Diritto allo studio e università: l'onorevole Marco Meloni risponde alla FLC CGIL
Il deputato e responsabile PD Istruzione, Università e Ricerca commenta le nostre osservazioni ad un emendamento al “Decreto del Fare”. In una replica ribadiamo alcune perplessità.
Una risposta alla CGIL: come migliorare il diritto allo studio e potenziare il sistema universitario
di Marco Meloni, deputato e responsabile PD Istruzione, Università e Ricerca
Rispondo alla nota con la quale il 26 luglio 2013 la FLC-CGIL esprime forti critiche nei confronti delle norme, approvate dalla Camera in sede di conversione in Legge del DL 69/2013 (c.d. “Fare”), relative al programma nazionale per il diritto allo studio.
In verità la nota è rivolta in primo luogo al ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca, Maria Chiara Carrozza: tuttavia, poiché la norma è stata approvata in seguito a un emendamento parlamentare (cui il governo ha dato parere favorevole), sottoscritto da tutto il gruppo del PD e di cui sono primo firmatario, sento sia anzitutto mio dovere precisarne il contenuto.
Prima di tutto, cosa prevede l’emendamento, che costituisce l’attuale art. 59-bis del DL “Fare”? Si istituisce un Programma nazionale per il diritto allo studio degli studenti meritevoli, finanziato con una parte (il 20%) della quota premiale del FFO (prevista dall’art. 2, comma 1, del DL 180/2008), e affidato – nella sua organizzazione – alla Fondazione istituita dal decreto-legge 70/2011, che assume la denominazione di “Fondazione per il merito e il diritto allo studio”.
I. Perché questo intervento: il programma del PD e l’emergenza diritto allo studio.
Parto dall’esporre sinteticamente le ragioni che hanno spinto il PD verso questa soluzione, che peraltro costituisce il primo punto del nostro programma elettorale in materia di università. Con una premessa, rappresentata dall’emergenza del diritto allo studio: l’Italia – che pure si pone al terzo posto in Europa per livello di contribuzione studentesca – prevede uno dei più bassi livelli di assistenza finanziaria agli studenti. Ottiene una borsa di studio solo il 7% degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6% della Francia (1,6 miliardi), il 30% della Germania (2 miliardi) e il 18% della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato (-11,2%), mentre è aumentato negli altri paesi (Francia +25,9%, Germania +18,6%, Spagna + 39%). Continuiamo a dare spazio all’ircocervo “studente idoneo non borsista”: purtroppo gli idonei che hanno ottenuto una borsa sono stati solo il 67,7% degli studenti nel 2011/2012, un dato ben più basso dell’82,5% del 2008. Sono numeri drammatici, che devono spingerci ad affermare che l’articolo 34 della Costituzione (“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”) risulta sostanzialmente inattuato. Ragioni che hanno indotto lo stesso presidente del Consiglio, nelle dichiarazioni programmatiche sulla base delle quali il governo ha ottenuto la fiducia, a considerare l’attuazione di tale diritto costituzionale – fondamentale per garantire l’eguaglianza e la mobilità sociale – al primo posto tra gli interventi in materia di università. Obiettivi di fondo e dati essenziali, quelli ora citati, contenuti anche nell’audizione del ministro Carrozza alle commissioni riunite di Camera e Senato, citata anche nella nota della CGIL.
II. Dal principio allo strumento: il Programma nazionale per il diritto allo studio.
Passando dal principio – sul quale, soprattutto a parole, tutti si dichiarano d’accordo – agli strumenti per la sua attuazione, queste in sintesi le ragioni del tipo di intervento prospettato:
a) un programma nazionale, che non sostituisca affatto ma integri e rafforzi il diritto allo studio regionale, è da un lato uno strumento adeguato per favorire garantire effettivamente il “livello adeguato delle prestazioni” previsto dalla Costituzione, e dall’altro consente di favorire la libertà di movimento degli studenti, indotti – attraverso questo strumento – a scegliere l’ateneo di destinazione in modo dettato più dalle loro effettive preferenze che dall’efficienza (così mutevole nel territorio nazionale) dei sistemi regionali di diritto allo studio.
