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ANDU, ANRU, APU, CIDUM, CISL Università, CNU, FIRU, SAUR, SNALS Università, SNUR-CGIL, UIL-PA: Lettera unitaria ai Senatori della Commissione Affari costituzionali.

Onorevole Senatore, Le scrivo a nome del Sindacato Nazionale Università e Ricerca della CGIL e dei seguenti Sindacati e Associazioni dei docenti universitari: ANDU, ANRU, APU, CIDUM, CISL-UNIVERSITà, CNU, FIRU, SAUR, SNALS-UNIVERSITà, UIL-PA

13/03/1999
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Agli onorevoli Senatori della
Commissione Affari costituzionali
SENATO
Onorevole Senatore,
Le scrivo a nome del Sindacato Nazionale Università e Ricerca della CGIL e dei seguenti Sindacati e Associazioni dei docenti universitari: ANDU, ANRU, APU, CIDUM, CISL-UNIVERSITà, CNU, FIRU, SAUR, SNALS-UNIVERSITà, UIL-PA.
Le sottoscritte Organizzazioni e Associazioni della docenza universitaria intendono sottoporre alla sua attenzione alcune brevi riflessioni sul parere espresso dalla Commissione sul testo unificato del disegno di legge per la "Istituzione della terza fascia del ruolo dei professori universitari".
In premessa, le Organizzazioni firmatarie ritengono opportuno ricordarle il disposto dell'art. 7 della legge 21 febbraio 1980, n. 28, dal quale trae evidentemente spunto l'iniziativa legislativa assunta dalla VII Commissione:

"Dopo quattro anni dall'entrata in vigore della presente legge, il Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio universitario nazionale, presenta al Parlamento un disegno di legge per definire il carattere permanente o ad esaurimento della fascia dei ricercatori confermati e nella prima ipotesi il relativo stato giuridico. Con la stessa legge sono ridefiniti i compiti e gli organici del ruolo dei ricercatori, sulla base delle esperienze didattiche e di ricerca nel frattempo compiute e dei risultati dell'attuazione dei corsi per il conseguimento del dottorato di ricerca, dei movimenti del personale docente e delle esigenze di un corretto ed equilibrato rapporto tra le diverse fasce del personale stesso." Il parere della Commissione Affari costituzionali pone al primo punto la "condizione che nel testo della nuova legge non siano contenute disposizioni tali da comportare sovrapposizioni o identità di funzioni tra i professori ricercatori e i professori associati e ordinari, in assenza di procedure concorsuali che assicurino valutazioni selettive di merito".

