Osservazioni sul Documento di Programmazione Economica e Finanziaria 2003-2006
Osservazioni Cgil - Audizione Comm. Bilancio Camera -
Roma, 17 luglio 2002
Prot. n. 3207/2002
Cod. X/324/15
Oggetto: DPEF - Osservazioni Cgil - Audizione Comm. Bilancio Camera -
Testo delle osservazioni CGIL al DPEF 2003-2006, consegnato nel corso della Audizione alla Commissione Bilancio della Camera, svoltasi il 16.7.02
CGIL – Osservazioni sul Documento di Programmazione Economica e Finanziaria 2003-2006
Audizione del 16 luglio 2002
L’andamento tendenziale dell’economia italiana e il quadro tendenziale di finanza pubblica
Il documento 2003-2006 compie una revisione delle stime per il 2002 per quanto concerne l’andamento del PIL e dell’inflazione che risulta essere tardiva e non accompagnata da un’attenta analisi dei motivi dell’insuccesso della politica economica seguita dal Governo a partire dalla manovra dei cento giorni.
La CGIL non ha mancato di segnalare per tempo le proprie critiche motivate a quel pacchetto di provvedimenti a cominciare dalla Tremonti bis, giudicata del tutto idonea a rilanciare gli investimenti, al provvedimento sull’emersione di cui si è registrato il totale fallimento a misure marcatamente inique come la soppressione dell’imposta di successione.
Questa strumentazione si è dimostrata del tutto inidonea a fronteggiare la dinamica negativa del quadro economico internazionale, aggravata dagli avvenimenti dell’11 settembre.
Il Governo dopo aver sostenuto per mesi l’imminenza di un nuovo miracolo economico ha impostato una manovra di finanza pubblica per il 2002, basata essenzialmente sulle cartolarizzazioni e sull’approvazione delle deleghe sul mercato del lavoro, pensioni, fisco e scuola che hanno aperto un’estesa conflittualità sociale nel Paese.
A fronte dell’evidente deterioramento del quadro di finanza pubblica, il Governo ha istituito , con il decreto legge che ha varato una mini manovra correttiva, due società con la funzione di valorizzare il patrimonio pubblico e di finanziare le infrastrutture con più ampio ricorso al mercato. Questo provvedimento ha evidenziato immediatamente profili di finanza creativa e quindi di nuovo indebitamento occulto e rischi per la tutela del patrimonio culturale e ambientale del Paese, che hanno spinto il Presidente della Repubblica a puntualizzare limiti e ambiti dell’operazione in un documento inviato al Governo.
Lo scorso 5 luglio, infine, il Governo ha sottoscritto con le parti consociali un accordo separato lesivo dei diritti delle persone che lavorano, privo di qualità, che non aiuta lo sviluppo del Paese e che apre una stagione di aspra conflittualità sociale.
Gli obiettivi programmatici per il 2003 e il medio periodo
Il DPEF si dà l’obiettivo di una crescita dell’economia italiana del 3 per cento già a partire dal 2003. Si tratta di una previsione ottimistica. Il quadro dell’economia mondiale resta incerto e l’instabilità delle borse e dei cambi lo sta a dimostrare ogni giorno. Negli USA dopo il rimbalzo di inizio anno, il ritmo di crescita si è assestato su livelli più contenuti rispetto alle previsioni , mentre rimangono immutati gli squilibri strutturali (indebitamento delle famiglie e delle imprese, deficit delle partite correnti). La questione delle corporate governance, segnata da un numero crescente di scandali, connessi a clamorosi falsi in bilancio, ha inoltre abbassato in modo significativo il clima di fiducia nella più importante economia del mondo.
Negli ultimi dodici mesi è inoltre venuta meno l’illusione di una possibile crescita dell’Europa anche in presenza del rallentamento dell’economia americana. La crescita in Europa risente anche di margini di incertezza crescenti. L’Euro forte è destinato a influire negativamente sulle esportazioni, mentre l’inflazione, malgrado le compensazioni connesse al cambio forte è ancora in tendenza crescente.
Le previsioni di crescita del Governo su cui si fondano le misure di riduzione fiscale non sembrano dunque improntare a un sufficiente grado di cautela mentre la recente esplosione del caso Italia in materia di interpretazione degli accordi di Madrid-Siviglia che hanno allargato le maglie del patto di stabilità sta ad indicare che sussistono margini di incertezza rilevantissimi e nodi che saranno sciolti soltanto nei prossimi mesi.
