dei finanziamenti. Da anni l’Italia è in fondo a tutte le classifiche dell’Unione europea per gli investimenti nei settori dell’alta formazione e ricerca. Si fatica a uscire dalla crisi economica del 2008 anche per le politiche miopi di tagli e mortificazione dell’Università pubblica, in controtendenza con le politiche di investimenti e sviluppo di tutti gli altri paesi industrializzati.

Per uscire dalla crisi e per salvare le Università italiane, prima di tutto occorre ripristinare i finanziamenti e recuperare il miliardo di euro e oltre che è stato sottratto agli Atenei con i tagli degli ultimi anni, dovuti non tanto alla carenza di risorse, quanto alla volontà di penalizzare l’università e la ricerca pubblica e di sostenere progetti sotto il controllo diretto della presidenza del consiglio, sottratti a una valutazione rigorosa della comunità scientifica. Le risorse disponibili ci sarebbero. Basta avere la volontà politica di contrastare gli interessi dei forti e fare gli interessi dei cittadini.

In primo luogo, bisogna garantire un effettivo Diritto allo Studio per i nostri studenti. Le politiche portate avanti negli ultimi anni non hanno fatto altro che smantellare quel Diritto sancito dalla Costituzione. Non ultima la nuova riforma sull'ISEE, che ha di fatto escluso molti studenti dalla possibilità di accedere alle borse di studio, acuendo ulteriormente le disparità tra Regioni settentrionali e meridionali a discapito di queste ultime. Ancora una volta l'ISEE si dimostra essere uno strumento inefficace ai fini di garantire equità sociale e permettere a tutti l'accesso all'istruzione pubblica senza distinzioni di classe. È necessario, quindi, trovare altri strumenti e soluzioni efficaci che garantiscano un reale accesso all’istruzione pubblica. Le singole Università, inoltre, devono impegnarsi a istituire sistemi di fasciazione equi e progressivi, e quindi democratici, in base ai redditi dei nuclei familiari.
Ad oggi, la situazione è insostenibile sotto molti punti di vista che si ripercuotono inderogabilmente sulla componente studentesca. Intere aree del paese sono prive di un sistema universitario efficiente e se, da un lato, gli Atenei di “serie A”, principalmente situati nel nord Italia, presentano un sistema di tassazione notevolmente superiore rispetto a quelli meridionali (motivando questa scelta con una maggiore disponibilità di servizi che dovrebbero essere prerequisito e parte integrante della vita dello studente universitario), dall’altro i sistemi di Diritto allo Studio non risultano sanare questo dissidio, portando gli studenti senza sufficienti mezzi economici ad emigrare o, peggio, a rinunciare ai propri studi.

Tuttavia, anche negli Atenei “fortunati” la situazione non è più rosea: aumentano i numeri chiusi e si assiste ad una squalificazione della didattica con, ad esempio, interi corsi di laurea che chiudono a causa della mancanza di docenti, dettata dal blocco del turnover.

Occorre un cambio di rotta rispetto agli ultimi anni: servono ingenti finanziamenti per il Diritto allo Studio e una completa revisione dei criteri usati per la loro distribuzione.

Per sbloccare le assunzioni del personale, deve essere abolito il sistema dei punti organico in modo da permettere agli Atenei di stabilizzare le decine di migliaia di precari tecnici, amministrativi e della ricerca e didattica che occorrono per rilanciare il sistema universitario. Bisogna iniziare dei processi di reinternalizzazione dei servizi con concorsi che valorizzino la professionalità acquisita e tutelino il posto di lavoro del personale in appalto, spesso colleghi formati da anni di servizio nei Front Office degli Atenei ma senza gli stessi diritti del personale strutturato e colleghi che tutti giorni con il loro lavoro di pulizia rendono agibili le strutture universitarie.

Bisogna sostenere la lotta delle ricercatrici e dei ricercatori universitari non strutturati, che in questi giorni portano avanti uno Sciopero alla rovescia per rivendicare i loro diritti come lavoratori, e quindi il mancato riconoscimento della Dis-Coll, ma anche lo sblocco del turnover, un piano di reclutamento che sia tale, l’introduzione di una figura unica pre-ruolo e del valore legale del titolo di studio di dottorato, la critica a questa “valutazione” della ricerca, e, più in generale, la promozione e il riconoscimento attraverso politiche di sistema dell’Università e della Ricerca pubblica. E' indispensabile rafforzare le politiche di reclutamento di nuovi ricercatori, per far fronte alle gravi difficoltà arrecate alla didattica e alla ricerca universitaria dalle riduzioni del turnover.

Bisogna riconoscere la specificità della situazione dei ricercatori Gelmini (in special modo dei ricercatori di tipo a) che sono obbligati per legge e per contratto a svolgere attività di ricerca e attività didattica, oltre all’attività di assistenza alla didattica che già svolgevano nei periodi di post dottorato come assegnisti, borsisti o cultori. Non godono di tenure track né di alcun diritto agli scatti stipendiali a differenza della docenza strutturata. Rappresentano oggi una categoria di docenti fortemente svantaggiata e discriminata dal sistema universitario. Stante il blocco attuale delle abilitazioni, i ricercatori a) non più prorogabili non hanno alcuna possibilità per evitare la risoluzione del contratto e l’uscita dal ruolo di docente. Bisogna chiedere con forza che le abilitazioni scientifiche e i concorsi per professore ripartano immediatamente senza altra attesa e con procedure che garantiscano certezza e velocità dei risultati.