In relazione a questo primo punto, è forse superfluo notare come la citata legge 28/1980 non ponga alcun vincolo al possibile stato giuridico dei ricercatori, limitandosi ad ipotizzare che le esperienze didattiche e di ricerca, nonché le nuove esigenze maturate nel corso degli anni successivi alla promulgazione della legge possano suggerirne contenuti e caratteristiche adeguati.
In termini assolutamente generali, appare evidente come sovrapposizione e identità di funzioni tra i vari soggetti direttamente coinvolti nelle attività di ricerca siano ineliminabili. Non esiste una ricerca da ricercatore, una da associato, una da ordinario. I tentativi di stabilire per legge differenze di mansioni tra associati ed ordinari, effettuati dal DPR 382/80 mediante la riserva ai secondi della possibilità di coordinare gruppi di ricerca nazionali, sono falliti sin dai primissimi anni di applicazione con la diffusa violazione di un disposto oggettivamente indifendibile. La funzione di coordinatore di un gruppo nazionale di ricerca non può essere conferita in virtù di legge, ma scaturisce dalla considerazione che il singolo ricercatore riesce a conquistare nella propria comunità scientifica. Né risulta che sia possibile rendere il possesso di questa prerogativa oggetto di accertamento in sede concorsuale.
Per quel che riguarda l'attività didattica, appare opportuno ricordare come la progressiva messa a fuoco dei compiti dei ricercatori, per meglio soddisfare le esigenze poste dalla trasformazione organizzativa e didattica degli Atenei, nello spirito della citata legge 28/1980, si sia realizzata nel corso dell'ultimo ventennio. Successivamente al DPR 382/80 che istituiva il ruolo dei ricercatori, è infatti intervenuta la legge 341/90, che consente agli attuali ricercatori di assumere la piena responsabilità di corsi ufficiali di insegnamento.
Per esplicare in modo corretto questa funzione, sono ovviamente necessari lo svolgimento delle lezioni e delle esercitazioni, l'assistenza agli studenti nonché la partecipazione a pieno titolo alle commissioni degli esami di profitto e di laurea, in qualità di relatore, secondo quanto previsto dall'art.12 della citata legge 341/90.
In altri termini, tra ricercatori, ordinari ed associati esiste, per legge e da circa dieci anni, una totale sovrapposizione ed identità anche delle funzioni didattiche. Pertanto, non è possibile identificare un modo di svolgere funzioni didattiche che sia peculiare ed esclusivo dei primi, come distinto rispetto a quello caratteristico degli altri.
Coerentemente, la stessa legge 341/90, all'articolo 15, introduce per i ricercatori modalità di inquadramento e di attribuzione dei compiti didattici identiche a quelle per i professori.
È ben vero che l'effettiva attribuzione ai ricercatori della piena responsabilità di un corso dipende da situazioni contingenti, variabili da Facoltà a Facoltà e da Ateneo ad Ateneo. Tuttavia, la supplenza o l'affidamento vengono ad essi conferiti dal Consiglio didattico competente in piena omogeneità procedurale con associati ed ordinari. Le eventuali valutazioni comparative tra più soggetti che si candidano a svolgere il medesimo corso vengono condotte per accertare la maggiore o minore congruità del profilo didattico-scientifico e mai assumono il significato di accertamento dell'attitudine del singolo all'insegnamento, data per acquisita sulla base del solo possesso dello status di ricercatore, o di associato, o di ordinario.
Il conferimento di affidamenti e supplenze anche a ricercatori non confermati previsto dalla legge 14 gennaio 1999, n.4, estende a tutta la categoria la possibilità di svolgere funzioni didattiche piene, di nuovo in completa identità con quanto già si applica ai professori associati non confermati ed ai professori straordinari. La stessa legge, abolendo il diritto di precedenza di professori ordinari ed associati rispetto ai ricercatori nell'attribuzione delle supplenze, a suo tempo stabilito dalla citata legge 341/90, sancisce in modo definitivo e non equivoco la completa sovrapposizione ed identità delle funzioni didattiche tra le tre fasce della docenza.
Queste affermazioni trovano ulteriore, anche se indiretto, conforto in almeno altre tre leggi promulgate nell'ultimo decennio.
Attraverso la legge 22 Aprile 1987, n.158, si è agganciata la retribuzione dei ricercatori a quelle dei professori, in piena analogia con quanto già previsto dal DPR 382/80 per il raccordo tra le retribuzioni dei professori associati e quelle dei professori ordinari.
Nelle recenti norme sulla composizione del Cun contenute nella cosiddetta ÒBassanini 2Ó, viene prevista la partecipazione paritaria di 14 professori ordinari, 14 professori associati e 14 ricercatori, a differenza di quanto precedentemente previsto dal DPR 382 del 1980 che manteneva i ricercatori in una condizione di minorità, distribuendo le rappresentanze dei docenti universitari tra 21 professori ordinari, 21 professori associati e solo 4 ricercatori. Infine, è necessario ricordare la legge 3 luglio 1998, n. 210, che per la prima volta prevede la presenza di un ricercatore nelle commissioni di concorso per ricercatore, in analogia con quanto si applica nei concorsi a professore associato ed a professore ordinario, in cui siedono in Commissione rappresentanti della fascia corrispondente a quella del posto messo a concorso.
In buona sostanza, esiste un nutrito corpus giuridico che ha reso proprie dei ricercatori funzioni didattiche identiche e coincidenti con quelle svolte da ordinari ed associati e ne ha unificato modalità di conferimento ed attribuzioni. Ovviamente, per inserirsi nel proprio ruolo e, quindi, per poter esercitare tali funzioni, i ricercatori hanno superato regolare concorso.