Al di là del grado di flessibilità, della disciplina decisa a Maastricht, restano in ogni caso i problemi connessi all’elevatissimo stock di debito pubblico italiano che, in percentuale del PIL continua ad essere uno dei più elevati dei paesi avanzati.
Negli anni ’90 i cittadini italiani, e innanzitutto i lavoratori dipendenti ed i pensionati hanno sopportato rilevanti sacrifici per attuare un riequilibrio di questo debito. Questo risultato fondamentale per lo sviluppo futuro del Paese, non può essere compromesso da politiche economiche disinvolte e da misure di finanza creativa che generano forme occulte di indebitamento.
Con specifico riferimento al quadro macroeconomico programmatico non si condividono i tassi di inflazione programmata previsti per gli anni di riferimento del DPEF. Tali tassi non sono coerenti con quelli di crescita del Prodotto Interno Lordo. In particolare è del tutto irrealistico il tasso di inflazione programmato per il 2003 sia in riferimento alle attuali tendenze dell’inflazione reale, sia in considerazione del fatto, indicato nello stesso DPEF, che nel 2003 si registrerà ancora un differenziale pronunciato tra crescita effettiva e crescita potenziale che non potrà non riflettersi sul fronte dei prezzi.
L’innalzamento del sentiero di crescita potenziale dell’economia italiana
Il DPEF affronta i vincoli strutturali che gravano sulle economia italiana e ne condizionano le potenzialità di crescita partendo da un’analisi sbagliata e impostando, di conseguenza, politiche economiche tanto inefficaci, quanto socialmente inique.
Analisi e misure si concentrano, nella sostanza, sul mercato del lavoro e sulla sua presunta rigidità mentre trascurano completamente i veri nodi strutturali che frenano la competitività del nostro sistema:
a) una struttura industriale con un numero abnorme di piccolissime imprese, una marcata carenza di medio imprese, uno sparuto numero di grandi imprese che sono però sempre piccole a livello internazionale;
b) un modello di specializzazione produttiva che ci vede molto deboli nei comparti più dinamici e innovativi;
c) mercati finanziari e mercati dei diritti proprietari estremamente rigidi.
Invece di affrontare questi nodi con coraggio, il Governo si è posto l’obiettivo del recupero della competitività del Paese, prima assicurata dalle svalutazioni competitive puntando esclusivamente sul versante della riduzione del costo del lavoro e della compressione dei diritti dei lavoratori.
In questo primo scorcio di legislatura, infatti, non solo non si è privatizzato nulla, ma anzi sono stati ripubblicizzati alcuni comparti strategici come quello bancario. Le fondazioni bancarie, infatti, sono state ripubblicizzate con l’art. 11 della legge finanziaria 2002. Un forte ritardo si registra poi sul terreno cruciale delle liberalizzazioni, a partire da quella del mercato delle public utilities locali.
A fronte dell’esigenza di un capitale umano capace di risolvere i problemi anche ad elevato livello di complessità, il modello educativo proposto dalla delega Moratti, è quello della vecchia formazione professionale e dell’acquisizione di tecniche obsolete.
A giudizio della CGIL, la via d’uscita dalla attuale situazione di declino della nostra industria sta soprattutto in alti investimenti ini istruzione e formazione e nella ricerca pura e applicata. La quota della spesa per ricerca e sviluppo in percentuale del PIL è, infatti, notevolmente più bassa di quella sostenuta dai principali partner europei. Oggi l’Italia spende l’1 per cento del PIL rispetto al 2,2 e 2,4 di Francia e Germania e al 2,7 degli USA.
Le riforme economiche
Le riforme economiche messe in campo dal Governo a giudizio della CGIL non vanno nella direzione giusta. Occorre dunque un radicale ripensamento degli indirizzi finora adottati al fine di costruire una società e un’economia più aperte, in grado di conciliare equità ed efficienza, di garantire efficaci politiche di sostegno allo sviluppo e coesione sociale.
La riduzione graduale del prelievo fiscale, che deve restare in linea con quello medio europeo, deve accompagnarsi con l’incremento qualificato della spesa per le politiche sociali, per gli interventi per lo sviluppo, per la ricerca, per la scuola, la formazione.
a) La riforma fiscale
La delega Tremonti deve essere radicalmente modificata in quanto ridistribuisce gran parte dei benefici all’ultimo decile di contribuenti (cioè ai contribuenti più ricchi,) non aiuta la crescita dimensionale delle imprese e non favorisce la ricerca e l’innovazione tecnologica.
