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Decreto sul secondo ciclo: secondo incontro con il Ministro

Si è svolto nel pomeriggio di ieri, il secondo incontro con il Ministro Moratti, sulla Bozza di decreto sul secondo ciclo, reso nota nei giorni scorsi

27/01/2005
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Si è svolto nel pomeriggio di ieri, il secondo incontro con il Ministro Moratti, sulla Bozza di decreto sul secondo ciclo, reso nota nei giorni scorsi.

All’incontro, presieduto dal Ministro Moratti, alla presenza del sottosegretario on. Aprea ed i massimi dirigenti del Miur, hanno partecipato le OO.SS. confederali e di categoria CGIL CISL UIL, ANP, Gilda e Snals.

Il Ministro in apertura ha chiesto alle organizzazioni presenti di esprimersi nel merito della Bozza di decreto che, ha tenuto a sottolineare, rimane un primo documento di lavoro, sul quale intende proseguire il confronto, prima di licenziarlo in versione più definita.

Sono, quindi , intervenute tutte le organizzazioni presenti.

Per la FLC Cgil, Maria Brigida, della segreteria nazionale, ha sostenuto:

  • È necessario accompagnare il decreto con un Piano di fattibilità, che definisca tempi, modalità e risorse. L’assetto del secondo ciclo è, infatti, profondamente diverso dall’attuale scuola secondaria superiore,come del resto previsto dalla Legge 53/03, ed è quindi impensabile non disporre di un piano che chiarisca i termini per la sua realizzazione;

  • Per queste stesse ragioni, essendo disponibile questo primo documento, va dedicato l’intero mese di marzo ad una consultazione vera e formale di tutta la scuola secondaria superiore, in modo da acquisirne il parere, prima di passaggi ulteriori e formalizzati;

  • Nel merito dell’articolato, rinviando ad un testo scritto per osservazioni più precise e puntuali, abbiamo ribadito l’assoluta contrarietà all’impianto duale del secondo ciclo, confermato dal documento;

  • La separazione tra i due sistemi è aggravata, nei suoi risvolti sociali e pedagogici, dai contenuti del documento, che contraddicono, in maniera inequivocabile, l’affermato principio della pari dignità dei due sistemi, e rendono del tutto irrealistica l’affermazione sulla possibilità di passare dall’uno all’altro;

  • è questo il decreto che deve fare chiarezza, per i lavoratori, genitori e studenti, su alcuni punti nodali, che tanta incertezza e confusione hanno prodotto all’indomani dell’approvazione della legge 53/03 e che hanno determinato nei fatti un cambiamento della scuola secondaria superiore. Infatti, con le iscrizioni alla prima classe, già dall’anno scorso le scelte si sono spostate in modo particolare dall’ istruzione tecnica verso i licei, ritenuti, in questa fase di grande confusione, porto più sicuro, diversamente da quanto storicamente avveniva nella secondaria superiore, in cui i 3/4 della frequenza era concentrata negli istituti tecnici e professionali, secondo i dati dello stesso Miur.

  • Ora, con questo decreto è necessario che il Governo dica con precisione che fine faranno gli attuali istituti tecnici e istituti professionali, non nascondendosi dietro le espressioni ambigue del documento in discussione, che parla non di istituti ma di “percorsi”. Tale chiarezza è resa ancor più necessaria a fronte delle affermazioni del Ministro che continua a ribadire che non si sta operando per la liceizzazione degli istituti tecnici, bensì per una razionalizzazione delle sperimentazioni esistenti negli attuali licei. Occorre uscire da queste ambiguità: il Governo deve assumersi la responsabilità di una scelta chiara, perché con queste formulazioni tutti e nessuno sono legittimati a sentirsi garantiti. Aumenta la confusione e l’incertezza, la qualità ne risente significativamente;

  • Né del resto aiuta alla chiarezza l’impianto e la struttura oraria dei licei, in particolare di quelli con indirizzi. Infatti, la distinzione tra orario obbligatorio, opzionale e facoltativo, la struttura in due bienni più un quinto anno ponte verso l’Università, la partizione in Indirizzi e la previsione dei Laboratori a partire dal secondo biennio, il carattere propedeutico dei Licei, a fronte della terminalità dei percorsi di istruzione e formazione professionale, fa si che nessuno degli attuali istituti tecnici e professionali possa automaticamente sentirsi “promosso” o escluso dai licei.

  • Se, per quanto attiene ad esempio al liceo economico e tecnologico, si dovesse interpretare che essi sono il corrispettivo degli attuali istituti tecnici, questi ultimi perderebbero decisamente identità, sia nella finalizzazione ( propedeutici non più terminali), sia nelle quantità orarie di formazione tecnologica, decisamente inferiori alla situazione esistente, sia nel rapporto con il lavoro;

  • In tal senso, il problema dell’inserimento nel mercato del lavoro di alcune figure professionali ora con un titolo immediatamente riconoscibile e spendibile apre più di un problema anche sul versante dell’orientamento. A titolo esemplificativo, non è affatto chiaro il percorso che dovrebbe fare uno studente che voglia acquisire, dopo queste modifiche, il corrispettivo dell’attuale diploma da geometra piuttosto che da ragioniere;

