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Divergenze di sistema e disequilibri tra atenei nell’università delle autonomie rafforzate

Un’analisi sulle variazioni intervenute nel periodo 2009-2018 all’interno del sistema universitario nella capacità di reclutare nuovo personale.

21/03/2019
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Dal 2007/2008 il nostro Paese è stato colpito da una lunga crisi economica. In questo difficile e particolare contesto, i diversi governi che si sono succeduti (con diverso orientamento politico o tecnico) hanno consistentemente ridotto le risorse all’istruzione ed alla ricerca.

Nello stesso tempo, con la cosiddetta Legge Gelmini si è rafforzata una gestione managerialista e privatistica degli Atenei, avviata nei primi anni novanta. Questa ampia e rafforzata “autonomia universitaria” è stata accompagnata e sospinta da un sistema accentrato di valutazione e controllo (ANVUR): si sono così imposti alcuni parametri (AVA, VQR, soglie ASN, ecc) attraverso cui concentrare le (scarse) risorse su alcuni Atenei a spese di altri, guidando quindi la moltiplicazione e l’allargamento delle divergenze nel sistema universitario nazionale.

In questo quadro, si è prodotta una significativa contrazione degli organici. Nel 2008 il personale docente era di circa 62.800 persone: oltre 19mila professori ordinari, 18mila professori associati e 25mila ricercatori a tempo indeterminato. Nel febbraio 2019 sono in ruolo quasi 54.400 docenti: di questi però solo poco più di 50.000 sono stabili o hanno una prospettiva di stabilità (circa 13.200 PO, 20.900 PA, 12.500 RTI e 3.700 RTDb). Il personale tecnico, amministrativo e bibliotecario era pari a circa 67.300 unità nel 2008, mentre al 31 dicembre 2017 il personale tecnico amministrativo è quantificabile in circa 53.400 dipendenti.

Questa riduzione è stata prodotta anche da vincoli al reclutamento rispetto alle cessazioni dal servizio. Dal 2012, in particolare, queste limitazioni diventano di sistema: cioè, la possibilità di nuove assunzioni è gestita centralmente, redistribuendola tra gli Atenei in modo diversificato secondo un principio premiale. I parametri di “virtuosità” utilizzati per questa redistribuzione sono in pratica una combinazione tra entrate complessive, spese per il personale, fitti passivi e oneri di ammortamento. Ad esser premiati, cioè, sono gli Atenei che hanno avuto la possibilità di incrementare le entrate, dalla contribuzione (le tasse degli studenti) o da fondazioni ed enti pubblici del territorio. Cioè, si sono favoriti gli Atenei dei territori più ricchi.

Nel documento proposto, quindi, si analizza nel dettaglio (per territorio e per ateneo) la redistribuzione avvenuta dal 2012 ad oggi di circa 7mila punti organico. Il punto organico, per gli Atenei statali, è un parametro di riferimento del costo del personale, che assegna una spesa media di 1 punto ad un professore ordinario, 0,7 ad un associato, 0,5 ad un ricercatore, 0,4 ad un’unità del PTA con qualifica EP, 0,3 ad una D, 0,25 ad una C e 0,2 ad una B. L’analisi è condotta da una parte con tabelle dettagliate anno per anno (confrontando gli andamenti tra le diverse tipologie di Atenei), dall’altro con grafici che evidenziano le variazioni territoriali occorse nel periodo.

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Questo processo è stato devastante. Tanto che si può affermare, senza paura di poter essere smentiti, che le cosiddette eccellenze si sono costruite e sviluppate proprio a spese della dequalificazione di altre realtà, portando alla frammentazione e ad un evidente arretramento l’intera università italiana.  Contro questo processo, contro questa logica, contro questo destino ci siamo battuti con determinazione, a partire dalla lotta degli anni scorsi contro la Legge Gelmini, la precarietà negli Atenei e la contrazione del diritto allo studio. Abbiamo provato a delineare anche un diverso modello, una diversa prassi, una diversa strada di sviluppo delle università italiane. In particolare, nelle ultime leggi di bilancio (dell’attuale governo come di quello precedente) abbiamo chiesto (anche con emendamenti puntuali presentati ai gruppi parlamentari) più finanziamenti (recuperando lo storico taglio delle risorse nell’ultimo decennio) e il superamento delle redistribuzioni “premiali”, basate su parametri astratti ed iniqui. Abbiamo anche chiesto un piano straordinario per la stabilizzazione dei precari e la ripresa delle assunzioni. Continueremo a farlo, cercando di sviluppare nei prossimi mesi una campagna di informazione ed una mobilitazione per cambiare la strada che stiamo percorrendo. Ora, prima che sia troppo tardi.