La revisione dell’Irpef deve essere rispettosa del precetto costituzionale di progressività e ridistribuire gli sgravi fiscali prevalentemente ai redditi medio-bassi. Deve altresì affrontare, con l’introduzione di imposte negative, il problema degli incapienti e configurare una apposita fiscalità per i pensionati che tenga conto della loro condizione specifica e sostenga nel tempo il reale potere di acquisto delle pensioni destinato altrimenti a ridursi a causa del sistema di indicizzazione rapportato esclusivamente all’inflazione.
Il DPEF deve prevedere la restituzione del drenaggio fiscale 2002 e indicare i criteri per le riduzioni Irpef del 2003.
La fiscalità delle imprese deve favorire la loro crescita dimensionale e gli investimenti in ricerca, innovazione tecnologica, formazione. In questo quadro l’Irap va riformata ma non abolita, va data attuazione al Patto di Natale del 1998 per ridurre il cuneo fiscale e contributivo che grava sul lavoro dando priorità, sulla base delle indicazioni dell’Unione Europea, al lavoro dequalificato. Le misure della delega fiscale avranno pesanti ricadute sulla finanza locale e regionale con i conseguenti interventi sul sistema di stato sociale e sul prelievo fiscale complessivo.
b) Le politiche sociali
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Vanno aumentate tutte le pensioni inferiori al milione con modalità che tengano conto dei contributi versati per evitare l’appiattimento delle pensioni previdenziali su quelle assistenziali
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Va avviata e adeguatamente finanziata una politica nazionale per la protezione e la cura degli anziani non autosufficienti così come previsto dalla legge di iniziativa popolare proposta dai sindacati confederali dei pensionati
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Occorre provvedere con uno stanziamento adeguato al finanziamento del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui alla legge 328/2000 e di progetti specifici per i portatori di handicap gravi
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Va programmata, entro l’arco della presente legislatura, la generalizzazione del Reddito Minimo d’Inserimento all’intero territorio nazionale partendo dalle aree più povere del paese.
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L’impegno di politica sociale del Governo è totalmente spostato sul sostegno ed il potenziamento dei soggetti del volontariato e del terzo settore, con la realizzazione di apposite condizioni normative che ne agevolino l’iniziativa e l’intervento nella direzione della sussidiarietà intesa come sostitutività anche progettuale nel campo del sostegno alla famiglia, agli adolescenti, agli anziani non autosufficienti, ai tossicodipendenti, ai disabili. La CGIL ritiene invece che i soggetti del volontariato e del terzo settore debbano integrare le attività dei servizi pubblici nell’ambito della programmazione decisa dalla Pubblica Amministrazione.
c) Pensioni
Va abbandonata la linea della decontribuzione per i nuovi assunti a tempo indeterminato in quanto misura che dissesta le finanze previdenziali ( ci saranno minori contributi per un importo pari dell’1 per cento del Prodotto Interno Lordo) e destruttura il mercato del lavoro prevedendo costi differenziati sulla base della data di assunzione.
Si ribadisce la più assoluta contrarietà ad un trasferimento forzoso del TFR ai Fondi pensione. La previdenza complementare deve essere incentivata, ma deve restare libera e volontaria.
d) Sanità
Occorre portare la spesa sanitaria a livello della media europea. Il sistema sanitario va razionalizzato sulla base dell’ultima legge di riforma senza rimettere in moto, con la concorrenza di mercato, un circolo perverso di rincorsa tra offerta e domanda. L’obiettivo di riduzione dei consumi pro-capite indicato dal DPEF penalizza le fasce più deboli della popolazione. E’ anche per questo che va respinta l’idea di forme di mutualità sostitutive dell’intervento pubblico.
e) Politiche attive del lavoro e ammortizzatori sociali
Occorre programmare entro l’arco della legislatura l’adeguamento della spesa in materia di politiche attive del lavoro e di ammortizzatori sociali almeno a quella media europea. Si tratta di uno sforzo rilevante perché, come evidenzia il DPEF l’Italia spende per ammortizzatori sociali solo lo 0,6 per cento del PIL contro una media UE di 2 punti. Si ritiene perciò del tutto insufficiente lo stanziamento di 700 milioni di euro per il 2003.
f) Mezzogiorno
Dal DPEF emerge un ripensamento positivo al ruolo della programmazione negoziata che deve trovare riscontri positivi nella legge finanziaria e nelle scelte di priorità nel campo delle infrastrutture.