  • L’IFTS perde la sua iniziale finalizzazione, di percorso di formazione superiore dal valore culturale e formativo analogo al percorso universitario, ma diverso in quanto precipuamente finalizzato a far acquisire professionalità immediatamente spendibili sul mercato del lavoro. Con un anno in meno per l’ accesso rispetto ai percorsi universitari e dell’alta formazione artistica e musicale, anch’esso si configura come percorso di serie B;

  • L’affermata caratteristica del quinto anno dei licei come anno ponte verso l’Università, e il nuovo percorso universitario cosiddetto ad Y, prefigurano due anni (l’ultimo dei licei appunto ed il primo universitario) l’uno in qualche modo assimilabile all’altro, nella identità e nella finalizzazione. Non si comprendono le ragioni di tale ridondanza;

  • Non è chiaro, con un orario differenziato nella struttura ( obbligatorio, opzionale, facoltativo), come si determinerà l’organico, di cui si perde persino la parola nel testo ( ma di questo se ne parlerà molto diffusamente in appositi incontri!);

  • il fatto che all’art. 17 del documento si affermi che solo i ¾ delle 990 h annue sono obbligatori, che di questi “almeno” il 25% va destinato “all’apprendimento in contesto di lavoro” conferma che la pari dignità è solo un’ espressione verbale In sintesi il monte ore da destinare alla formazione in aula in questi percorsi bene che vada sarà pari a 15 h settimanali, ma potrebbe essere molto meno. E’ impensabile che in queste condizioni i percorsi nei due sistemi si possano eguagliare nel loro valore, così come il passaggio tra i due sistemi sarà reso impossibile anche solo da questa grande disparità di ore di formazione “formale”;

  • In tal senso, ammesso che nel trasferimento di competenze alle regioni, si intenda che vada ricompresa l’attuale istruzione professionale statale, personale compreso, la domanda che sorge spontanea è: chi licenzia il personale attualmente impegnato in questo settore, lo Stato, prima di trasferirlo o la Regione, una volta che lo ha ricevuto dallo Stato? ( ovvio che la domanda è retorica e drammatica al tempo stesso):

  • esiste nel sistema statale anche un’altra tipologia di istituti superiori, gli istituti d’arte, non riconducibili né ai licei artistici né all’istruzione professionale, la cui presenza è stata finora particolarmente significativa nella formazione artistica e professionale di giovani che hanno la fortuna di vivere in un Paese, il nostro, che ha il patrimonio artistico più grande del mondo. Di questi istituti non si trova traccia alcuna nel testo del decreto, né si riesce a decifrarne il possibile destino. Oltre che incomprensibile, è inaccettabile l’oblio cui pare, al momento, essi sono assoggettati.

  • Infine, come da noi sostenuto nelle audizioni parlamentari della scorsa settimana sulle Bozze di decreto su alternanza scuola lavoro e diritto dovere, sarebbe logico sospendere l’iter per l’approvazione definitiva dei due decreti, in attesa che si definisca l’assetto del secondo ciclo, oggetto del documento. Ciò in ragione del fatto che le previsioni contenute nelle bozze non sono fra loro del tutto coerenti. In tal senso abbiamo segnalato, fra l’altro, la mancanza di chiarezza sul rapporto scuola e lavoro: nel diritto dovere si afferma che esso si assolve nei percorsi liceali, in quelli di istruzione e formazione professionale, in alternanza scuola lavoro, in apprendistato ( per il quale la nuova disciplina non prevede un obbligo alla formazione esterna all’azienda). A questo punto risultano almeno tre modalità di rapporto con il lavoro, normate in modo diverso, con referenti diversi, con modalità e vincoli di natura molto differenziata. Sarebbe bene fare un po’ di chiarezza, soprattutto nell’interesse dei giovani, destinatari a rischio di confusione in questa giungla.

La Cgil, rappresentata da F. Dacrema, ha sottolineato come si era giunti ad una condivisione sociale diffusa del fatto che la formazione dei giovani dovesse ricomprendere complessivamente le cosiddette competenze di base, trasversali e professionali, su cui invece il documento pare riapra una separazione incomprensibile ed inaccettabile. La formazione on the job pare tornare ad assumere un significato addestrativo, che si riteneva superato. Infine si tende a limitare ulteriormente la sfera e gli ambiti dell’autonomia organizzativa e progettuale delle scuole, ad esempio a proposito di tutor, nonché ad intervenire per via legislativa su una competenza di natura contrattuale. La legge può definire l’opportunità/ necessità che siano assicurate alcune funzioni, come quella tutoriale, di coordinamento, ma non può decidere chi e come quelle funzioni debba svolgere, appartenendo appunto la materia ad una sfera extra legislativa.

A conclusione dell’incontro, il Ministro ha comunicato che nelle prossime ore invierà alle parti sociali anche i documenti sugli Obiettivi Specifici di Apprendimento (OSA) e sul profilo in uscita dello studente. Il confronto continuerà, prima di una definizione più precisa dei testi ed in tal senso ci saranno ulteriori incontri, in sede tecnica, anche bilaterali, e successivamente anche con le Regioni, che affronteranno anche i temi più specifici, sui passaggi di competenze alle regioni e le ricadute sul personale.

Roma, 27 gennaio 2005