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Progressioni di livello in CREA per ricercatori e tecnologi: note sparse in attesa di salutare

Il 9 aprile nel corso di una riunione in videoconferenza è stata discussa la procedura relativa alle progressioni di livello per ricercatori e tecnologi.

10/04/2020
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Al compimento di un anno dall’apertura di una straordinaria crisi istituzionale, che ha condotto al commissariamento del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), giovedì 9 marzo l’Amministrazione ha incontrato in videoconferenza le organizzazioni sindacali, per discutere un ordine del giorno particolarmente denso e ricco di temi. Un ordine del giorno di tale consistenza e complessità, per il quale rimandiamo alla nota FLC CGIL in allegato, da rendersi incomparabile persino con la quantità e qualità delle materie poste in trattazione in epoca precedente al distanziamento sociale per l’emergenza COVID-19.

Tra i temi posti all’ordine del giorno, ne affrontiamo uno in particolare, che consideriamo emblematico per i contenuti discussi ed evocativo del metodo di relazioni sindacali sinora applicato.

La questione è quella delle progressioni di livello riguardanti i ricercatori e tecnologi del CREA, unico Ente pubblico nazionale di ricerca in agricoltura, vigilato dal MIPAAF della ministra Teresa Bellanova.

Un settore strategico, che si presta facilmente a comode manipolazioni sull’importanza della “ricerca scientifica”, sulla “tutela” della produzione agroalimentare, sui nostri “ragazzi e ragazze” in camice bianco. La realtà, quando si passa dal marketing alle concrete condizioni di lavoro, si dimostra assai più cruda: precariato diffuso (anche per figure professionali indispensabili, come gli operai agricoli), assenza di progressioni professionali, disapplicazione di fatto delle norme dei contratti collettivi.

In questo quadro, l’Amministrazione ha dichiarato che non sarà previsto, in sede di valutazione ai fini della progressione di carriera dei ricercatori e tecnologi, alcun punteggio per la anzianità di livello (spesso coincidente con l’intera vita lavorativa), sul presupposto che essa è priva di valore qualora nel periodo considerato non siano stati prodotti “apprezzabili risultati”. Dunque, è sufficiente la selezione di merito sui candidati. In sostanza, si vorrebbe procedere ad una valutazione rimessa al giudizio insindacabile della commissione giudicatrice, mediante esame dei titoli ed eventuale colloquio.

L’Amministrazione non ignora certamente che (pur appartenendo al medesimo, identico, profilo e livello professionale) si possa essere assegnati allo svolgimento di attività molto qualificanti e produttive di titoli, di altre che lo sono poco o per nulla, di altre ancora (a supporto essenziale per lo svolgimento delle prime) che si concretizzano in compiti piatti, “grigi”, senza risultati spendibili o visibili.

L’Amministrazione non ignora che il lavoratore non può attribuirsi da solo la sede o la struttura di lavoro, né le attività o mansioni in concreto. Per effetto delle sedicenti “riforme” del diritto del lavoro, l’assegnazione di sede, mansioni, attività (prevalenti del profilo) è una potestà del datore di lavoro, che non ammette rifiuto.

Il “merito”, gli “apprezzabili risultati”, le opportunità, sono dunque in massima parte una variabile dipendente dalla scelta discrezionale del datore di lavoro circa l’assegnazione del lavoratore.

Al contrario, l’anzianità di permanenza nel livello è un dato obiettivo, verificabile, indipendente dalle ondivaghe e peregrine condiscendenze del “capoccia” di turno, dalle occorrenze del caso o dalle relazioni personali.

La mistica del “fannullone”, con l’associato dogma del “premio al merito”, fondata sulla ipotesi statistica che esista una probabilità di prodotto fallato ogni 100, che possa darsi un dipendente infedele (in questo caso, un dipendente della specie particolare del ricercatore o tecnologo) serve solo a rafforzare la tenaglia in cui sono costretti colleghe e colleghi impegnati seriamente, lealmente, nelle attività che l’Ente ha loro affidate.

I ricercatori e i tecnologi non sono nati cavalli e non corrono il Gran Premio Ippico. Non vengono disposti al canapo del Palio di Siena. Una comunità scientifica, produttiva e matura, si misura con il genio di chi ha pensato il razzo, ma anche con la serietà di chi ha computato le procedure di emergenza. E (diremmo noi) anche con la pazienza di chi ha serrato le viti del motore.

Sarebbe stato dunque opportuno, con l’intelligenza e il dubbio del bravo artigiano, dell’operaio agricolo, discutere e affrontare i rischi di una decisione fondata esclusivamente sulla Fede in una particolare specie autoctona di creatura mitologica (“il merito”) del cui intervento salvifico i cittadini italiani godono quotidianamente opere e risultati.

Purtroppo, come una cenerentola mattutina, la delegazione datoriale ha sciolto la riunione alle ore 13.

Una procedura per le progressioni di livello R/T, dunque, tuttora da edificare, secondo un contraddittorio che si preannuncia gravido di conseguenze.

In conclusione, molto andrebbe detto sulla eterogenesi dei fini che accompagna le dichiarazioni apparentemente più nobili di chi ha potere di decisione e di eccezione alla decisione. Ma è tempo di Pesach e di Pasqua. La riflessione sulla natura umana è esperienza individuale e intima.

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