Per quanto riguarda le risorse "aggiuntive" rivolte al Mezzogiorno l’impegno assunto nel DPEF si limita ad assicurare alla percentuale sul PIL pari alla media degli ultimi anni, che sconta quindi la riduzione intervenuta con la Finanziaria 2002.
Senza più consistenti risorse aggiuntive per il Sud, anche in presenza di una ripresa economica trainata dalla domanda estera la crescita del PIL nel Mezzogiorno per i prossimi anni è destinata a restare sensibilmente al di sotto di quella media italiana determinando quindi un‘ulteriore accentuazione delle distanze fra il Sud e le altre parti del Paese.
Al fine di ripristinare incentivi differenziali che attraggono investimenti nel Sud, occorre inoltre prevedere, senza l’introduzione di tetti di spesa, la cumulabilità per le imprese del Mezzogiorno della Tremonti bis e della Visco per il Sud.
g) Scuola, formazione e ricerca
Fermo restando il giudizio negativo sulla riforma dei cicli scolastici, presentata dal Governo e attualmente al dibattito del Parlamento, si rileva che la scelta dell’innalzamento dell’obbligo scolastico e formativo fino i 18 anni è contenuta nel DPEF senza l’indicazione delle risorse messe a disposizione.
Il DPEF deve indicare i finanziamenti per le strutture e per la dotazione del Fondo per l’elevazione dell’offerta formativa.
Oltre all’innalzamento dell’obbligo scolastico e formativo va impostato un programma per la formazione permanente di intesa con la Conferenza Stato-Regioni mediante la piena valorizzazione dell’autonomia scolastica.
E’ assente qualsiasi riferimento agli investimenti pluriennali per la qualificazione dell’istruzione pubblica ivi compresi quelli riferiti anche alla valorizzazione degli apporti professionali del personale docente e non.
Per quanto attiene al sistema universitario, il finanziamento della riforma in atto è del tutto indeterminato e aleatorio, in quanto rinviato alle compatibilità generali.
Inoltre, per quanto riguarda il diritto allo studio universitario, è inaccettabile il fatto che, attraverso gli interventi a favore degli studenti per le tasse versate alle Università legalmente riconosciute, si attui un finanziamento occulto alle Università private, a danno di quelle pubbliche.
Per quanto attiene alla ricerca, le Linee guida – rispetto alle quali abbiamo espresso i motivi del nostro giudizio di contrarietà – non hanno alcuna certezza di finanziamento, né sono previste risorse per l’ingresso di giovani ricercatori nel sistema al fine di equiparare il nostro agli altri Paesi europei.
Inoltre, del tutto inverosimile appare il presupposto, in base al quale gli incentivi pubblici alle industrie fungerebbero da moltiplicatore degli investimenti privati in ricerca. Tutto ciò, peraltro, mentre proseguono gli interventi governativi sugli enti di ricerca, che annullano le riforme in via di attuazione.
h) Interventi sulla Pubblica Amministrazione e attuazione della nuova Legge Costituzionale
Continuano le scelte di esternalizzazione della Pubblica Amministrazione al fine della riduzione della spesa corrente, senza alcuna attenzione alla qualità dei servizi, alla partecipazione finanziaria dei cittadini, alle ricadute occupazionali sul personale interessato. In particolare ciò riguarda i settori dei Beni Culturali; della Difesa; nonché quelle aree di attività interessate al nuovo sistema di competenze definite dalla Riforma del Titolo V^ della Costituzione, per le quali il trasferimento di competenze non è accompagnato da analogo trasferimento delle risorse finanziarie adeguate.
i) Ambiente
Le due pagine che il DPEF dedica all’ambiente sono lo specchio fedele di questo primo anno di governo delle politiche ambientali: ipocrita nelle enunciazioni, retorico nell’assunzione dei riferimenti europei ed internazionali, dannoso nelle proposte.
Ipocrita perché nel mentre gli uffici del ministero dell’ambiente elaborano il Programma di Azione per lo Sviluppo Sostenibile, che deriva direttamente dal programma europeo, il DPEF non ne assume diffusamente i contenuti (ad esempio nei capitoli relativi all’energia o ad i trasporti) e si limita ad una sua doverosa citazione.
Nello stesso tempo procedono i lavori parlamentari sulla delega in campo ambientale su cui il Governo ha precluso ogni spazio di dialogo e di intervento.