Bisogna rinnovare il contratto nazionale (CCNL) del personale tecnico- amministrativo, scaduto dal 2009, con reali aumenti stipendiali che recuperino le pesanti perdite degli ultimi 7 anni, e abrogare la punitiva pseudo-valutazione Brunetta e le altre normative vessatorie che non devono essere recepite nel nuovo CCNL; bisogna sbloccare il trattamento economico del personale tecnico-amministrativo, togliendo i limiti che bloccano i Fondi del Trattamento accessorio del salario negli Atenei.

Bisogna risolvere finalmente la questione dei Lettori/CEL di madrelingua, prevedendo, con risorse aggiuntive, almeno il parametro economico previsto dalla L. 63/2004 (Ricercatore confermato a tempo definito) per tutta la categoria a livello nazionale, la definizione dello status giuridico come insegnanti universitari di madrelingua e, infine, una soluzione equa al grave problema previdenziale (Trattamento integrativo e calcolo TFR/pensione ex INPDAP).

Per la docenza strutturata, rimanendo prioritari gli obiettivi di rafforzamento dell'Università pubblica, con una rinnovata attenzione alle difficoltà della didattica e della ricerca (in particolare quella di base) e al reclutamento di nuovi ricercatori, bisogna riconoscere il vuoto giuridico delle classi stipendiali dal 2011 al 2015, e recuperare gli scatti di anzianità dal 1.01.15, come effettuati per gli altri lavoratori non contrattualizzati del pubblico impiego e per il personale contrattualizzato degli Enti di Ricerca; tale diritto deve esteso anche a tutto il personale contrattualizzato. Lo sblocco degli scatti dei docenti deve essere coperto da risorse aggiuntive e non devono essere scaricati sui bilanci F.F.O. dei singoli Atenei, altrimenti si metterebbero a serio rischio le assunzioni dei precari tecnici, amministrativi e ricercatori, assunzioni peraltro completamente inadeguate di fronte alle migliaia e migliaia di persone che bisogna assumere per garantire il funzionamento dei nostri Atenei.

Per ciò che riguarda la valutazione, la VQR 2011-2014 rappresenta una procedura burocratica e molto costosa, ma anche bizantina e non fondata scientificamente. Quindi difficilmente potrà rappresentare una base seria per una equa valutazione che determina la distribuzione dei finanziamenti fra gli Atenei. Andrebbe sospesa mentre si avvia una revisione della precedente VQR per verificarne scientificamente l'esito e poi proporre correttivi condivisi dalla comunità scientifica. Intanto l’ANVUR, bisogna riconoscerlo, rappresenta un’aberrazione imbarazzante, fallimentare e costosissima, per i torbidi criteri di selezione dei membri del consiglio direttivo e dei gruppi di valutazione, per le continue incertezze e variazioni in corso d'opera dell'esercizio di valutazione della ricerca, nonché per l'insopportabile mole di adempimenti burocratici inutili che scarica sul corpo docente e sul personale tecnico-amministrativo.

La valutazione è una cosa seria, sia per i docenti che per il pta, è deve essere scientifica con criteri rigorosi. Non può essere utilizzata per giustificare i tagli dei servizi pubblici e per impoverire ulteriormente Atenei già fin troppo impoveriti. Rientrano in questa logica, oltre alla VQR, i criteri per l'accreditamento e la valutazione dei Corsi di Studio (A.V.A.) e la normativa Brunetta. La valutazione invece dovrebbe servire per migliorare l’efficacia e l’efficienza dei sistemi e dei processi dell’organizzazione del lavoro e non per mettere i colleghi in competizione l’uno con l’altro per aggiudicarsi il punteggio più alto, ai danni del buon funzionamento della pubblica amministrazione.

Per tutti questi motivi, il Coordinamento di Ateneo per l’Università e la Ricerca Pubblica ritiene che bisogna esigere una revisione complessiva di tutta la riforma dell’Università e perciò costruire tutti insieme una nuova primavera delle Università che porti al blocco di tutti gli Atenei con uno Sciopero generale da organizzare con la massima partecipazione e il coinvolgimento di tutte le componenti della comunità accademica come passo necessario verso una agitazione e una mobilitazione permanente negli Atenei finché non si verificherà una reale “inversione di rotta” da parte di Governo-MEF-MIUR. Bisogna salvare l’Università e la Ricerca pubblica garantendo l’istruzione superiore ai giovani. Si tratta del futuro del nostro paese.

Firenze, 29 febbraio 2016

(*) Associazione dei Ricercatori a Tempo Determinato, Comitato degli iscritti e Forum docenti FLC-CGIL, Coordinamento Docenti Unifi, Coordinamento Lavoratori in Appalto, Coordinamento Ricercatrici e Ricercatori Non Strutturati, Rete29aprile, Rappresentanza Sindacale Unitaria - RSU, Sinistra Universitaria – UDU, Studenti di Sinistra, UIL-RUA.

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