b) Le risorse sono ricavate dalla quota premiale del FFO. Il punto è stato molto criticato, e anche in questo caso è necessario un chiarimento. Non si intende affatto, in questo modo, comprimere le risorse assegnate attraverso la valutazione della qualità degli atenei, bensì stabilire una modalità di orientamento di una parte minima di risorse – le quali peraltro, essendo “premiali”, dovrebbero non essere indispensabili per la funzionalità degli atenei – e stabilire un automatismo. In questo modo, infatti, si orienta una parte (piuttosto ridotta, e che sarà ridotta ulteriormente, come dirò tra poco) di tale quota premiale attraverso le scelte degli studenti, che “fanno”, con tali scelte, una loro valutazione sulla qualità degli atenei: una sorta di “premialità studentesca”, dunque, che in buona parte “riconduce” comunque le risorse (secondo modalità che saranno definite dalle misure attuative della norma, affidate a un decreto ministeriale) alle università di destinazione, sia sotto forma di contribuzione figurativa degli studenti, sia di erogazione di servizi di diritto allo studio. In ogni caso, si contrasta in modo attivo il fenomeno che più dovremmo, tutti, temere, ovvero la “fuga” degli studenti, calati del 10% nell’ultimo anno (percentuale di diplomati che decidono di immatricolarsi). In sintesi, ancorare una parte minima della quota premiale a un programma nazionale di diritto allo studio consente di creare un meccanismo capace di destinare, in modo automatico e certo, una quota minima di risorse a chi meno è tutelato (gli studenti, in particolare quelli che studenti non lo sono ancora, o non lo saranno mai, se non viene potenziato il diritto allo studio).
c) Il programma – prevede la norma approvata – sarà coordinato dalla Fondazione istituita dal DL 70/2011: si tratta di una Fondazione di cui sono membri fondatori il Ministero dell'istruzione, dell’università e della ricerca ed il Ministero dell'economia e delle finanze, ai quali è attribuita anche la vigilanza sulla Fondazione medesima, e che ora assume la denominazione di “Fondazione per il merito e il diritto allo studio”. Evidentemente il decreto ministeriale preciserà il ruolo della Fondazione nel coordinamento del programma, ma un punto è chiaro: a differenza di quanto affermato nella nota della CGIL, non c’è alcuna risorsa trasferita al “Fondo per il merito” istituito dalla L. 240, ma, al contrario, si orienta al diritto allo studio una fondazione originariamente rivolta ad altri obiettivi, e lo si fa secondo modalità operative definite da un decreto del Ministro per l’Istruzione, l’università e la ricerca.
d) L’ultima ragione attiene al rapporto tra voto elettorale e programmi politici: solo grazie ad esso, infatti, è possibile superare le volontà di titolari di interessi specifici in ragione dell’interesse generale (il giudizio sulla capacità di un programma elettorale di realizzarlo è affidato, notoriamente, agli elettori medesimi). Allora, il fatto che il primo punto in materia di università del programma ufficiale del partito più votato alle elezioni prevedesse una misura di questo genere, e per giunta con impatto quantitativamente assai più significativo, è un argomento che occorre tenere in debita considerazione, persino al di là delle legittime opinioni che si possono nutrire sul merito della questione.
L’esito di questa norma, infine, non è certamente privo di impatto sul numero degli studenti percettori di borsa di studio: a seconda dei criteri e dell’importo delle borse, si prevede che dai 25 ai 50mila studenti in più all’anno possano fruire di una borsa di studio. Numeri, appunto, non piccoli, se si considera che nello scorso anno accademico i fruitori di borse di studio sono stati poco meno di 120mila.
III. Quando la dialettica è salutare: dialogare con tutti per migliorare la norma
Il terzo punto che vorrei trattare, in questa precisazione, riguarda alcuni aspetti della norma che, per diversi ordini di ragioni, meritano di essere migliorati.
Anzitutto, vi è un problema di competenza: nel lavoro di redazione degli emendamenti si è verificata una svista, di cui mi assumo la responsabilità, relativa al coinvolgimento delle Regioni. E’ naturale che, in una materia come questa, affidata in via residuale (ex art. 117 comma 4 della Costituzione) alla competenza regionale, un programma di questo genere debba essere realizzato in seguito all’intesa della Conferenza Stato-Regioni, con riferimento agli obiettivi e ai criteri dell’intervento. Attraverso l’intesa, in altri termini, dovrebbe essere possibile integrare al meglio programma nazionale e sistema di diritto allo studio regionale, sia con riferimento ai criteri di erogazione delle borse sia di integrazione effettiva nell’erogazione dei servizi. Quel che deve essere chiaro, infatti, è che il programma nazionale rappresenta una opportunità in più, con obiettivi ulteriori e specifici, rispetto al sistema regionale di diritto allo studio.