Retorico perché l’ossequio agli impegni internazionali non si traduce nella individuazione di obiettivi vincolanti e quando questi vengono indicati, come nel caso dell’abbattimento dei gas serra, essi sono fortemente sottostimati.
Dannoso perché: nel caso della sicurezza alimentare invece di impegnarsi nella certificazione e nella riconferma del principio di precauzione il DPEF parla di "garantire la sicurezza alimentare anche attraverso lo sviluppo di una mirata ingegneria genetica"; nelle aree sottoposte a vincolo ambientale propone ambiguamente una "logica di compatibilità tra esigenze di tutela ambientale e opportunità di sviluppo"; esprime la volontà di rafforzare la valutazione di impatto ambientale quando è universalmente noto che pezzo dopo pezzo viene progressivamente smantellata; per le bonifiche dei siti industriali, pur sapendo che occorrono ingenti risorse pubbliche, si limita a parlare di una "metodologia di stimolo dell’interveto privato"; per quanto riguarda infine gli ambiziosi obiettivi della riforma della fiscalità per l’ambiente si riduce al maggiore favore alle aziende certificate EMAS.
l) Infrastrutture
Se all’ambiente vengono dedicate due pagine, alle infrastrutture il DPEF dedica ben quindici pagine. Il programma prevede ventuno priorità e nulla dice delle altre diverse centinaia inserite nella delibera CIPE a seguito dell’accordo con le Regioni. Da quanto si evince dalla tabella allegata non si comprende ancora l’efficacia derivante dallo stravolgimento del quadro normativo voluto dal Governo con la legge obiettivo e non si comprende come verrà garantita la copertura finanziaria delle opere se pensiamo che lo scarto tra costo delle opere e previsioni di spese limitatamente alle sole ventuno opere riportate è di ben 61.832,00 milioni di Euro.
E’ anche per queste ragioni che non convince l’idea tranquillizzante che si vorrebbe far passare, malgrado abbia richiesto maggiori garanzie lo stesso Presidente della Repubblica, che la Patrimonio SpA avrà solo la missione di gestire in termini di efficienza e valorizzazione il patrimonio dello Stato. La stessa preoccupazione vale per Infrastrutture SpA che dovrebbe essere impegnata solo per favorire l’afflusso di risorse private nella realizzazione delle infrastrutture attraverso meccanismi di finanza di progetto. Preoccupano in particolare le conseguenze che queste due società determineranno sulle politiche territoriali e di accesso al credito degli Enti Locali.
Contratti di lavoro del Pubblico Impiego
E’ prevista, ma non contabilizzata finanziariamente l'attuazione del Protocollo 4.2.2002 relativo al Pubblico Impiego comprendendo quindi l'ulteriore incremento finanziario dello 0,99% previsto dai Protocolli di Intesa e dagli accordi del comparto Sicurezza.
1.
Con il DPEF l'inflazione programmata viene portata - poco credibilmente - all'1,4%, modificando quanto contenuto nel citato Protocollo e negli accordi del comparto Sicurezza, senza provvedere ai relativi ulteriori stanziamenti, pari a circa 70 mln di Euro per il personale delle Amministrazioni Centrali, della Scuola, delle Aziende Autonome, nonché in quota parte per il citato comparto sicurezza, provvedendo altresì ad uno stanziamento analogo per le Amministrazioni a finanza propria.( Regioni; Autonomie Locali; Sanità; Università; Ricerca).
2.
Non risulta confermata, stante la mancata contabilizzazione, la decorrenza di tale nuovo incremento dal 2002. Ciò rende non possibile verificare se si sia realmente nel rispetto dell’accordo o nel suo snaturamento.
3.
Per il 2002 lo scarto tra l'inflazione programmata e quella reale in corso d'anno (circa 2,2%), se non affrontato determina già ora una riduzione del potere di acquisto delle retribuzioni; così come non è accettabile un rinnovo dei contratti che assuma un livello inflattivo programmato pari all’1,4% assolutamente non credibile
4.
E’ chiaro che il protocollo del 4/2/2002 non esaurisce i contenuti economici delle piattaforme contrattuali.già presentate nei comparti interessati dalla Legge Finanziaria (Ministeri; Scuola)
5.
Nel DPEF, continua l’opera di smantellamento della contrattazione del Pubblico Impiego: si preannuncia la volontà di inserire il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco nel comparto Sicurezza, con una pubblicizzazione del rapporto di lavoro nonché l’inclusione del sistema di Protezione Civile nell’ambito della Sicurezza e la Difesa Civile.