Violenze a danno dei docenti: occorre certo sanzionare i responsabili ma occorre anche andare alle cause profonde superando gli errori delle politiche scolastiche degli ultimi decenni
Ripensare le basi pedagogiche e sociali della nostra scuola che è stata colpita da incuria, disinvestimento, denigrazione, resa ad un produttivismo funzionale al consumo a scapito dei valori umanistici e scientifici. Un no deciso a scorciatoie sbagliate come le telecamere.
Gli episodi di aggressività e violenza da parte di genitori e studenti verso docenti, come quelli a cui purtroppo stiamo assistendo in questi giorni, sono decisamente da stigmatizzare, anche se come educatori abbiamo il compito di comprendere il significato di simili episodi, senza per questo giustificarli o tollerarli.
Dobbiamo però evitare che il problema sia risolto sbrigativamente attraverso la delegittimazione di questa o quella parte in gioco, bollando lo studente come un delinquente o il docente come un incapace.
Le ragioni di tali dinamiche si possono comprendere e superare costruttivamente solo attraverso una stretta alleanza tra i diversi attori che operano all’interno della comunità educante.
Letti invece nell’ottica neoliberista e meritocratica che vede la scuola come un’impresa quegli episodi rappresentano la somma di tante solitudini individuali e contrapposte: quella della famiglia che risponde all’ansia per il futuro incerto del proprio figlio abdicando al suo fondamentale ruolo educativo, quella dello studente in cerca di un’affermazione che sperimenta sui coetanei; quella del docente, lasciato solo a gestire le difficili dinamiche di classi sempre più numerose e problematiche, quella dei dirigenti scolastici, anch’essi soli e schiacciati dalle pressioni di un’amministrazione che li vuole in alcuni casi manager e in altre sottoposti.
Una strategia di ampio respiro per affrontare nella scuola le difficoltà di rapporto con i giovani deve perciò passare necessariamente attraverso un ripensamento del modello formativo scolastico e attraverso la sua conversione in senso comunitario e solidaristico, in modo da riconfigurare i suoi rapporti con le forme di socializzazione vigenti nella famiglia e nell’intera società.
Per questo la FLC CGIL intende lanciare un’apposita iniziativa per chiamare a discutere su questi fatti pedagogisti, psicologi, docenti, genitori, studenti, affinché si faccia il punto sulla questione. Ma un punto che non si fermi all’analisi del fenomeno, bensì chiarisca quali sono le cause profonde e le conseguenti misure, di lungo periodo, che ridiano alla scuola prestigio e centralità sociale nel nostro Paese dove sarà centrale il tema scuola come luogo “appartato”.
Come FLC CGIL abbiamo immediatamente denunciato e stigmatizzato i fatti gravi di aggressione a danno dei docenti avvenuti in questi ultimi tempi da parte non solo di alunni ma anche di genitori che evidentemente hanno smarrito il ruolo fondamentale che loro spetta per mandato costituzionale (articolo 30: “È dovere e diritto dei genitori… educare i figli…”).
In termini di contrasto ai singoli casi il nostro sindacato, ove si tratti di violenze perpetrate dai genitori, ha già manifestato la sua intenzione di costituirsi parte civile ma ha anche sottolineato come il MIUR debba intervenire a sostegno concreto anche sul piano giudiziario dei docenti coinvolti.
Riteniamo, invece, che rimangano valide e sufficienti le norme vigenti per sanzionare adeguatamente i comportamenti scorretti da parte degli alunni.
Casi, certamente, da non generalizzare ma che si ripetono con tale frequenza da suscitare allarme e richiedere riflessioni non estemporanee o semplicemente legate al singolo fatto di cronaca.
Una questione pedagogica di fondo, innanzitutto, si impone: la scuola deve essere un luogo protetto (non separato) da cui il senso comune, oggi dominante, va tenuto lontano. E per senso comune intendiamo quell’idea per cui la scuola deve adeguarsi all’egemonia del produttivismo e della realizzazione immediata ad ogni costo, che sia funzionale alla produzione e al consumo. Ed è proprio a questa idea che secondo noi rispondono le misure che intestano al dirigente scolastico la facoltà di dare premi e punizioni (bonus docenti, per fortuna superato dal contratto firmato il 19 aprile del 2018) e quell’idea di alternanza scuola-lavoro che vede nello studente un soggetto da avviare precocemente al lavoro, dopo aver espropriato di fatto la scuola dalla libera determinazione di programmare percorsi e monte orario nei rapporti con il mondo lavorativo.
La scuola non è un’agenzia “del realizzo a breve termine” e bene dice il prof. Vertecchi in un suo recente intervento: “L’educazione è sospinta al conseguimento di traguardi a breve termine, dai quali esperti sprovveduti ritengono possano derivare benefici per il sistema produttivo”.
La scuola deve riprendersi il suo ruolo di primaria agenzia di istruzione che in altro non consiste che nell’opera di superamento del senso comune, per portare invece l’allievo ad attingere alla conoscenza scientifica e alla pienezza della cultura, intesa non come erudizione ma come capacità di intessere al più alto grado relazione civile e svolgere con competenza il proprio compito sociale.
Per fare questo occorrono cura e pensiero lungo: investimenti in ogni settore del percorso scolastico, stabilità di organico, stipendi europei, generalizzazione della scuola dell’infanzia, tempo pieno e prolungato, obbligo a 18 anni, manutenzione e ammodernamento degli edifici scolastici.
Esattamente in questa direzione vanno le proposte che abbiamo presentato nella recente Assemblea nazionale dal titolo significativo “La scuola che verrà” (a cui rinviamo), avendo intuito – e i fatti di questi giorni lo confermano – che il nostro sistema di istruzione ha bisogno di cura, attenzione, serenità, da non turbare più con riforme epocali e da perseguire piuttosto con interventi mirati all’efficienza delle strutture e alla soddisfazione del personale.
Il recente contratto nazionale di lavoro ha fatto la sua parte recuperando il concetto di “comunità educante” da contrapporre al concetto di scuola azienda che si tende, oggi, a far diventare pensiero dominante.
Continueremo, con le prossime iniziative e con il contratto, a stare dalla parte della scuola statale e del suo personale (dirigente, docente e ATA) fino a che non si ripristinerà, al più alto livello possibile, il patto educativo messo in discussione da politiche sbagliate e da comportamenti genitoriali che talora mostrano di aver abdicato alla propria funzione educativa. Continueremo a restare a fianco degli insegnanti per tutelarli, costituendoci parte civile ogni volta che ciò si renderà necessario, nella convinzione che stigmatizzare i casi di violenza con posizioni chiare e trasparenti serva a ridare senso e autorevolezza alla scuola. Ed è per questo che ribadiamo il nostro NO deciso a inutili scorciatoie e soluzioni estemporanee - come ci sembrano essere le proposte di installare telecamere dentro le aule - che, prospettando reazioni repressive di facile impatto mediatico a problemi educativi complessi e delicati, farebbero venir meno il senso stesso della comunità educante.