Secondo punto critico è la misura dell’intervento finanziario: l’emendamento dal quale è derivato l’attuale art. 59-bis è stato presentato considerando la percentuale di quota premiale del FFO “non inferiore al 7 per cento”, come previsto dall’articolo 2, comma 1, del DL 180/2008. Nel momento in cui, in seguito all’approvazione di un successivo emendamento, tale quota passa a un minimo del 20%, è chiaro che le quantità mutano significativamente. In altri termini, per quanto ciò possa essere positivo per il diritto allo studio, trasferire al programma nazionale per il diritto allo studio 260 milioni (anziché meno della metà, come previsto inizialmente) non è al momento sostenibile.
Infine, il terzo punto critico attiene alle risorse. Le risorse per l’università sono diminuite, dal 2009, di oltre un miliardo di euro, e quest’anno necessitano un rifinanziamento con la Legge di Stabilità. Stessa questione riguarda il Fondo integrativo per il diritto allo studio, che lo Stato trasferisce alle Regioni, passato dagli oltre 250 milioni del 2009 ai circa 150 dello scorso anno, alla previsione attuale di 34 milioni. La domanda che ci è stata posta da molti interlocutori – più che legittimamente – allarmati è la seguente: in queste condizioni perché non pensare prima di tutto a rifinanziare questi fondi, e poi a interventi ulteriori?
A queste tre questioni ha inteso rispondere un Ordine del giorno, presentato dal gruppo del PD (primo firmatario il presidente del gruppo Roberto Speranza), approvato dalla Camera con parere favorevole del governo, con il quale, dopo aver espresso apprezzamento per obiettivi e contenuti del programma nazionale per il diritto allo studio, si assume l’obiettivo di migliorare la norma, prevedendo un coinvolgimento delle Regioni nella definizione di criteri e obiettivi del medesimo e graduando in modo compatibile con l’equilibrio del sistema universitario le percentuali di risorse della quota premiale trasferite al programma. Inoltre, si impegna il governo a garantire che il Fondo integrativo per il diritto allo studio sia dotato di risorse quanto meno pari allo scorso anno, e allo stesso modo il FFO sia finanziato in modo adeguato, perlomeno al livello – anche in questo caso – dello scorso anno. Si tratta di impegni e non di decisioni di bilancio, è vero, che sono invece affidate alla Legge di Stabilità. Ma la vigilanza sulla loro attuazione potrà essere massima, da parte di diversi soggetti che hanno un comune interesse, oltre che un insieme di compiti che, in questo caso, possono convergere in un unico obiettivo: aumentare l’investimento pubblico nel sistema dell’istruzione, e specificamente – in questa sede – di quella universitaria, e in questo contesto stabilire come obiettivo prioritario il forte potenziamento del diritto allo studio, per incrementare il numero degli studenti che frequentano l’università (orientandoli meglio, ovviamente) e fare del nostro sistema di istruzione un luogo di diritti, equità, mobilità, e non – come è attualmente – di troppe ingiustizie, di immobilismo e dispersione di talenti.
Aumentare del 30% - da subito! - le borse di studio, come intendiamo fare, è una piccola rivoluzione di giustizia sociale. Chi ha idee migliori si faccia avanti (più correttamente: si candidi, lo scriva nel programma, chieda i voti su quel programma e poi lo trasformi in legge), ma nessuno si può sentire sottratto al dovere di intervenire immediatamente.
Ciò che il Partito Democratico ha proposto e propone alle forze parlamentari e agli interlocutori istituzionali e sociali – dalle Regioni, alle organizzazioni sindacali, agli studenti, ai rettori – è di cooperare per migliorare, nell’esame al Senato, il testo di questa norma, nella direzione prospettata già dall’Ordine del giorno che ho qui richiamato, e di essere uniti nel rivendicare un rilancio – presente nel programma di governo e nelle intenzioni più volte enunciate dai suoi esponenti, a partire dal presidente Letta e dal ministro Carrozza – del sistema dell’istruzione, dell’università e della ricerca come chiave fondamentale per la competitività e la crescita dell’Italia.
Se saremo uniti, dunque, sarà possibile conseguire risultati fondamentali: potremo destinare più risorse al sistema universitario e al fondo integrativo per il diritto allo studio; garantire il diritto alla mobilità degli studenti, con il Programma nazionale e la "premialità studentesca"; ampliare notevolmente la platea di beneficiari del diritto allo studio; concordare con le regioni una efficiente integrazione di programma nazionale e sistema regionale di diritto allo studio, consultando le rappresentanze studentesche.
Si tratta di un invito che rivolgo direttamente alla FLC-CGIL, con l’auspicio che insieme potremo riflettere sulle modalità più adatte a migliorare questo intervento e a conseguire questi obiettivi, continuando così un percorso che negli anni scorsi ci ha visti – ciascuno rispettando la propria autonoma sfera di responsabilità – capaci di dialogare e cooperare all’elaborazione di proposte e azioni di governo.