In conclusione, delle due l'una: o la normativa attuale è incostituzionale, o l'eccezione non è fondata. Tanto meno lo sarebbe se riguardasse le funzioni dei soli professori ricercatori, terza fascia di un unico ruolo che comprende anche professori ordinari e professori associati.
A ben considerare, sulla base dell'argomentazione addotta dalla I Commissione, dovrebbe considerarsi incostituzionale persino la stessa legge 28/1980, che ha istituito la fascia dei ricercatori universitari e che espressamente rinviava ad una successiva legge la definizione del loro stato giuridico e dei loro compiti.
É forse il caso di ricordare agli onorevoli Senatori come l'Università italiana riesca a garantire il regolare svolgimento di Corsi di Laurea, di Diploma e di Specializzazione grazie al sistematico e generalizzato esercizio delle funzioni di docenza da parte dei ricercatori. Nel futuro, questa situazione è destinata ad accentuarsi ulteriormente alla luce della imminente realizzazione dell'autonomia didattica, che comporterà una sostanziale dinamizzazione dell'offerta didattica degli Atenei, in un quadro di forte innovazione e differenziazione dei curricula.
Fanno forse eccezione in questo panorama alcune Facoltà di Giurisprudenza, nelle quali, a seguito di specifiche, quanto singolari, politiche di reclutamento, la fascia degli associati è virtualmente assente. In genere, in queste Facoltà, la titolarità dei corsi viene rigorosamente mantenuta dai soli professori ordinari, ad onta dell'abolizione di questo istituto introdotta dieci anni fa dalla legge 341/90 all'articolo 15, comma 3, mentre ai ricercatori vengono affidate funzioni didattiche ancillari, ispirate a logiche ante legge 341/90.
Lasciamo agli onorevoli Senatori giudicare l'efficacia didattica di corsi frequentati da alcune migliaia di studenti e, quindi, svolti in locali solitamente destinati a pubblici spettacoli. E quanto sarebbe auspicabile l'estensione di questa poco felice situazione a tutto il sistema universitario nazionale.
In base al parere della I Commissione, la nuova normativa introdotta dal disegno di legge unificato prodotto dalla Commissione VII Ònon può essere comunque estesa al ruolo ad esaurimento dagli assistenti ordinari".
A questo proposito, appare necessario ricordare come il comma 1 dell'art. 16 della 341/90 abbia esteso le mansioni didattiche dei ricercatori anche agli assistenti e ai tecnici laureati ex art. 50 della legge 382/80.
Il punto conclusivo del parere della I Commissione "riguarda l'accesso agli organi di governo e alle altre strutture degli atenei". Per questo argomento, "il parere è condizionato al rispetto dell'autonomia statutaria degli atenei". È da presumere in quanto costituzionalmente garantita. é certamente superfluo ricordare agli onorevoli Commissari come la Costituzione, all'art. 33, ultimo comma, preveda che l'autonomia degli Atenei si esercita "nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato".
Attualmente, il DPR 382/80 detta il quadro normativo, datato quanto si voglia ma generale, che definisce le norme per l'accesso agli Organi ed alle funzioni di governo degli Atenei. Sulla base della giurisprudenza vigente, quindi, risulta del tutto legittimo e costituzionalmente corretto prevedere per legge norme relative ai diritti di elettorato attivo e passivo, nonché di partecipazione agli Organi collegiali di Ateneo. Infatti, la tutela dell'autonomia è comunque subordinata al rispetto delle leggi dello Stato, che dettano norme generali valide in tutto il territorio nazionale, anche allo scopo di non polverizzare l'unitarietà del sistema universitario in una sconnessa ed eterogenea costellazione di localismi.
Alle sottoscritte Organizzazioni appare per lo meno discutibile che, a fianco all'omogeneità delle funzioni didattiche tra ordinari, associati e ricercatori definita dal quadro legislativo vigente, si possano prevedere differenziazioni su base di Ateneo per ciò che riguarda la loro partecipazione ai Consigli delle strutture didattiche.
Questa situazione risulterebbe ancor meno comprensibile se paragonata alla normativa, omogenea su tutto il territorio nazionale, che regola la partecipazione dei professori ordinari e dei professori associati agli stessi Consigli. A meno che il parere della I Commissione non intenda che l'autonomia statutaria è comunque sovraordinata al quadro legislativo, in tal modo ponendo in discussione anche i diritti di partecipazione di ordinari ed associati garantiti dal DPR 382/1980.
Le Organizzazioni firmatarie fanno sommessamente notare agli onorevoli senatori come la tesi testé esposta sia autorevolmente condivisa dal Consiglio di Stato che, con sentenza del 6 febbraio 1998, ha invalidato lo Statuto dell'Università di Perugia proprio per quelle parti, relative ai diritti di elettorato attivo e passivo e di appartenenza agli Organi collegiali, che travalicavano i limiti posti dalla legislazione citata.
Un'ultima notazione a margine: nel corso della discussione nella Commissione Affari Costituzionali si è autorevolmente affermato che, nella legislazione universitaria italiana, non esiste alcun esempio di immissione a domanda di figure universitarie inserite in altro ruolo.
Questa affermazione non è esatta, dal momento che il Decreto legge 1 ottobre 1973, n. 580, convertito in legge previde l'immissione a domanda dei Professori aggregati nel ruolo dei Professori Ordinari. Di questa legge hanno a suo tempo beneficiato numerosi, autorevoli colleghi.
Nello scusarmi per l'eccessiva lunghezza di questo messaggio, le porgo cordiali saluti ed auguri di buon lavoro.

(Prof. Ing. Guido Greco)